BADOER, Giovanni
Figlio di Renier e nipote di Andrea, ambasciatore in Inghilterra, nacque attorno al 1465. Studiò all'università di Padova, conseguendo il dottorato, e fu amico del Bembo. Di lui abbiamo tre egloghe intitolate Filareto all'aurea sua catena,composte ad imitazione dell'Arcadia del Sannazzaro. La sua carriera politica ebbe un inizio brillante, certo facilitata dalla potenza del parentado. Coperte alcune minori cariche in città, il 3 luglio 1498, mentre era provveditore di Comun, fu eletto ambasciatore in Spagna: patrizio giovane ma dottissimo, commentò il Sanuto, e pieno di ogni umanità e gentilezza. Partì soltanto nel settembre successivo e giunse a corte il 3 dicembre. Egli vi si trattenne per breve tempo, sondando l'atteggiamento spagnolo verso i Turchi e nei confronti delle mire espansionistiche di Luigi XII. Ma già nel febbraio del 1499 il Senato aveva scritto all'ambasciatore che prendesse licenza dai reali e, raggiunta Siviglia, si imbarcasse sulle galee di Fiandra nel viaggio di ritorno, allo scopo di evitare spiegazioni sul nuovo corso della politica veneziana, segnato dall'alleanza con Luigi XII. Il 5 maggio si congedò, e ai primi di luglio, nel viaggio di ritomo, giunse a Milano, dove il duca lo accolse con grande onore. Ludovico il Moro approfittò dell'occasione per avanzare, in un colloquio confidenziale, proposte concilianti verso Venezia: nonostante l'alleanza franco-veneta a suo danno, dichiarò che rimaneva amico della Repubblica, offrendo anzi un aiuto contro i Turchi. Il 16 luglio, appena ritornato, il B. riferì al Collegio le tardive offerte del duca di Milano, che neppure furono prese in considerazione. Alcuni giorni dopo fu eletto senatore.
Dopo essere stato fra i candidati all'elezione di due oratori in Francia nel settembre 1499, fu eletto il 16 genn. 1500 oratore a Napoli. Partì soltanto il 29 ottobre successivo.
Due erano gli scopi principali fissatigli dalla commissione del Senato: procurare licenze d'esportazione di frumento dal Regno, ora che i normali approvvigionamenti dalla Russia meridionale e dai Balcani erano interrotti a causa della guerra con la Porta, e assicurare le buone relazioni col re di Napoli, il cui favore era d'importanza essenziale in tale conflitto. Quanto al primo punto il B. ottenne pieno successo, grazie anche alla sua intensa attività e al viaggio che fece personalmente in Puglia per assicurare i rifornimenti. Difficile e tempestosa fu invece la parte politica della missione. Posta di fronte alle pretese francesi sul Regno di Napoli, la Repubblica non aveva stimato opportuno opporsi al potente alleato; d'altra parte non desiderava compromettersi apertamente, col rischio di essere coinvolta in gravi complicazioni mentre si trovava impegnata con i Turchi. Così, mentre il re di Napoli, indignato con Luigi XII e con Alessandro VI, dopo che i suoi oratori non erano stati ricevuti dal re di Francia convocava il B. chiedendo la mediazione di Venezia e minacciando in caso estremo di chiamare i Turchi, la Signoria, informando il suo ambasciatore dell'intenzione di Luigi XII di impadronirsi del Regno di Napoli, gli dava istruzione di ritirarsi a Trani fingendosi ammalato.
Avviandosi al crollo il regno di Federico d'Aragona, la presenza del B. era ormai inutile, e infatti nell'agosto del 1501 lo troviamo già a Venezia.
Il 19 di quel mese fu eletto oratore in Ungheria, per dove partì nel novembre dello stesso anno, con commissione di incitare quel re contro i Turchi. Ma appena arrivato a Buda venne raggiunto da una nuova deliberazione del Senato, che gli ordinava di andare in Polonia a rallegrarsi con quel re per la successione al trono d'Ungheria. Trascorsi alcuni mesi in Polonia, ritornò a Buda, dove già nel settembre lo troviamo accanto all'ambasciatore uscente Sebastiano Giustinian. Successivamente, in seguito alle proposte di pace del sultano, la Signoria dava istruzione agli ambasciatori di accordarsi col re d'Ungheria per una comune condotta delle trattative con i Turchi. Stipulata la pace, il B., che dal 25 febbr. 1503 aveva retto da solo l'ambasciata, ottenne nell'ottobre licenza di rimpatriare. Poco prima della partenza da Buda, avvenuta l'8 genn. 1504, accettò dal re d'Ungheria le insegne cavalleresche. Arrivò a Venezia il 4 febbraio, e il 7 successivo fece la relazione al Senato.
Eletto il 13 dic. 1504 podestà a Chioggia, vi rimase un anno e mezzo, e fu poi, dall'ottobre del 1506, avogadore di Comun. Il 22 dicembre fu eletto ambasciatore a Roma, e assunse effettivamente il nuovo incarico nel marzo del 1507.
Il suo carattere duttile ed equilibrato non gli valse a superare il rigido contrasto di principio che opponeva Giulio II alla Repubblica: deciso il papa ad ottenere la restituzione di Rimini e Faenza, irremovibile Venezia nel rifiuto. Non mancò il B. di rappresentare al Senato i pericoli che si addensavano sulla Repubblica. Alle soglie dell'inverno, nel 1508, mentre Luigi XII iniziava i preparativi per la campagna della primavera successiva contro Venezia e sollecitava il papa a fare altrettanto, Giulio II, che ben comprendeva i pericoli d'una egemonia francese, incaricò Costantino Arianiti di abboccarsi segretamente con l'ambasciatore veneziano. In un colloquio notturno l'Arianiti espose al B. i propositi del re francese e aggiunse che se il Senato avesse acconsentito a restituire Rimini e Faeza, egli era certo che avrebbe ottenuto dal papa che assieme a Massimiliano si staccasse dall'alleanza con la Francia. Ma il B. gli rispose che non gli rimaneva alcuna speranza di poter indurre a ciò il Senato: ed infatti il Consiglio dei Dieci, cui immediatamente aveva comunicato la sostanza del colloquio, decise di lasciar cadere la proposta senza neppure rispondere.
Intanto nell'autunno del 1508 era giunto a Roma il nuovo ambasciatore, Giorgio Pisani, che si era subito ammalato, sicché il B. dovette trattenersi fino alla sua guarigione. Poi, guarito il Pisani, cadde ammalato il Badoer. Fu forse questa circostanza grave di conseguenze, perché Giulio II, recandosi nel marzo 1509 a Centocelle in compagnia del solo Pisani, fece a lui una proposta di compromesso: il papa, ottenuta la restituzione dei territori contesi, li avrebbe ìnfeudati a cittadini designati dalla Repubblica. Il Pisani, uomo orgoglioso e arrogante, respinse sdegnosamente la proposta, non la riferì al collega, e neppure ne scrisse al governo. Pubblicata la bolla di scomunica e iniziatasi la guerra, i due ambasciatori il 18 giugno lasciarono Roma; il 10 luglio il B. fece la relazione al Senato.
Nonostante il suo atteggiamento moderato, anche il B. fu coinvolto nella crisi di sfiducia con la quale il patriziato colpì il gruppo dirigente, che con la sua intransigenza aveva condotto la Repubblica all'isolamento politico e al disastro di Agnadello: per un paio d'anni rimase confinato in uffici cittadini di secondaria importanza. Nel luglio del 1511 tornò alla ribalta con l'elezione a savio di Terraferma; alcuni mesi dopo fu eletto nella Giunta del Consiglio dei Dieci, e nel marzo 1512 ancora savio di Terraferma. Rimase in tale carica fino al 16 giugno, giorno in cui partì per andare oratore in Spagna.
Doveva il B. conservare i buoni rapporti tra i due Stati, insistendo soprattutto sulla vitale necessità per Venezia di ricostituire l'integrità dello Stato, secondo i confini precedenti il 1509: non solo contro i Francesi, nel qual caso Ferdinando il cattolico era pronto a riconoscere i diritti di Venezia su Brescia, ma anche nei confronti delle pretese imperiali. Infatti la diplomazia pontificia, secondata da quella spagnola, cercava di convincere Venezia a riconoscere i diritti dell'impero su Verona e Vicenza, per giungere, per mezzo di tale sacrificio, ad una solida unione antifrancese. Venezia rispose a tale politica col patto franco-veneto del 23 marzo 1513, che suscitò l'aperta riprovazione del re cattolico. Toccò al B. l'ingrato compito di giustificare l'operato della Repubblíca, riversando ogni responsabilità sull'intransigenza imperiale. Iniziatesi le ostilità, l'ambasciatore veneziano si sforzò di non rompere tutti i ponti, protestando presso il re, ma conservando, dietro istruzione della Signoria, la finzione che le milizie spagnole operassero contro Venezia all'insaputa del re.
Il B. terminò la sua missione verso la fine del 1514 e ritornò a Venezia nel gennaio del 1515.
Dopo aver ricoperto ancora una volta la carica di savio di Terraferma, nel 1516 andò ambasciatore in Francia, allora alleata della Repubblica. L'anno successivo, appena ritornato, fu podestà a Brescia, dove rimase un anno e mezzo. Nel 1520 il B. andò ancora in Francia, come ambasciatore residente, per succedere ad Antonio Giustinian, assieme al quale rappresentò la Repubblica nei colloqui tra Francesco I ed EnricoVIII del giugno di quell'anno.
I rapporti tra i due stati erano allora di stretta amicizia, tanto che il B., in nome della Repubblica, nel 1520 tenne al fonte battesimale la piccola Maddalena, figlia di Francesco I. L'ambasciatore fu il fedele interprete della prudente politica veneziana, assicurando il re della ferma volontà della Repubblica di opporsi all'imperatore, se fosse sceso in Italia, ma esortandolo ad evitare ogni atto che potesse provocare Carlo V alla guerra. Iniziatesi nel 1521 le ostilità tra l'imperatore e la Francia, il B. si adoperò a dissipare ogni sospetto sulla fedeltà di Venezia all'alleanza, premendo anzi affinché Francesco I venisse in Italia per una vigorosa controffensiva. Ma nel 1523 egli avvertì il Senato che neppure quell'anno il re avrebbe mantenuto le reiterate promesse di passare in Italia con un forte esercito, contribuendo così ad indurre la Repubblica a concludere con l'imperatore il trattato del 29 luglio 1523.
Tornato a Venezia, il B. fu dal febbraio 1525 ai primi di maggio 1526 capitano a Verona. Entrato il 10 ottobre di quest'anno nella Giunta del Senato, quando il doge e altri senatori proposero che si ordinasse al capitano generale di passare il Po per soccorrere il papa contro le truppe imperiali, egli sostenne l'opposto parere, che poi prevalse, di mantenere l'esercito entro lo Stato, lasciando gli alleati al loro destino. Dall'agosto del 1528 al settembre dell'anno seguente, assieme a Daniele Renier e Francesco Bragadin, attese alla regolazione del Maggior Consiglio, compilando un codice delle principali leggi riguardanti particolarmente l'elezione dei magistrati e degli altri uffici. Dal 25 luglio 1531 al 9 sett. 1532 fu podestà a Padova., Negli ultimi anni fu ancora savio del Consiglio, membro del Consiglio dei Dieci e della Giunta di questo, e, nel 1534, uno degli otto ambasciatori inviati a Paolo III dalla Repubblica per congratularsi della sua elezione.
Morì nel gennaio del 1535.
Fonti e Bibl.: Venezia, Bibl. Correr, cod. Cicogna 3781, G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio...,I,pp. 46 s. (altra copia a Vienna, Oesterreichische Nationalbibliothek, fondo ex Foscarini,cod. 6093); Arch. di Stato di Venezia, M. Barbaro, Arbori de' patritii veneti,I, p. 63; G. M.Mazzuchelli, GliScrittori d'Italia,II, 1, Brescia 1758, p. 33; G. Agostini, Notizie istorico-critiche intorno la vita, e le opere degli scrittori. viniziani,II,Venezia 1754, p. 470; M.Foscarini, Della letteratura veneziana,Venezia 1854, pp. 30 s.; P. Bembo, Lettere,Venezia 1575, II, pp. 126 s.; Id., Istoria viniziana, Venezia 1790, II, pp. 46-49; A. Morosini, Historia veneta,Venezia 1719, pp. 8-9; P. Patuta, Historia vinetiana,Venezia 1718, pp. 633 s.; F. Guicciardini, Storia d'Italia,Bari 1929, IV, p. 176. Ma la fonte di gran lunga più importante è M. Sanuto, Diarii,Venezia 1879-1903, ove il B. è ricordato numerose volte in tutti i 58 volumi; importanti pure i dispacci conservati all'Arch. di Stato di Venezia, Capi del Consiglio dei Dieci, Lettere degli ambasciatori in Francia,B. 10, nn. 3, 5-81, 83-84, 86-88, 128-137; Lettere degli ambasciatori a Napoli, B. 18, nn. 1-12; Lettere degli ambasciatori in Polonia, B. 19, nn. 210-216; Lettere degli ambasciatori a Roma,B. 20, nn. 53-54, 73-77; Lettere degli ambasciatori in Spagna,B. 29, nn. 618; Lettere degli ambasciatori in Ungheria,B. 30, nn. 258-259.
Per la figura del letterato, oltre ai repertori biografici cit., si veda: Filareto all'aurea sua catena, egloghe III di Giovanni Badoaro (per nozze Baglioni-Giustinian Recanati), Venezia 1830.