AURISPA, Giovanni
Dei suoi primi anni nulla sappiamo. Formò la sua istruzione a Napoli, dove dimorò nella prima decade del 1400 al tempo del re Ladislao. Poi al servizio, come supponiamo, di qualche mercante viaggiò in Oriente; il 21 aprile 1413 era a Chio. Ritornò in Italia nel 1414 e si allogò come maestro a Savona, tenendovi scuola cinque anni fino al 1419. Tra il 1419 e il 1420 si accompagnò a Firenze al nuovo pontefice Martino V, proveniente da Costanza, e lo seguì a Roma, dove si trattenne fino al 1421. Nella seconda metà di quest'anno riprese la via di Costantinopoli con una missione di Gianfrancesco Gonzaga presso l'imperatore Manuele. Succeduto a Manuele il figlio Giovanni, con lui l'A. alla fine del 1423 s'imbarcò per l'Italia, toccando Venezia, indi Verona, dove furono salutati da Guarino, e fermandosi a Milano. Di là accolse nel giugno del 1424 la condotta alla lettura di greco a Bologna, e da Bologna nel settembre del 1425 la condotta allo Studio di Firenze. Chiusosi lo Studio per la guerra, tra la fine del 1427 e il principio del 1428 si trasferì a Ferrara ad assumere l'ufficio di istitutore di Meliaduce, figlio al marchese, e Ferrara divenne la sua residenza definitiva. Ebbe dal marchese una missione a Roma nel 1432 e al concilio di Basilea nel 1433. Reduce da Basilea, raggiunse a Firenze la curia pontificia di cui divenne segretario e la seguì a Bologna, a Ferrara e di nuovo a Firenze, fino alla chiusura del concilio nel 1443. Ritornato a Ferrara, divise gli ultimi anni della vita tra le mansioni della corte estense e quelle della curia romana.
L'Aurispa non possedeva attitudini all'insegnamento superiore; tentò la poesia con risultati poco felici; meglio riuscì in alcune traduzioni dal greco. Il suo merito altissimo e la sua originalità consistono in uno spirito investigatore, che lo mosse a frugare nei monasteri e a trarne manoscritti. Li seppe anche vantaggiosamente negoziare, ma bisognò bene che prima li scoprisse. Sono importanti i testi latini da lui scovati in Germania al tempo del concilio di Basilea, quali il commento di Donato a Terenzio e i Panegirici; ma importanza di gran lunga maggiore e per numero e per qualità hanno i codici greci portati dalle due escursioni in Oriente. Nominarli tutti non è opportuno; citiamo quelli che costituiscono preziosissime rarità: le due Antologie, la Palatina e la Planudea; i due volumi marciani dell'Iliade; Eschilo. Sofocle e Apollonio Rodio, nella Laurenziana; gli Inni omerici; i due Atenei: Sulle macchine da guerra e Deipnosofisti; Platone; Pindaro; i Moralia di Plutarco; due autori riperduti: Dionysius, Super significationibus dictionum e i Καϑαρμοί di Empedocle. Quando si ripete che gli umanisti italiani furono semplici riscopritori di fronte ai primi scopritori che furono i monaci carolingi, si dimentica che nel caso dell'A., il quale operava su testi greci, non ci fu nessun esempio precedente e che in lui rifulge pura e solenne l'originalità del genio italiano.
Bibl.: R. Sabbadini, Biogr. docum. di G. A., Noto 1891; id., Un biennio umanistico, in Giorn. stor. della letter. ital., Torino 1903, suppl. n. 6, p. 74 segg.; G. A. scopritore di testi antichi, in Historia, I (1927), pp. 77-84; G. A. Cesareo, Un bibliofilo del Quattrocento, in Natura ed arte, I (1892), pp. 958-964.