ARCIMBOLDI, Giovanni
Nacque a Parma intorno al 1430 da Nicolò e Orsina Canossa. Studiò, come il padre, diritto e conseguì a Pavia il dottorato in utroque iure; coltivò, tuttavia, anche studi letterari e ascoltò il Filelfo, col quale rimase per un lungo periodo di tempo in rapporti epistolari.
Nel 1436 si trasferì a Milano col padre, entrato al servizio di Filippo Maria Visconti. Il 10 sett. 1437 gli A. ricevettero dal duca la cittadinanza milanese. Dopo la morte di Filippo M. Visconti essi aderirono a Francesco Sforza, dal quale ebbero ancora missioni e uffici. Anche l'A. fu avviato alla carriera amministrativa.
Il 6 ag. 1454 era procuratore del duca per la lega con Venezia dopo la pace di Lodi e il riconoscimento dello Sforza da parte della Signoria. Il 15 nov. 1463 fu nominato maestro delle entrate straordinarie e il 19 ag. 1466 membro dei Consiglio di giustizia.
L'A. aveva sposato diversi anni prima una certa Briseide, dalla quale aveva avuto un figlio, Luigi, anch'egli giureconsulto, membro del Consiglio segreto e infine governatore di Cremona; non sembra esatta, invece, la notizia - data da alcuni - di un secondo figlio di nome Andrea, che si vorrebbe addirittura suo successore nella sede vescovile di Novara. Rimasto vedovo, infatti, l'A. passò allo stato clericale. S'ignorano la data di morte della moglie e i motivi della sua decisione; l'inizio della sua carriera ecclesiastica è da ascriversi senz'altro ai primi del 1467: essa fu straordinariamente rapida, grazie alla protezione e agli interventi del duca Galeazzo Maria Sforza. Lasciato il Consiglio di giustizia, il 22 dic. 1467 l'A. venne nominato membro dei Consiglio segreto, con un brevetto in cui è detto già "Reverendus pater j. u. doctor Iohannes A. Prothonotarius Apostolicus" (Arch. di Stato di Milano, Reg. ducali, n. 167, c. 286).
Venuto a morte il vescovo di Novara Bernardo de Rossi, il duca volle che a quella sede fosse nominato l'A., raccomandandolo caldamente presso Paolo II. Alla riluttanza del papa nel promuoverlo, essendo "troppo novello ecclesiastico" l'ambasciatore di Galeazzo Maria replicò riferendo le lodi del suo signore e tanto insistette che alla fine di gennaio del 1468 l'elezione era ottenuta; la nomina ufficiale venne procrastinata, però, al 21 ottobre successivo. L'A. restò peraltro vicino al duca come couaboratore, consigliere politico e agente diplomatico. Nel 1471 e nel 1472 svolse missioni a Firenze e a Roma, periperiodici rinnovi della Lega italica. Nel 1472 fu nominato ambasciatore presso Sisto IV.
L'amicizia collo Sforza, da un lato, e con Gerolamo Riario, dall'altro, spiegano l'inaspettata concessione della porpora, conferitagli da Sisto IV il 7 maggio 1473. Ebbe il titolo dei SS. Nereo e Achilleo, cambiato poi in quello di S. Prassede nel concistoro del 10 dic. 1473. Anche da cardinale l'A. continuò a svolgere le funzioni di ambasciatore dello Sforza, per il quale ottenne dal papa grazie e concessioni. Il Liber Notarum del Burckard e i registri vaticani attestano anche l'intensa attività svolta dall'A. in Curia. Nominato camerlengo ad interim del sacro collegio il 31 maggio 1476 e il 19 maggio 1482, ne esercitò le funzioni effettive dal 15 genn. 1483 al 19 genn. 1484.
Il 15 genn. 1477 Sisto IV lo aveva nominato legato in Umbria e il 7 febbraio successivo legato "in Ungariam, Germaniam, Boemiam et partes adiacentes" (C. Eubel, II p. 45). Mancano particolari su queste missioni (l'Argelati e il Moroni sono i soli ad aggiungere che l'A. ricondusse i Boemi alla fedeltà alla S. Sede), ma non pare si possa negare che siano realmente avvenute. Secondo il Gams (p. 749), l'A. avrebbe avuto nel 1480 l'amministrazione del vescovato di Fiesole, che sarebbe stato resignato l'anno successivo in favore di Roberto Folco.
Fu nuovamente nominato legato a latere per la provincia di Perugia il 15 nov. 1483, nomina confermatagli da Innocenzo VIII nel concistoro del 22 sett. 1484. Partito l'11 ottobre successivo per la sua missione, lo raggiungeva a Foligno la notizia della morte dell'arcivescovo di Milano Stefano Nardini (21 ottobre) e del suo trasferimento dalla sede di Novara (che cercò di far assegnare a suo figlio Luigi) a quella di Milano appena quattro giorni dopo. Rientrò a Roma nei primi giorni del gennaio del 1485, ma non per recarsi nella sua diocesi, dove non pose mai piede, bensì per partecipare alla solenne canonizzazione del b. Leopoldo il Pio d'Austria (6 genn. 1485).
Aveva cumulato benefici e commende: il monatero di S. Ambrogio, che nel 1484 designò in favore del cardinale Ascanio Sforza; l'abazia di S. Abbondio in Como; l'abazia di S. Nazzaro in diocesi di Vercelli; l'abazia di S. Benedetto di Gualdo in diocesi di Nocera; l'abazia di S. Dionigi in Milano, che il 4 maggio 1487 designò in favore del fratello Guido Antonio. Godeva anche di una pensione annua di 500 fiorini sul monastero di S. Lorenzo di Cremona.
Ammalatosi nell'estate del 1488 l'A. morì il 2 ottobre dello stesso anno nel suo palazzo sito nei pressi dell'attuale piazza Madama, a Roma, e fu sepolto nella chiesa di S. Agostino; della sua tomba ora non si ha più traccia. Sul sarcofago degli Arcimboldi nel duomo di Milano v'è un busto che lo raffigura.
È difficile cogliere con esattezza la personulità dell'A., ma non sembra si possa dire - come il Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., III, col. 1580 - che fu solo un prelato politico rivolto esclusivamente a fare la fortuna della sua famiglia. Dotato di buona preparazione giuridica e letteraria, l'A. intrattenne rapporti culturali col Filelfo, col Decembrio, coi Maioragio e altri letterati; nella biblioteca del Filelfo sono stati individuati diversi codici appartenuti all'Arcimboldi. Gli si attribuiscono omelie e discorsi e l'Argelati ricorda un suo trattato De ponderibus et monetis in tre libri, di cui, però, non si hanno altre notizie. Non è certamente suo il Catalogus Hereticorum, che pure gli è attribuito.
L'A. non mancava di sensibilità religiosa e molti indizi lo mostrano preoccupato almeno della dignità del culto e dell'importanza della liturgia: fece dono di paramenti e arredi sacri al duomo di Milano, ordinò e fece miniare messali e breviari per suo uso, disciplinò la celebrazione delle messe da parte dei cappellani del duomo; egli stesso doveva celebrare con non consueta devozione, se un cronista presente alla messa di capodanno del 1476 riferisce che "il card. di Novara ha cantato messa cum bono modo et degnissime manere et fu collaudato molto".
Non molto impegno sembra aver messo nell'attività pastorale. Governò la diocesi di Novara, che tenne per sedici anni, servendosi di vicari e amministratori, come Ambrogio Caccia, vescovo titolare di Salona, e Bartolomeo Besozzi: "si quid in grege Domini efficiebat per vicarios efficiebat" dice il Bascapè (Novaria Sacra, p. 521). Per mezzo di costoro pubblicò nel 1469 gli Statuti della pieve di Gozzano, nel 1473 di Riva S. Giulio e nel 1477 della collegiata di Intra; emanò anche dei decreti contro l'esosità degli avvocati. Neanche per la diocesi milanese si conoscono sue iniziative pastorali, benché in quegli anni non siano mancati nel Milanese fermenti di vita religiosa. I suoi tentativi per riportare l'osservanza nel monastero di S. Ambrogio, di cui era commendatario, non sembra abbiano dato grandi risultati.
Bisognerebbe riconoscergli, tuttavia, un franco riesame di coscienza e una coraggiosa iniziativa di riforina, se èveramente di sua mano uno scritto del 1487, rinvenuto nell'Archivio della curia di Milano, contenente un elenco di disposizioni relative al clero e al culto e forse identificabile con quegli "Statuta pro cleri reformatione" che l'Argelati e il Sassi gli attribuiscono. Vi si prescrive un inventario periodico degli arredi sacri in duomo e in arcivescovado, il ripristino della tonsura e dell'abito da parte degli ecclesiastici, l'osservanza della clausura nei monasteri; vi sono norme per la celebrazione degli uffici divini in duomo, per le visite pastorali, per l'adempimento del precetto pasquale. Che queste disposizioni siano opera dell'A. è, tuttavia, poco più che un'ipotesi.
Fonti e Bibl.: La corrispondenza dell'A. col duca di Milano è nell'Archivio di Stato di Milano, Arch. Sforzesco, Pot. Estere, Roma, 1472-1473 e in parte nella raccolta degli Autografi, cartelle 18, 22, 46. Questa corrispondenza è stata sfruttata da L. v. Pastor per la sua Storia dei Papi dalla fine del Medio Evo, II, Roma 1932, pp. 450, 460, 599, 603, 608; III, ibid. 1932, pp. 181, 262, 835, 838. Sull'A. cfr. anche Iohannis Burckardi Liber Notarum, in Rer. Italic. Script., 2 ediz., XXXII, 1, a cura di E. Celani, pp. 5, 7, 17, 24, 26, 83, 84, 95, 96, 103, 112, 119, 163, 164, 190, 238, 239; e inoltre C. Bascapè, Novaria Sacra seu de ecclesia novariensi, Novariae 1612, p. 521 ss.; P. Morigi, La nobiltà di Milano, Milano 1619, libro II, pp. 145 s.; Ph. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, I, 2, Mediolani 1745, pp. 79-80; G. A. Sassi, Archiepiscoporum Mediolanensium series historico-chronologica, III, Mediolani 1755, pp. 944-948; G. Moroni, Diz. di erudizione stor.-ecclesiastica, II, Venezia 1840, p. 317; C. Eubel, Hierarchia Catholica, II, Monasterii 1901, pp. 17, 43 ss., 51 ss., 208, 226; A. Calderini, I codici milanesi delle opere di Francesco Filelfo, in Archivio storico lombardo, XLII, 1-2 (1915), pp. 348, 359; E. Lazzeroni, Il consiglio segreto o Senato Sforzesco, in Atti e Memorie del terzo congresso storico lombardo, Milano 1939, pp. 130 s.; C. Santoro, Gli uffici del dominio Sforzesco, Milano 1947, pp. 9, 40, 75; A. R. Natale, I Diari di Cicco Simonetta, in Arch. stor. lombardo, LXXXI-LXXXII (1948-1949), pp. 111-114; LXXXIII (1950) p. 22; M. Magistretti, Visite Pastorali del sec. XV nella diocesi di Milano, in Ambrosius, XXXI (1955), pp. 212 s. (dà il testo delle riforme attribuite all'A.); P. B. Gams, Series episcoporum Ecclesiae Catholicae, Graz 1957, p. 749, 796, 820; C. Marcora, Due fratelli arcivescovi di Milano: il card. Giovanni (1484-1488) e Guido Antonio A.(1488-1497) in Memorie storiche della Diocesi di Milano, IV(1957), pp. 288 ss.; Dictionn. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., III, coll.1579 s.; Enciclopedia Ital., IV, p. 98; Enciclopedia Cattolica, I, col. 1841.