VOLPI, Giovanni Antonio
– Nacque a Como dal notaio e decurione della città Giovanni Pietro e da Clara Galli, non è chiaro se il 30 dicembre 1513 o il 31 gennaio 1514, primo di sei fratelli. Nulla sappiamo dei suoi primi anni e della sua formazione, che fu senza dubbio di stampo umanistico.
Rimasto orfano di padre, fu inviato a studiare all’Università di Pavia dove ottenne la laurea in utroque iure e, nel 1538, divenne canonico della cattedrale della sua città per resignazione in suo favore di uno zio. Nel 1542, entrò nel Collegio dei giuristi di Como, fatto che testimonia l’ottima posizione goduta dalla famiglia Volpi all’interno del patriziato cittadino: lo stesso Giovanni Antonio svolse diverse mansioni per il Municipio, come redigere un’allegazione a favore della precedenza di Como su Lodi e prender parte a un’ambasceria municipale a Carlo V. Inoltre egli fu in corrispondenza con numerose figure della cultura milanese di quegli anni – fra cui, per esempio, Francesco Ciceri e Marc’Antonio Maioragio, alias Antonio Maria Conti – e partecipò attivamente alla vita culturale cittadina dominata dalle figure dei fratelli Benedetto e Paolo Giovio. Fu anche autore di componimenti poetici in latino, rimasti inediti sino alla pubblicazione nel Settecento da parte dell’omonimo discendente e letterato (v. la voce in questo Dizionario).
Spinto da Paolo Giovio, nel 1547 Volpi si recò a Roma, dove entrò al servizio del cardinale Alessandro Farnese. Non è chiaro se per motivi di salute o per scarsa fortuna nel trovare una sintonia con i circuiti cortigiani romani, egli preferì tornare a Como: qui, nel 1552, esercitò la carica di vicario generale del vescovo, nonché creatura farnesiana, Bernardino della Croce. Quando questi decise di rinunciare al vescovado di Como, ottenne che papa Paolo IV nell’aprile del 1559 investisse proprio Volpi, riservandosi peraltro una cospicua pensione, pari alla metà delle entrate della mensa vescovile. Nel maggio di quell’anno Giovanni Antonio ricevette gli ordini maggiori e fu ordinato sacerdote e, nel luglio successivo, fu creato vescovo da Giulio Giovio, vescovo di Nocera.
Un’ulteriore svolta nella carriera di Volpi fu la decisione di papa Pio IV di nominarlo nunzio presso i Cantoni elvetici nel marzo del 1560.
Tale scelta – quasi contemporanea alla nomina del cardinale nipote Carlo Borromeo a protettore degli svizzeri presso il Sacro Collegio – deve essere letta all’interno della strategia di riconquista o almeno di rafforzamento del cattolicesimo, che il pontefice milanese e i suoi collaboratori, in primo luogo il suo segretario Tolomeo Galli, anch’egli comasco, perseguivano in rapporto a un’area di confine della penisola italiana proiettata verso la Francia e la Germania. Le terre elvetiche avevano visto quasi tutte le diocesi spazzate via dalla Riforma protestante e il nunzio papale avrebbe avuto un ruolo delicatissimo nel tentativo di riannodare i fili con i cattolici, in un contesto assai frazionato dal punto di vista religioso e politico.
Non è un caso che, nelle istruzioni impartite a Volpi dal cardinale Borromeo, si facesse riferimento non solo al fatto che egli era vescovo di Como con giurisdizione spirituale su terre appartenenti agli svizzeri (il Ticinese) e alle Leghe Grigie (la Valtellina, i contadi di Valchiavenna e di Bormio), ma che avrebbe anche avuto più facilmente modo di raccogliere notizie su «humori et costumi» da trasmettere a Roma (Borromeo a Volpi, Roma, 22 aprile 1560, in Giovanni Antonio Volpe Nunzius in der Schweiz, I, a cura di K. Fry, 1935, p. 21). Ai primi di maggio Volpi giunse ad Altdorf. Le facoltà concessegli da Pio IV, il 23 luglio successivo, disegnano una figura dotata di una notevole molteplicità e ampiezza di poteri, chiamata a operare in una realtà oltre modo complessa e frastagliata sul piano politico, religioso ed ecclesiastico. Egli era infatti definito nunzio con autorità di legato de latere della S. Sede, dotato di giurisdizione su tutte le cause spirituali, profane e miste pertinenti al foro ecclesiastico di prima istanza e d’appello, in grado anche di procedere in forma sommaria, nonché di citare e scomunicare. Il nunzio aveva inoltre l’autorità di creare sino a 24 conti palatini e 12 notai della Sede apostolica con tutti i privilegi del caso, di concedere il titolo di dottore in utroque iure e di maestro in teologia e dispense per defectum natalium, per defectum aetatis e in materia matrimoniale. Oltre a ciò Volpi ricevette la facoltà di visitare, correggere e riformare tutte le chiese e i monasteri, anche esenti, nella sua diocesi e nelle terre dove esercitava la legazione. Più in generale Pio IV concesse al prelato di esercitare i suoi poteri di legato de latere, oltre a quelli vescovili, anche nel governo della diocesi di Como. Inoltre, per l’espletamento della sua missione – il cui caposaldo era il mantenimento dei Cantoni nel perimetro del cattolicesimo – Volpi ricevette per ordine del pontefice un fondo di 20.000 scudi d’oro dalla Camera apostolica, così da comprare alleati e sostenitori alla causa cattolica.
In effetti il nunzio si trovò subito a operare in un contesto di aspre divisioni confessionali che attraversavano la società locale in maniera disomogenea e diversificata anche sul piano territoriale. Per giunta, il fatto che l’intera area elvetica fosse una zona su cui si appuntavano, sin dalle guerre d’Italia, gli interessi delle potenze europee e, in quei mesi, le mire del duca di Savoia su Ginevra, non contribuiva certo a un clima sereno. Ecco dunque Berna che, nel giugno del 1560, andava armandosi per soccorrere Ginevra nel caso di una mossa dei Cantoni cattolici.
Eloquente testimonianza delle molteplici incombenze del nunzio papale fu, nel giugno del 1562, il suo interessamento per l’arruolamento dei soldati da impiegare nello Stato della Chiesa e per quelli richiesti dai contendenti delle guerre di religione in Francia.
Da parte sua, Volpi riteneva che i dissensi religiosi erano figli del basso livello culturale generale e del diffuso analfabetismo. Per questo egli consigliò Roma di puntare sull’istruzione dei fedeli cattolici elvetici con l’invio di predicatori in grado di parlare le lingue locali, dotati di solida eloquenza e di buoni costumi, dal momento che aveva trovato nel clero comportamenti riprovevoli. In questo senso egli indicava nei gesuiti i soggetti più utili.
Dopo aver caldeggiato presso i Cantoni cattolici elvetici la loro partecipazione al Concilio di Trento, cosa che essi fecero con apparente entusiasmo, ma sostanziale tiepidezza, nel gennaio del 1563 Volpi lasciò Baden per recarsi a Trento, dove giunse, dopo una sosta di oltre un mese a Como, ai primi di aprile. Tornato a Como nel dicembre, fu sollevato dall’incarico di nunzio nel luglio del 1564: celebrò, nel mese di maggio del 1565, un primo sinodo diocesano per la recezione dei decreti del Concilio di Trento in cui pose l’accento sulla formazione teologica del clero, sul retto esercizio della cura d’anime, sulla disciplina dei chierici e dei fedeli. Restava tuttavia sostanzialmente impossibile l’attuazione delle deliberazioni sinodali nelle porzioni della diocesi sottoposte all’autorità politica delle Leghe Grigie, di fede riformata, molto attente a controllare l’attività ecclesiastica e a impedire ogni atto giurisdizionale delle gerarchie cattoliche. In questo contesto non mancarono le accuse al vescovo di tiepidezza nel sostegno ai cattolici valtellinesi e divergenze con lo stesso Borromeo che, divenuto arcivescovo di Milano, premeva per iniziative più energiche nel supporto alla causa del cattolicesimo.
Nel luglio del 1565, Pio IV rinnovò l’incarico di nunzio presso gli svizzeri al prelato – che aveva ben operato per giungere proprio in quei giorni alla firma del trattato di alleanza fra questi ultimi e la S. Sede –, anche se Volpi ottenne di poter continuare a risiedere a Como.
Nell’aprile del 1571 tenne un secondo e più lungo sinodo diocesano. Compì anche le visite pastorali della diocesi, con eccezione della Valtellina e della Valchiavenna: una assai approfondita negli anni 1567-71 e un’altra per mezzo dei suoi vicari nel periodo 1580-87. Furono questi gli anni di più intensa attività, secondo lo schema episcopale borromaico, con la creazione di confraternite del Ss. Sacramento, l’istituzione delle congregazioni dei parroci, del seminario presso il capitolo della cattedrale – chiuso dopo pochi anni a causa delle difficoltà economiche – e delle compagnie della dottrina cristiana (1573) e infine l’emanazione di editti volti a disciplinare il comportamento dei fedeli nei giorni festivi.
Nel frattempo Gregorio XIII rinnovò per due volte a Volpi, nel 1573 e nel 1576, l’incarico di durata triennale di nunzio presso gli svizzeri, pur continuando a risiedere a Como. La sua azione fu comunque giudicata assai duramente da Borromeo che non esitò a ottenere dal pontefice l’invio di un proprio uomo di fiducia, il vescovo di Vercelli Giovanni Francesco Bonomi, per condurre, nell’estate del 1578, una visita apostolica della diocesi di Como, senza peraltro potersi recare nelle terre sottoposte alle Leghe Grigie. Il medesimo Bonomi fu chiamato, nel 1579, ad assumere l’incarico di nunzio in sostituzione di Volpi.
Morì a Como il 30 agosto 1588 all’età di oltre settantaquattro anni, secondo quanto indicato nella lapide funeraria.
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