VENIER, Giovanni Antonio
– Nacque a Venezia nel 1477, unico figlio di Giacomo Alvise e di Samaritana Arimondo di Pietro.
I natali furono modesti; inoltre, alla presentazione per la Balla d’oro (4 maggio 1495) il diciottenne Venier risulta orfano del genitore, e questo fu un ulteriore incentivo a procurarsi per tempo un impiego: il 18 novembre 1499, infatti, venne eletto pesatore dell’Argento e quattro anni dopo figura avvocato alle Corti in Rialto.
Benché privo del titolo dottorale, riuscì a farsi apprezzare nella professione giuridica che, pur saltuariamente affiancata ad altre, avrebbe continuato a esercitare per decenni. Auditor vecchio nel settembre del 1510, nell’aprile del 1512 venne eletto sindaco in Terraferma, assieme a Faustino Barbo. Fu una missione contrastata; si trattava di rivedere l’amministrazione dei rettori, mentre era tuttora in corso la guerra della Lega di Cambrai che aveva dissestato l’apparato amministrativo dello Stato. Lasciata Venezia il 9 ottobre 1512, il 6 febbraio 1513 Venier e Barbo erano a Schio per indagare sul saccheggio della casa del locale nunzio a Venezia, ma senza esito, per cui qualche giorno dopo, il 17 febbraio, il Senato ordinò il rimpatrio «con gran vergogna di synici. Ancora non è stati sul Polesene, Padoa, Padoana, Cividal de Bellun, nel Feltrino, in la Patria dil Friul e l’Istria, e verano a casa» (M. Sanudo, I Diarii, a cura di R. Fulin et al., 1879-1903, XV, 1886, col. 548). Il 31 maggio Venier si presentò alla Quarantia criminale denunciando comunque le malversazioni riscontrate e chiedendo la carcerazione di taluni rettori, «siché – commenta Marino Sanudo (XVI, 1886, col. 311) – sarà avochato ut ante».
Non si può escludere che il malcontento del Senato su quanto operato da Venier nel corso del sindacato in Terraferma avesse qualche fondamento, visto che pochi mesi dopo costui compì un pellegrinaggio in Terrasanta, un po’ per devozione un po’ per far dimenticare certi suoi trascorsi. Partito alla fine di giugno del 1515, il 26 dicembre era di ritorno a Venezia. Che la situazione economica di Venier, prossimo ai quarant’anni, fosse ormai lontana dalle angustie di un tempo lo provano il prestito di 1000 ducati accordato all’avogaria di Comun il 6 aprile 1516 e, nello stesso anno, il matrimonio con Pierina Michiel di Tommaso, che gli avrebbe dato diversi figli, nessuno dei quali avrebbe avuto discendenza, sicché con loro si sarebbe estinto questo ramo dei Venier.
Ma non interruppe la professione di avvocato: il 16 febbraio 1517 per la Quarantia criminale, il 1° luglio per la comunità dei tedeschi; il 27 novembre fu nominato avvocato straordinario alle Corti, il 3 luglio 1518 figura avvocato ai Dieci offici e lo stesso giorno mancò l’elezione ad ambasciatore in Ungheria; la cosa si ripetè il 1° ottobre, quando venne candidato, ma non eletto, ambasciatore a Verona per trattare i capitoli di pace con i delegati cesarei. Finalmente l’8 febbraio 1519 fu eletto sindaco in Levante, ma non accettò l’incarico; nei due anni che seguirono continuò a esercitare le mansioni di avvocato con brillanti risultati, sì da essere temuto dai colleghi che con lui dovevano confrontarsi.
Alla fine del 1522 (6 novembre) rifiutò l’ambasceria in Inghilterra, preferendo essere fra i dieci savi alle Decime; scrive Sanudo che il 12 settembre 1523 Venier accettò l’elezione ad avogador di Comun «per forza di pregierie [...]. Questo è ai X Savi in Rialto, et ha sempre fatto l’officio di avochato, maxime in Quarantia Criminal, [...] et mò entra avogador di Comun. Questo è avochato di la Procuratia de ultra et ha ducati 100 a l’anno, avochato di frati di San Zorzi mazor con ducati [...] a l’anno, avochato dil Fontego di todeschi con ducati [...] a l’anno, siché etiam vadagnava di avochataria in cose criminal ben, che poi el romase di Pregadi si extegniva assà danari a l’anno; mò essendo Avogador, convien lassar tutta sta intrada» (M. Sanudo, I Diarii, cit., XXXIV, 1892, coll. 404 s.).
Lo fece controvoglia e lo fece male: «ussito con pessima fama», ci informa ancora Sanudo in data 12 gennaio 1525 (XXXVII, 1893, col. 437), donde l’emarginazione dalla politica che gli fu imposta fino a tutto il 1529; l’ostracismo ebbe termine solo dopo due prestiti da lui accordati all’erario nel corso della Lega di Cognac, il 29 maggio 1528 e il 1° marzo 1529, sicché il 2 aprile 1530 fu eletto ambasciatore in Francia, assieme a Giovanni Pisani, per rallegrarsi della liberazione dei figli del re e del nuovo matrimonio di quest’ultimo con Eleonora d’Austria.
Partiti da Venezia il 23 agosto 1530, i due giunsero a Parigi soltanto il 16 gennaio 1531, a causa di un’indisposizione di Pisani; espletato l’ufficio, Venier rimase unico ambasciatore sino al 27 dicembre 1532, ma non fu una legazione difficile, dal momento che la situazione italiana era ormai nelle mani di Carlo V. La politica veneziana parve assumere un qualche rilievo solo all’inizio del 1532, quando sembrò possibile uno sbarco degli Ottomani in Italia; il prudente riserbo allora imposto dal Senato a Venier suscitò tuttavia il disgusto dei francesi, come egli riferiva il 5 marzo 1532: «Son dimandato da questi signori, io non so che risponder, et loro dicono qualche volta parole che bello è tacer» (M. Sanudo, I Diarii, cit., LV, 1900, col. 689).
Tornato a Venezia con le insegne di cavaliere, si rinnovarono gli incarichi: savio di Terraferma nel secondo semestre del 1533, podestà e capitano a Crema dall’inizio del 1534 alla primavera del 1535, ancora savio di Terraferma per il secondo semestre del 1535, il 14 ottobre fu chiamato a far parte dell’ambasceria straordinaria a Carlo V di ritorno dalla spedizione in Africa.
Lasciata Venezia a fine anno, Venier si recò a Napoli con i colleghi, poi seguì l’imperatore in Spagna con la speranza di indurlo a realizzare un accordo con Francesco I in funzione antiturca, poiché sembrava imminente un’offensiva di Solimano contro i possedimenti veneziani, che stavolta si sarebbe concretizzata nell’assalto a Corfù. Per quasi due anni Venier accompagnò Carlo V nei suoi spostamenti ed era con lui a Barcellona il 14 marzo 1538, quando ricevette l’ordine di portarsi a Nizza per far parte della delegazione veneziana al convegno che avrebbe riunito il papa, l’imperatore e il re di Francia. Lì si fermò dal 20 maggio al 18 giugno 1538, senza peraltro che si realizzasse l’impegno antiturco auspicato dalla Serenissima.
Rimpatriato via mare, il 19 agosto 1538 Venier fu ambasciatore al duca di Ferrara e savio di Terraferma per i restanti mesi dell’anno, quindi fece parte degli inquisitori sopra il defunto doge Andrea Gritti (3 gennaio 1539) e il 28 agosto venne eletto luogotenente a Udine, dove rimase da ottobre sino al marzo del 1541. In seguito (19 luglio 1541) venne destinato con Vincenzo Grimani, Nicolò Tiepolo e Marcantonio Contarini ad accompagnare attraverso le province venete Carlo V, che dalla Germania si recava a Lucca per incontrare il papa.
Qualche mese dopo, il 24 novembre, il segretario di Stato pontificio scriveva al nunzio a Venezia per avere informazioni su quattro arazzi «del disegno di Raffaello» (Nunziature di Venezia, II, a cura di F. Gaeta, 1960, p. 318), rubati dalla cappella Sistina durante il sacco di Roma, finiti in mano di Venier e da questi venduti a Cesare Fregoso.
Savio di Terraferma per la prima metà del 1542, il 7 febbraio fu eletto ambasciatore straordinario in Francia ad affiancare e poi sostituire Matteo Dandolo, dal momento che era prossima la ripresa delle ostilità tra Francesco I e Carlo V; di questa legazione, protrattasi sino all’estate del 1544, ci restano solo tre dispacci, scritti da Ligny fra il 6 e il 10 luglio 1542. Questa mancanza di notizie si estende anche alla successiva ambasceria a Roma, cui venne eletto il 12 settembre 1544 nell’imminenza del Concilio tridentino, ma dove si occupò principalmente dei danni provocati dagli uscocchi e della conseguente concessione alla Repubblica di alcune decime ecclesiastiche, quale contributo per le gravose spese affrontate.
Nuovamente a Venezia dopo essere stato sostituito da Nicolò Da Ponte all’inizio del 1547, Venier ricoprì fino a giugno la carica di savio del Consiglio, poi (7 settembre 1547) entrò a far parte del Consiglio dei dieci, quindi fu savio del Consiglio per il secondo semestre del 1548 e poi censore fino all’ottobre del 1549.
Morì a Venezia il 2 febbraio 1550.
Nel testamento, redatto qualche mese prima, il 3 agosto 1549, raccomandava alla moglie e ai figli di vendere i suoi vestiti e alcuni mobili di casa «o troppo deliciosi, o forsi soverchi alla nostra tenue facultà, arricordandosi che nui siamo gentilhomeni di modesta fortuna» (Archivio di Stato di Venezia, Notarile, Testamenti, b. 194/546).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Misc. Codd., s. 1, 20, Storia veneta: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii veneti, VII, p. 239; Avogaria di Comun, Balla d’oro, reg. 164, c. 330v; Avogaria di Comun, Prove di età per patroni di galere, reg. 179, c. 126v; Segretario alle voci, Misti, reg. 6, c. 139r; Segretario alle voci, Elezioni Pregadi, reg. 1, cc. 8, 9, 11, 12, 18, 19, 28, 29, 30; Archivio proprio Francia, b. 1 (dispacci di Venier dal 1530 al 1532; la relazione, letta in Senato l’11 marzo 1533, ma non conservataci, è riassunta da Sanudo nei Diarii, LVII, 1902, coll. 610-615); b. 2, dispacci non numerati dal 18 maggio al 18 giugno 1538; b. 3, nn. 86-88; Archivio proprio Germania, b. 1a, nn. 10-13, 16 (dispacci dal 27 dicembre 1535 al 9 gennaio 1536, relativi alla missione a Napoli); Archivio proprio Spagna, b. 1, nn. 5-12 (dispacci da Nizza e Villafranca dal 10 al 24 maggio 1538); Senato, Secreti, reg. 65, cc. 11v-12r; Notarile, Testamenti, b. 194/546; M. Sanudo, I Diarii, a cura di R. Fulin et al., I-LVIII, Venezia 1879-1903, V, VII, IX-XVI, XIX-XLII, XLV-LVIII, ad ind.; I libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, VI, Venezia 1903, pp. 228, 230; Nunziature di Venezia, II, a cura di F. Gaeta, Roma 1960, pp. 89, 317 s.
A. Viggiano, Governanti e governati. Legittimità del potere ed esercizio dell’autorità sovrana nello Stato veneto della prima età moderna, Treviso 1993, pp. 282, 310 s.; F. Ambrosini, Storie di patrizi e di eresia nella Venezia del ’500, Milano 1999, p. 73.