RUZZINI, Giovanni Antonio
– Nacque a Venezia, nella parrocchia di S. Lorenzo, il 22 maggio 1713, primogenito di Giovanni Antonio detto Marco, uno dei numerosi figli dell’omonimo fratello del futuro doge Carlo, e da Maria Nani di Giovanni del procuratore Antonio. L’assidua presenza del padre fra i savi del Consiglio impedì a Ruzzini l’accesso alle cariche del Collegio, per cui dovette iniziare la carriera politica con un rettorato; insolita procedura che lo portò «toccati appena gli anni idonei a pubblici uffici» (Archivio di Stato di Venezia, Senato, Dispacci, Spagna, f. 166, dispaccio 1° maggio 1750), a ricoprire la carica di podestà a Vicenza dal luglio del 1739 alla fine di novembre del 1740.
Numerosi, oltre cento, i dispacci che inviò al Consiglio dei dieci (quelli al Senato non sono stati conservati) nel corso della permanenza nella città berica; corrispondenza robusta, ma monocorde, dove protagonista è l’osteria dei paesi, in cui si muovono avventori ubriachi e giocatori non restii a barare, dove pertanto le liti e gli alterchi talvolta sfociano in delitti.
Tornato a Venezia, ebbe finalmente una carica di rango senatorio e fu savio di Terraferma ininterrottamente dal 1741 al 1748, sempre per il semestre ottobre-marzo dell’anno successivo; poiché il suo unico e omonimo fratello non aveva avuto figli dal matrimonio con Paola Venier del procuratore Nicolò, il 1° giugno 1746 Ruzzini sposò Arpalice Manin, sorella del futuro doge, da cui ebbe un figlio maschio, anch’egli di nome Giovanni Antonio. Questi sarebbe stato l’ultimo del casato, dal momento che il suo matrimonio con Maria Gradenigo di Bartolomeo (1773) doveva risultare sterile.
Il 26 aprile 1749 Ruzzini fu eletto ambasciatore in Spagna; un anno dopo partì in compagnia della moglie (nella castigata Madrid gli ambasciatori veneziani si portavano la consorte, a Parigi mai) e giunse via Torino all’Escorial il 15 agosto 1750, dove lo attendeva il predecessore Giovan Alvise Mocenigo.
Il recente Trattato di Aquisgrana aveva ulteriormente rafforzato la presenza spagnola in Italia, ma i quattro anni che Ruzzini trascorse in Spagna furono esenti da problemi di rilievo; i suoi dispacci, infatti, non riportano che le solite questioni relative alle molestie dei pirati barbareschi e poi contrasti daziari, incidenti tra francesi e inglesi in America Settentrionale, sollevazioni nelle colonie spagnole dell’America Meridionale, specie nella provincia di Santa Fè, l’attuale Argentina. Di qualche interesse il lungo dispaccio del 20 marzo 1753, ove il diplomatico descrive la produzione e il commercio sia dei prodotti locali sia di quelli provenienti dalle Americhe, donde giungevano i più ricercati in Europa, ossia il cacao e il tabacco.
Inviò l’ultimo dispaccio da Madrid il 21 ottobre 1754 e tornò a Venezia, ove però non stese la relazione finale (non lo avrebbe fatto mai). Di lì a poco lo attendeva una seconda ambasceria, stavolta alla corte di Vienna, cui venne eletto l’11 settembre 1755; lasciò la sua città un anno e mezzo dopo (il primo dispaccio da Treviso è del 25 marzo 1757) e raggiunse Vienna – dopo un viaggio «ripien di disaggi» – due mesi più tardi, sostituendo nell’incarico Pietro Correr. Era in corso la guerra dei Sette anni, che ebbe come suo primo teatro la Boemia, subito invasa dalle truppe di Federico II, ma da questi persa nel giugno 1757; e sarebbe stata questa guerra ad assorbire ed esaurire l’interesse di Ruzzini. Nella sua corrispondenza col governo marciano egli ostenta l’imparzialità cui è obbligato uno Stato neutrale, ma – nonostante la prudenza di un diplomatico accreditato presso la corte imperiale – trapela fra le righe l’ammirazione per il re di Prussia, specie dopo la vittoria da questi conseguita a Rossbach sulle truppe austro-francesi, nel novembre dello stesso 1757. Infausto tuttavia per Federico II l’anno 1759, con gli austriaci che trionfarono a Kunersdorf (agosto), così riconquistando la Sassonia in precedenza perduta, ma ancor peggiore il disastro subito dai prussiani nell’ottobre del 1760, allorché i russi incendiarono Berlino. Fu però uno scacco presto annullato dalla vittoria di Torgau, tanto più insperata quanto maggiormente era parsa inevitabile la sconfitta: «Feroce e sanguinoso conflitto – così il resoconto di Ruzzini – che durò sino alle sette della sera, due ore e mezza dopo che si era già fatta oscurissima notte, e tale [...] che nell’ultimo attacco, che durò lungo spazio, non si riconosceva il nimico, che dalle scintille di foco che uscivano da’ suoi fucili. Fu il primo il re ad attaccare, ed attaccò per quattro volte con ammirabile valore, ma per quattro volte con pari valore fu respinto, ed ebbero alla fine gli austriaci il campo di battaglia, molta artiglieria, molti stendardi, e moltissimi prigionieri» (Senato, Dispacci, Germania, f. 267, 6 novembre 1760). Sennonché un improvviso contrattacco notturno della cavalleria prussiana avrebbe tramutato la sconfitta in vittoria, gettando nella costernazione la corte di Vienna.
Oltre agli eventi militari, la narrazione dei quali sapeva gradita al Senato, l’attenzione di Ruzzini fu occupata dalle trattative concernenti i confini austro-veneti nei territori di Gorizia e di Verona; fra il sesto e l’ottavo decennio del secolo, infatti, si stava procedendo a una sistematica revisione e, in taluni casi, razionalizzazione dei confini fra i due Stati, dal Trentino all’Istria. Altro tema ricorrente nei dispacci è fornito dalle vicende della guerra coloniale tra Francia e Inghilterra, che ormai aveva conquistato quasi tutto il Canada, sicché il 15 marzo 1760 riferiva di un «nuovo rumore di pace separata tra l’Inghilterra e la Francia», ipotesi tanto più concreta in quanto appariva ormai evidente «lo stato estremo di quest’ultima corte nelle finanze» (ad diem).
Il 20 giugno 1761 giunse a Vienna il successore Nicolò Erizzo, ma Ruzzini dovette differire il ritorno a Venezia per oltre un mese, ovvero fino a quando ebbe il congedo dall’imperatore che si era recato in Lussemburgo. Rientrato nella sua città, a ottobre entrò a far parte del Consiglio dei dieci, ma nel corso del mandato, il 24 marzo 1763, risultò eletto bailo a Costantinopoli, subentrando ancora una volta a Pietro Correr.
Raggiunse la sede quasi due anni dopo, nel marzo del 1765; la parallela decadenza di entrambi gli Stati aveva necessariamente stemperato le tensioni e i problemi che avevano reso difficile e spesso pericolosa la permanenza dei veneziani nella corte del sultano. Pertanto, non diversamente da quanto era avvenuto nel corso della legazione spagnola, i compiti di Ruzzini si ridussero a questioni di scarsa rilevanza, quali la composizione delle usuali faide tra sudditi serbi e croati, il contrabbando di caffè e tabacco, le prevaricazioni dei barbareschi a danno delle navi venete, che si ripetevano nonostante i divieti e i firmani puntualmente emessi dalla Porta.
I dispacci di allora lasciano spazio alla cronaca: nell’autunno del 1766 Ruzzini riferisce i danni causati dal terremoto; due mesi dopo descrive la carestia che affligge la popolazione a causa delle burrasche che da tre mesi imperversano sul Mar Nero, impedendo i rifornimenti del grano proveniente dall’Ucraina; nell’ottobre del 1767 chiede denaro per restaurare la «casa bailaggia», ossia la residenza degli ambasciatori veneti, che presenta in più parti i guasti della fatiscenza.
Ma a rendergli penosa la permanenza sul Bosforo fu soprattutto l’inclemenza meteorologica, l’asprezza di un clima invernale che tanto nuoceva alla precaria salute del veneziano e che il trascorrere del tempo finì per aggravare. Reduce da una convalescenza protrattasi per quasi due mesi, il 16 marzo 1768 lamentava una ricaduta delle convulsioni di cui soffriva, accusando il «clima infaustissimo [...], l’orrido freddo [...], la copia grande di neve, che fuor di stagione tutt’ora cade» (Senato, Dispacci, Costantinopoli, f. 212, ad diem). Giunto ormai da tempo il successore Girolamo Ascanio Giustinian e ottenuto il congedo dalla Porta, Ruzzini poté finalmente imbarcarsi, ma non riuscì a rivedere la sua città.
Morì il 17 giugno 1768 nelle acque di Butrinto, località dell’Albania veneta di fronte a Corfù.
Il segretario Vincenzo Minotto così informava il Senato della morte dell’ambasciatore, avvenuta due giorni prima: «Dopo il lungo periodo di circa sei mesi ch’ebbe a soffrire l’ecc.mo sig. Giovan Antonio Ruzzini cav. bailo [...], considerata ne’ suoi principii gotta sublimata al petto, e dopo di aver esperimentati inutili tutti quei rimedi, che furono creduti da professori medici, scelti alla cura, li più efficaci e giovevoli, desideroso ed impaziente di restituirsi alla patria, e pieno di fiducia di poter ricuperare in parte almeno la perduta salute dal solo cambiamento dell’aria [si imbarcò, ma] facendosi poi di giorno in giorno nel corso della navigazione dell’Arcipelago più grave il suo male [...] esausto di forze, e consunto, e agli estremi di sua vita, sono per carico del mio dovere con l’animo addolorato, ed afflitto, a recare a V. Serenità la dolente notizia della di lui morte» (sub 19 giugno 1768). Fu sepolto a Venezia, nella chiesa degli Scalzi.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Miscell. Codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii veneti, VI, p. 490; Segretario alle voci, Elezioni in Maggior Consiglio, regg. 27, c. 188; 30, c. 215; Elezioni Pregadi, regg. 22, c. 20; 23, cc. 12, 13, 14, 76, 77; 24, cc. 1, 77; Capi del Consiglio dei Dieci, Lettere di rettori, Vicenza, b. 247, nn. 147-259; Senato, Dispacci, Costantinopoli, ff. 210-213; Germania, ff. 263-268; Spagna, ff. 165-167; G.B. Roberti, La moda. Poemetto fatto nell’occasione delle lietissime nozze di sue eccellenze il n.h. Gio. Antonio Ruzini, e la nobil donna Arpalice Manini, Venezia 1746; Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, a cura di L. Firpo, II, Germania (1506-1554), Torino 1970, p. LXXI; VIII, Spagna (1497-1598), 1981, p. XXXV.
M. Pitteri, Per una confinazione “equa e giusta”. Andrea Tron e la politica dei confini della Repubblica di Venezia nel ’700, Milano 2007, p. 73.