RAYNERI, Giovanni Antonio
RAYNERI, Giovanni Antonio. – Nacque a Carmagnola (in provincia di Torino) il 2 marzo 1810 da Gian Battista e da Marianna Petitti.
Di umili origini, ricevette i rudimenti dell’istruzione nella città natale, facendosi apprezzare e conseguendo una pensione da parte del vescovo che gli permise di continuare a studiare presso il seminario di Chieri. Laureatosi in filosofia a Torino nel 1832, fu ordinato sacerdote nel 1833. Avendo conseguito quasi contemporaneamente l’abilitazione all’insegnamento, fu nominato professore di filosofia nel liceo di Carmagnola, incarico che ricoprì sino al 1846. Nel 1840 redasse per conto del Comune di Torino l’Istruzione ai maestri delle scuole elementari, che doveva servire ad avviare l’opera di rinnovamento della scuola primaria nel Regno di Sardegna attraverso l’aggiornamento degli insegnanti. Nel 1844 fu nominato assistente di Ferrante Aporti, il quale era stato invitato nella capitale sabauda per tenervi il primo corso di metodica per gli insegnanti. Il corso riscosse un grande successo, tanto che fu riproposto negli anni successivi e venne attivato in altre province del Regno, dando origine a quella che sarebbe poi diventata la scuola magistrale.
In qualità di ottimo conoscitore della pedagogia aportiana e di valido insegnante, Rayneri prima fu nominato direttore della Scuola provinciale di metodo di Saluzzo (1846), quindi insegnò presso quella di Genova (1847). Negli anni successivi partecipò con profonda convinzione alle iniziative volte alla diffusione dell’alfabetizzazione e al miglioramento delle condizioni di docenti e alunni: fu tra i promotori della Società d’istruzione e d’educazione, che prese ufficialmente vita l’8 marzo 1849 sotto la presidenza di Vincenzo Gioberti e di cui lo stesso Rayneri sarebbe divenuto presidente l’anno successivo. Della Società fecero parte molti dei protagonisti della vita educativa sabauda di quegli anni, da Domenico Berti a Casimiro Danna, da Carlo Boncompagni a Giovanni Maria Bertini, oltre a numerosi senatori e deputati; Rayneri fece anche parte della Società per l’istituzione delle scuole infantili e per il patrocinio degli alunni fondata da Carlo Boncompagni, e si associò ai primi organi di rappresentanza degli insegnanti.
Il punto più alto della carriera pedagogica di Rayneri fu la nomina a titolare dell’insegnamento di metodo generale, detto poi di pedagogia, presso l’Ateneo di Torino, nel 1847. Si trattava della prima cattedra di pedagogia istituita in una università italiana, incarico che il sacerdote carmagnolese conservò per tutta la vita. Egli assurse in tal modo a personalità di spicco della pedagogia e della didattica a livello nazionale, anche per merito delle sue numerose opere, rivolte sia alla formazione degli insegnanti sia a quella degli alunni.
Tentò, pur con scarso successo, anche la carriera politica, presentandosi alle elezioni alla Camera del 1849 nelle fila del centrosinistra, senza, però, risultare eletto. Fu, inoltre, membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, prima del Regno di Sardegna e poi del Regno d’Italia, collaborando con i ministri Gabrio Casati e Terenzio Mamiani (1858-66), nonché preside dell’Accademia ecclesiastica.
Coniugando l’esperienza acquisita sul campo come docente e formatore di insegnanti con la vasta conoscenza delle teorie pedagogiche più avanzate del tempo, compose numerosi e fortunati trattati e manuali, tra cui vale la pena di ricordare Della pedagogica (Torino 1859), i Primi principii di metodica (Torino 1850), le Lezioni di nomenclatura geometrica, ossia saggio di metodica applicata all’insegnamento delle prime nozioni di geometria e di disegno lineare ad uso dei maestri elementari (Torino 1851), La ricreazione, ossia racconti morali ed istruttivi ad uso delle scuole elementari maschili e femminili (Torino 1889). Intensa fu anche la sua attività divulgativa e di sostegno didattico agli insegnanti per mezzo di articoli apparsi sulle più note riviste pedagogiche del tempo, come L’Educatore primario, il Giornale della Società d’istruzione e d’educazione e L’Istitutore, per le quali redasse numerosi saggi inerenti a tematiche didattiche e all’organizzazione delle scuole di metodo in Italia e all’estero.
Fu proprio grazie alla sua autorevole posizione e alle sue grandi competenze che Rayneri contribuì in maniera significativa a definire gli orientamenti della pedagogia italiana del tempo, formando, attraverso le scuole magistrali e normali, intere generazioni di maestri, piemontesi prima e italiani poi. I Primi principii di metodica, non a caso, rimasero a lungo il manuale di didattica più adottato nelle scuole magistrali e i suoi testi continuarono a essere utilizzati nelle classi ben oltre la sua morte, come dimostra il fatto che ancora nel 1876, a quasi dieci anni dalla scomparsa, furono pubblicate per la prima volta le sue lezioni universitarie (Manuale di pedagogia desunto dalle lezioni lette nell’Università di Torino dal prof. G. Antonio Rayneri, Torino 1876).
Profondo conoscitore delle più aggiornate e accreditate teorie dei pedagogisti coevi, dagli austriaci Vincenz Milde, Joseph Peitl e August Hermann Niemeyer, a Johann Heinrich Pestalozzi, Jean-Baptiste Girard, Niccolò Tommaseo e Raffaello Lambruschini, Rayneri fu, però, soprattutto debitore della filosofia e della pedagogia rosminiane. Da Antonio Rosmini, infatti, egli mutuò anche il linguaggio distinguendo la pedagogica, in quanto scienza dell’educazione umana, dalla «pedagogia, che è l’educazione stessa», intendendo la prima come «un sistema di cognizioni» e la seconda come «un sistema di azioni» (Della pedagogica, 1859, p. 1).
Ed era proprio la pedagogia come scienza che doveva essere rifondata, al fine di restituirle quel ruolo di guida in campo educativo e sociale che le era stato sottratto colpevolmente dall’Illuminismo e, in particolare, dall’Émile ou sur l’éducation (1762) di Jean-Jacques Rousseau. Per fare ciò era necessario riportare in vita il principio d’autorità su cui si erano rette l’educazione e l’intera società prima della tempesta illuminista e rivoluzionaria. Infatti, Rayneri era convinto che tutti i problemi dell’educazione dipendessero dal «difetto d’autorità nella pratica dell’educazione e il difetto del principio d’autorità nella scienza della medesima». Ciò si spiegava con il fatto che «il principio dell’uguaglianza naturale degli uomini, predicato dai pubblicisti nel secolo decimottavo, dal campo della politica passò in quello della pedagogica: esagerato nel consorzio civile fu esagerato ancora nella famiglia, e G.-G. Rousseau che l’aveva spinto fino all’assurdo nel Contratto Sociale scalzò le basi della patria podestà nell’Emilio e negò alla religione di essere il fondamento dell’educazione» (ibid., p. IX).
Era allora necessario ripartire dal principio secondo cui «l’autorità deriva dall’ineguaglianza naturale degli uomini sì nelle facoltà e nel loro svolgimento e sì nelle relazioni sociali», mentre «la libertà deriva dalla essenziale eguaglianza degli uomini in faccia a Dio ed alla legge, per la identità di origine, di natura e di fine». Ne derivava, secondo Rayneri, che «l’una è limite dell’altra e dall’accordo dialettico di questi due contrarii risulta l’armonia cosmica e l’armonia sociale» (p. XI). Se l’educazione non era, quindi, che «l’arte di esercitare l’autorità in favore della libertà umana o più brevemente l’arte di render l’uom libero» (p. XIII), entrambe non potevano che avere come fondamento l’autorità di Dio e della religione, le sole capaci di instillare nell’animo di governanti e sudditi il rispetto per l’essere umano e l’obbedienza al potere costituito.
Convinto seguace, sul piano filosofico e pedagogico, di Rosmini, egli se ne allontanò dal punto di vista politico, per coniugare il pensiero del teologo roveretano con le istanze del liberalismo moderato e, in particolare, con le posizioni di Vincenzo Gioberti. Nell’epopea risorgimentale, infatti, la pedagogia fu chiamata a offrire il proprio contributo alla nascita del nuovo Stato nazionale e ancor più a quella del nuovo cittadino italiano.
Il movimento pedagogico che emerse nel corso del Risorgimento, orientando la vita della scuola italiana almeno sino alla fine dell’Ottocento e del quale Rayneri fu uno dei principali esponenti, fu in grado di coniugare le esigenze del neonato Stato unitario con le prerogative della Chiesa cattolica, sfruttando i punti di contatto tra il liberalismo moderato e il cattolicesimo conciliatorista.
Alla non semplice opera di costruzione del sistema educativo italiano, Rayneri contribuì in prima persona e non solo con le sue teorie, ma anche collaborando direttamente con vari ministri dell’Istruzione. Nel 1848 fu invitato da Carlo Boncompagni, con il quale collaborava da tempo, a partecipare alla stesura della legge che ridisegnò il sistema scolastico piemontese. Fu proprio Rayneri a spiegare ufficialmente il senso della nuova normativa, per mezzo di un lungo discorso pronunciato in occasione dell’apertura annuale della Scuola di metodo a Torino, dal titolo Dello spirito della nuova legge organica sulla pubblica istruzione del 4 ottobre 1848 (Torino 1848). Rayneri, nell’occasione, non solo illustrò i meriti della nuova legge, ma delineò anche con estrema chiarezza quelli che erano i suoi personali principi pedagogici e ideologici, i quali avrebbero guidato la sua azione anche nei decenni successivi: se la legge andava considerata «altamente liberale e degna di tempi liberi», era perché definiva con precisione i compiti della Chiesa e dello Stato, costringendo finalmente anche i più retrivi conservatori a smettere di pensare che «sia irreligioso ed empio tuttoché non si fa dal clero in fatto di educazione» (p. 30). Per questo, i veri padri della legge, Aporti, che l’aveva ispirata quale «Calasanzio novello» (p. 8), e Boncompagni, che era riuscito a farle compiere il non semplice iter parlamentare (approfittando della guerra in corso), andavano considerati al pari «de’ grandi educatori del secolo XVI», capaci di «tentare il risorgimento italiano per mezzo della cristiana educazione», l’unica in grado di condurre le generazioni future a smettere di «soffrire lungo tempo i dolori, i martori della lotta colla barbarie» (pp. 34 s.).
Nel 1866 fu chiamato a Firenze da Domenico Berti, suo ex alunno nel collegio di Carmagnola e all’epoca ministro della Pubblica Istruzione, per collaborare a una nuova riforma del sistema scolastico, modificandolo in senso meno centralistico e più attento alle peculiarità regionali. Tuttavia, le aspettative di Berti e di Rayneri furono deluse e il progetto non ebbe seguito. La scuola italiana continuò, pertanto, a essere amministrata secondo la legge Casati del 1859, che era stata pensata per un’Italia che all’epoca comprendeva solo le regioni del Nord e risultava, quindi, poco funzionale alle esigenze del resto del Paese. Fu questo, comunque, l’ultimo incarico pubblico di Rayneri, che si spense poco dopo essere rientrato a Chieri il 4 giugno 1867.
Fonti e Bibl.: G. Mantellino, La scuola primaria e secondaria in Piemonte e particolarmente in Carmagnola dal secolo XIV alla fine del secolo XIX, Carmagnola 1909, pp. 288-292; J.M. Prellezo, Pensiero pedagogico e politica scolastica. Il caso di G.A. Rayneri (1810-1867), in Annali di storia dell’educazione, 1 (1994), pp. 149-167; C. Betti, Arte educativa e scienza pedagogica nella manualistica magistrale, in Teseo. Tipografi e editori scolastico educativi dell’Ottocento, a cura di G. Chiosso, Milano 2003, pp. CXXV-CXLIII; F. Farotti, Il pensiero pedagogico di G.A. Rayneri, Lecce 2006; G. Gozzelino, L’abate ribelle. Antonio Rayneri e il movimento metodico, Torino 2007; P. Bianchini, La ricezione della pedagogia asburgica nel Piemonte sabaudo, in La scuola degli Asburgo. Pedagogia e formazione degli insegnanti tra il Danubio e il Po (1773-1918), a cura di S. Polenghi, Torino 2012, pp. 149-178; C. Pizzarelli, L’istruzione matematica secondaria e tecnica da Boncompagni a Casati 1848-1859: il ruolo della Società d’Istruzione e di Educazione, in Rivista di storia dell’Università di Torino, II (2013), 2, pp. 23-60.