MONGIARDINI, Giovanni Antonio.
– Nacque a Chiavari il 13 ag. 1760 da modesta famiglia stanziata nel Levante ligure ma originaria della Val Borbera, allora feudo imperiale della Repubblica di Genova.
Dopo aver completato gli studi in medicina presso le Università di Pavia e di Pisa (Genova, Biblioteca universitaria, ms. C.IX.19, c. 68), si stabilì a Genova dove, nel 1784, entrò in contatto con il patrizio Giacomo Filippo (III) Durazzo, legandosi in amicizia con i dotti, in prevalenza medici e naturalisti, della sua cerchia. Il M. fu così in relazione con le punte più avanzate della cultura accademica ligure del tardo Settecento, assorbendone l’esigenza di rinnovamento (specie istituzionale) e condividendone l’apertura al pensiero illuministico francese. Ancora giovane, il 12 ag. 1784 presentò al gruppo durazziano la memoria manoscritta Dubbi e pensieri sullo studio della natura (Genova, Biblioteca Durazzo Giustiniani, ms. B.VII.20), una dissertazione che, centrata sulla filosofia naturale e sulla storia, svolgeva temi chimico-fisici. Il 24 nov. 1785 recitò ai soci dell’Accademia durazziana una nuova Memoria sugli ospedali per gli infermi (Ibid., Raccolta di dissertazioni, ms. 266, n. 7), in cui chiedeva di ammodernare la pratica clinica.
Il M. sollecitava, infatti, l’uso di barometri, termometri (in uso solo a Vienna, con A. De Haen), igrometri ed eudiometri, e persino della «macchina elettrica», per osservare sperimentalmente l’aria e per verificarne il grado di salubrità entro i luoghi chiusi, quali ospedali e strutture sanitarie in genere. Lo sguardo era ancora enciclopedico, tipicamente settecentesco e lontano dalla settorializzazione allora crescente.
La frequentazione della cerchia durazziana fu, per il M., fondamentale sul piano della maturazione e determinante anche per il prosieguo della sua carriera. Giacomo Filippo Durazzo lo introdusse agli studi di elettricità, di cui era diventato un appassionato cultore dopo aver avviato una fitta corrispondenza con il fisico ticinese Carlo Barletti. Inoltre, sempre il nobile ligure gli fece conoscere Cesare Nicolò Canefri, medico e chimico lavoisieriano, del quale M. divenne assistente e dimostratore alla neonata Università ligustica (Avvisi di Genova, 3 marzo 1785), insegnando farmacologia a Pammatone. Risale a questo periodo anche la sua adesione alla botanica di Linneo.
Nel 1797, come altre grandi figure della scienza italiana, tra cui Barletti a Pavia, il M. si dichiarò sostenitore della Rivoluzione francese e delle idee giacobine. Formatasi la Repubblica democratica ligure, fece parte del governo provvisorio, del comitato di Polizia e nel successivo periodo napoleonico della sezione chimica dell’Académie imperiale, dove fu «Materiae medicae et Medicinae forensis Professor». Fu segretario e vice presidente della Municipalità, collaboratore del Censore – nella sua seconda versione, più moderata – e del Redattore. A Chiavari, fu consigliere comunale ed entrò nel corpo legislativo del dipartimento degli Appennini. La Francia gli conferì, per i servizi resi, la Legion d’onore. Nel frattempo, il M. continuò a insegnare nell’Ateneo ligustico, in qualità di «Rei medicae Professor», dando pure alle stampe diversi lavori e battendosi sempre con energia per lo svecchiamento di programmi e strutture legate all’insegnamento universitario. Fare uscire il mondo genovese, in ambito culturale e politico, dalla provincializzazione in cui era rimasto chiuso: questo era il suo obiettivo primario, che perseguì con la didattica e con la pubblicazione di mirate monografie, nonché con interventi pubblici a favore degli usi del nuovo sapere scientifico-tecnico.
Nell’aprile 1799, fu nominato presidente della Commissione centrale di Sanità, dove coltivò, in particolare, interessi epidemiologici (Memoria sopra una oftalmia contagiosa, Genova 1803). Il 13 luglio 1800 morì a Genova Canefri, suo maestro. Al momento in cui l’Università venne trasformata in Accademia imperiale, il M. gli successe sulla cattedra di chimica e mineralogia, continuando a diffondervi le teorie di A.L. Lavoisier, C. Le Roy, C. Bonnet, A. von Haller, H. Boerhaave, J. Lind, S.-A. Tissot e J. Necker.
Tra il 1798 e il 1800 l’istituzione universitaria genovese fu ristrutturata e delineata in rapporto ai mutati bisogni, allineandosi fedelmente alle classi previste per l’Institut di Parigi. Mentre l’Ateneo iniziava dunque a operare come organismo di consulenza tecnico-scientifica del governo, il M. spinse nella direzione di indagini conoscitive nella storia naturale, nell’agronomia e nella geologia (anche in chiave statistica). L’attività della commissione da lui presieduta dimostrò ragguardevoli conoscenze scientifico-tecniche, rivelando negli incaricati una preparazione di tutto rispetto: il M. stesso si occupò, in prima persona e con grande disponibilità pratica, di chimica e di fisica. Fu poi relatore nella commissione deputata a dirimere, attraverso precise esperienze di laboratorio, la questione circa il magnetismo animale sorta tra L. Galvani e A. Volta.
Imponente la mole degli apparati sperimentali (e dei libri) che il M. fece arrivare. Alla presenza di Luigi Valeriano Brugnatelli – esponente tra i primi del giornalismo scientifico, di passaggio, in quel periodo, nella capitale ligure – vennero ripetute varie esperienze elettrologiche e costruite macchine voltiane (pile metalliche ed elettriche, queste ultime non inferiori, per resa meccanica, ai già notevoli apparecchi elettro-motori montati, in Inghilterra, da Humphrey Davy). In proposito, fu steso un Rapporto dettagliato (Memorie dell’Istituto ligure, I [1806], pp. 9, 20 s., 155-162): i modelli erano quelli francesi dell’École Polytechnique e degli «idéologues».
Insieme con un altro personaggio deciso e lungimirante della classe medica, Onofrio Scassi, il M. mirava alla effettiva integrazione del sapere medico con le altre scienze. A questo scopo diede vita, nel 1801, alla vivace e attiva Società medica d’emulazione, attenta a quanto si andava discutendo o scoprendo, anche nel settore delle scienze fisiche: all’interno di essa, operarono lo svedese J. Gråberg di Hemsö (arabista e geografo) e il chirurgo filo jenneriano Luigi Marchelli (membro dell’Istituto nazionale).
L’esistenza della Società medica d’emulazione venne ufficialmente formalizzata nel luglio del 1801, con la legittimazione da parte dei serenissimi senatori della Repubblica di San Giorgio. Essa rappresentava, negli antichi Stati italiani di quegli anni, un organismo unico nel suo genere. Al suo interno il M. cooptò le migliori intelligenze scientifiche presenti a Genova: Benedetto Mojon, William Batt (inglese di Collingborn, trapiantatosi in Liguria nel 1773), il giovane Domenico Viviani, Scassi e Bonomi. In tutto i soci residenti erano ventiquattro, ognuno con l’obbligo di comunicare almeno una volta l’anno un resoconto scientifico concernente la medicina o la fisica. Stando al suo statuto, la Società si impegnava a riunirsi perlomeno due quadrimestri all’anno. Nei primi dodici mesi, le adunanze si tennero all’oratorio di S. Filippo e il M. svolse funzioni di presidente. Due anni dopo, rielaborò con aggiunte e integrazioni alcuni temi trattati negli anni giovanili: il suo Saggio sugli spedali (Genova 1803) non era privo di forti punte polemiche nei confronti della arretratezza in cui ancora versavano le istituzioni sanitarie e accademiche liguri.
Le pagine del Saggio ambivano inoltre a ricollegarsi da vicino alla speranza di disporre in Liguria di una rinnovata politica della scienza. In effetti, con l’effimera restaurazione della Repubblica dogale, l’Università aveva in apparenza riacquistato i suoi diritti e il 3 nov. 1803 un nuovo assetto era stato varato. Dopo un trentennio di ripensamenti e di tentativi, compiuti anche dal M., era nato finalmente un Ateneo che, almeno sulla carta, poteva ora somigliare a un moderno Istituto di studi superiori. La novità maggiore era stata l’articolazione in quattro facoltà, con quella di medicina per la prima volta in posizione decorosa grazie proprio all’instancabile operato del M.: era implicito in tale innovazione il meritato riconoscimento dei rapidi progressi realizzati nel corso di un intero secolo a Genova dalla scienza e dalla coscienza medica. Tuttavia, a fronte del buon livello di efficienza che il M. fece raggiungere alla nuova facoltà scientifica, molto ancora mancava o restava da fare. Il quadro descritto dal M. nel Rapporto all’Istituto nazionale sullo stato delle scienze fisiche nella Liguria, presentato il 15 dic. 1803, poco dopo l’apertura della nuova Università e pubblicato a Genova l’anno dopo, restava nerissimo e impietoso.
Il 1° maggio 1806 il M. lesse in Accademia alcune Osservazioni e riflessioni sull’azione e l’uso medico di alcune digitali, stampate di lì a poco (Genova 1806), con la Dissertazione sulla legatura del cordone ombelicale di Canefri: una pubblicazione che attestava il costante interesse del medico ligure verso le problematiche terapeutiche (nello stesso periodo studiò il veleno di vipera e i suoi antidoti). Seguì, il 3 nov. 1806, un altro rapporto ai membri della Società economica di Chiavari Sulla coltura delle spiagge arenili, e la imbiancatura delle tele: uno studio pratico consacrato ad agricoltura e tecniche tintorie, dal carattere squisitamente locale.
In seguito, il M. si occupò di scienze della Terra, con la Memoria letta all’Imperiale Accademia delle scienze e belle lettere di Genova, il giorno 1° dic.1808 sulle ardesie di Lavagna con una appendice (Genova 1809) e di fitoterapia con le Nuove osservazioni sugli effetti del Khus radicans e Toxico-dendron, nella cura di alcune malattie (ibid. 1812). Nel luglio 1815 compilò anche un Rapporto su gli profumi delle lettere (ibid. 1815). Nel frattempo, era divenuto presidente della Scuola di farmacia dell’Università (Archivio di Stato di Genova, Prefettura francese, n.g. 2, lettera del 29 ag. 1811 al prefetto) e, dal 1810, docente di medicina legale.
Con la caduta di Napoleone e, in particolare, con l’annessione della Liguria al Regno di Sardegna (1815), tutti i propositi e le aspettative del M. vennero a cadere. Nemico del legittimismo monarchico e della supremazia gesuitica che venne ripristinata, in Genova, negli studi superiori, lo scienziato e uomo politico ligure pensò di ritirarsi a vita privata nella natia Chiavari. Gli incarichi universitari, tuttavia, gli furono confermati: anzi, nel 1824 passò a insegnare clinica medica e patologia o nosocomica, tenendo lezioni sino al 1836; fu altresì capo del Protomedicato dal 1830 al 1836. Non smise comunque di studiare e di scrivere, dedicando i suoi ultimi anni a un Breve saggio di materia medica, da lui redatto inizialmente in latino, con l’intenzione di aggiornare la botanica medicinale. Il saggio, «tradotto dal latino, corredato di note, e di alcune formole medicinali, da Pietro Fiamberti», fu edito a Genova nel 1833. Vi si ritrovano i contenuti dei suoi corsi di materia medica tenuti in Ateneo (Genova, Biblioteca universitaria, ms. F.I.3., a. 1826).
Il M. morì a Genova il 21 giugno 1841 (Genova, Museo del Risorgumento e Istituto mazziniano, ms. IV.0067; Gazzetta di Genova, 26 giugno 1841, n. 52).
Fonti e Bibl.: Genova, Biblioteca Durazzo Giustiniani, Mss., B.VII.20 [G.A. Mongiardino]; Raccolta di dissertazioni, 266, n. 7. Sei lettere del M. a Marco Federici (1746-1824), vice-console di Francia a La Spezia, inviate tra il 2 sett. 1797 e il 16 febbr. 1798 e conservate nella Biblioteca universitaria di Genova, sono state catalogate da O. Cartaregia, Materiali della Società italiana di studi sul secolo XVIII, Roma 1991, ad nomen. Alle opere sopra ricordate, va aggiunto il Discorso detto nella pubblica adunanza del 3 luglio 1825 [della Società Economica] all’occasione dell’annuale lotteria e della distribuzione dei premi alle arti ed all’industria pratica, Chiavari 1825. L. Isnardi, Storia dell’Università di Genova, II, Genova 1867, passim; P. Berri, Il prof. G.A. M., in Riv. di storia della medicina, IV (1960), pp. 97-128; D. Bo, L’Europa medica nella Genova settecentesca. Alle origini dell’Università (1750-1800), Genova 1982, pp. 83-88, 90-94; S. Doldi, Scienza e tecnica in Liguria dal Settecento all’Ottocento, Genova 1984, passim; S. Rotta, Della favolosa antichità dell’Università di Genova, in Atti della Società ligure di storia patria, XXXIII (1993), p. XLIII; Le società economiche alla prova della storia (secoli XVIII-XIX). Atti del convegno internaz. di studi, Chiavari ...1991, Rapallo 1996, passim; C. Farinella, I «luoghi» della fisica a Genova fra Settecento e Ottocento, in Studi settecenteschi, XVIII (1998), pp. 249 s., 272 s., 277; O. Raggio, Storia di una passione. Cultura aristocratica e collezionismo alla fine dell’Ancien régime, Venezia 2000, p. 100; D. Arecco, Scienze naturali e istituzioni in Liguria tra Sette e Ottocento, in Nuncius, XVII (2002), p. 552; D. Arecco - A. Sisti, Cesare Canefri e l’Illuminismo scientifico nell’Europa delle Accademie, in Cesare Canefri e la cultura scientifica nell’Europa del Settecento. Atti del convegno... 2003, Novi Ligure, p. 16; C. Farinella, Accademie e università a Genova, secoli XVI-XIX, in Storia della cultura ligure, a cura di D. Puncuh, III, Genova 2004, pp. 132, 134, 155, 161, 163.