MATTEONI, Giovanni Antonio (in religione Bernardo da Capannori). – Nacque a Capannori, presso Lucca, il 5 febbr. 1818, in una modesta famiglia di contadini (quinto di otto figli)
, da Carlo e Maria Angela Casali.
Imparò le prime nozioni sotto la guida di un sacerdote, quindi, dai quattordici ai diciotto anni, frequentò il collegio Carlo Lodovico in S. Frediano a Lucca. Nel maggio 1836 entrò come novizio nell’Ordine dei frati minori cappuccini e un anno dopo fece la professione religiosa assumendo il nome di Bernardo da Capannori. Dopo gli studi nella custodia di Lucca e l’ordinazione sacerdotale, nel 1845 venne approvato per la predicazione e la confessione ed esercitò il ministero nelle parrocchie di montagna (convento di Villa Basilica).
Risalgono a questi anni gli studi filosofici e la conoscenza decisiva della filosofia e della spiritualità di A. Rosmini, così come l’amicizia con il coetaneo C.P. Paganini, figura di punta della cultura lucchese e in seguito professore di filosofia teoretica all’Università di Pisa.
Nel 1848, per quanto sollecitato da più parti (uno dei fratelli era capitano della guardia civica a Viareggio), il M. rifiutò di svolgere un ruolo politico attivo, benché guardasse con favore al movimento per l’indipendenza. Nel gennaio 1851 vinse il concorso, per la prima volta bandito, di lettore di filosofia nello studio custodiale cappuccino di Lucca.
All’inizio del 1854 dette alle stampe a Lucca il suo primo testo, l’opuscolo Sull’insegnamento della filosofia rosminiana, concepito sotto forma di lettera a un amico per difendere l’opera di Rosmini dagli attacchi degli avversari. Nella prima parte esaminava le ragioni generali che consigliavano l’insegnamento della filosofia rosminiana nelle scuole, cercando di far notare come i motivi sostenuti da coloro che l’attaccavano non avessero alcun valore o, quantomeno, non fossero tanto consistenti come si voleva far credere. Nella seconda parte analizzava il testo delle Istituzioni filosofiche del gesuita M. Liberatore, poiché era usato in alcune scuole (il M. fa intendere che era imposto), e vi rilevava insufficienze, carenze e lacune tali da squalificarlo. La Civiltà cattolica intervenne duramente con una lunga recensione (Il sig. N.N. e il p. Bernardo. Dialogo filosofico, V [1854], pp. 629-653) attribuibile allo stesso Liberatore. Poiché i superiori romani proibirono al M. ogni ulteriore polemica, della replica alla rivista si occupò l’amico Paganini (Il p. Bernardo e la Civiltà cattolica. Osservazioni, Lucca 1854). L’episodio comportò l’apertura di un’inchiesta da parte delle gerarchie romane: i superiori locali difesero efficacemente il M., ma l’arcivescovo di Lucca, G. Arrigoni, iniziò da allora a nutrire una notevole insofferenza nei suoi confronti. Dal canto suo il M., nella seconda metà degli anni Cinquanta, continuò la battaglia a favore di Rosmini pubblicando alcuni scritti anonimi, come quelli apparsi nella rivista Cronaca di Milano (in maggio e nell’agosto del 1857).
Il M. guardò con favore alla caduta dei Lorena e al processo di unificazione della penisola, ma in pubblico e con i confratelli tenne una condotta riservata e prudente. Alla vigilia del plebiscito di annessione della Toscana al Regno di Sardegna, a coloro che si rivolgevano a lui per avere lumi sulla liceità di partecipare alle votazioni rispondeva che vi andassero con grande tranquillità: specificava di parlare da teologo e non da politico e ripeteva che non avrebbero peccato, qualunque fosse stata la scheda deposta nell’urna.
Nella primavera del 1859, con la fondazione a Fermo di uno studio generalizio dei cappuccini, tutti i religiosi dell’Ordine furono invitati a impegnarsi nella ideazione di un nuovo corso di filosofia razionale. Il M. inviò un progetto che venne particolarmente apprezzato.
La materia d’insegnamento era ripartita in tre anni: nel primo, dopo un’introduzione generale, si affrontava lo studio dell’ideologia e della logica, nel secondo quello della teosofia e della psicologia, per riservare all’ultimo l’etica.
Nell’aprile 1860 il padre generale Nicola da S. Giovanni lo nominò lettore di filosofia a Fermo, incaricandolo di tenere il discorso di apertura dello stesso Studio generalizio. Appena diffusasi la notizia, il M. fu accusato di essere giobertiano e panteista e di professare idee liberali, tanto che, a maggio, fin dall’arrivo nella cittadina marchigiana l’arcivescovo gli fece capire di non gradire la sua presenza. Il M., pur avendo fornito ampie assicurazioni sulla propria assoluta ortodossia in fatto dottrinale, il 5 settembre non poté tenere il discorso in pubblico, ma ottenne di leggerlo in refettorio, davanti agli studenti, ad apertura già avvenuta. Una chiara soluzione di ripiego, accettata in attesa della maturazione degli eventi: sperava infatti che l’avanzata del generale E. Cialdini nelle Marche e la caduta del dominio pontificio consentissero l’instaurazione di un clima sereno e la fine delle persecuzioni anche fra le mura dei conventi.
Nei mesi seguenti, invece, mentre riusciva a conquistare la stima e la fiducia degli alunni, l’opposizione contro il M. crebbe d’intensità. Il 4 giugno 1861 ricevette una lettera del padre generale che lo avvisava che era stato accusato presso il papa di dottrine non sane e di sentimenti liberali. Il M. decise allora di rinunciare all’incarico e chiese di fare ritorno a Lucca.
Prima di partire dette però alle stampe, senza il permesso dei superiori, il testo della prolusione letta in convento con alcune aggiunte (A tutti i padri e molto reverendi dell’Ordine de’ cappuccini il p. Bernardo da Capannori lettore di filosofia nell’Archiginnasio del convento di Fermo invia questi scritti, Fermo 1861), in cui sosteneva ancora una volta la validità delle tesi rosminiane e si difendeva dall’accusa di professare dottrine eterodosse.
Dopo il rientro nella sua vecchia sede lavorò per preparare il corso di filosofia che avrebbe dovuto essere adottato nelle scuole dei cappuccini. L’opera restò incompleta, ma fu comunque pubblicato il Sunto delle lezioni di filosofia fatte nell’Archiginnasio del convento di Fermo l’anno scolastico 1860-61 (Lucca 1862), contenente quella parte del corso che aveva svolto in un anno di insegnamento e cioè l’introduzione, l’ideologia e la logica.
Sempre più isolato e tenuto inoperoso, il M. dovette assistere negli anni seguenti a una persecuzione nei confronti suoi e di quanti gli restavano vicini da parte dell’arcivescovo Giulio Arrigoni. Guardava con disincanto allo stato del suo Ordine, da lui ritenuto in mano agli intransigenti, e riteneva che la politica della Curia romana condotta dal segretario di Stato G. Antonelli avrebbe condotto alla rovina non solo il potere temporale ma anche molte istituzioni e proprietà della Chiesa. A suo avviso Pio IX avrebbe dovuto rivolgersi alle potenze cattoliche, che per tanti secoli avevano protetto e favorito il dominio temporale, affermando di non potervi rinunciare spontaneamente, ma che vi si sarebbe adattato per il bene dei popoli se esse ne avessero ritenuta opportuna la fine. Frattanto sfogava la propria amarezza componendo alcune Satire politiche, poi stampate anonime a Massa nel 1864.
Con le leggi di abolizione degli ordini religiosi e di reversione dell’asse ecclesiastico del 1866, la custodia dei cappuccini di Lucca fu soppressa e la comunità (più di 80 tra padri e laici) si disperse in piccoli gruppi. A seguito delle disposizioni emanate dalla Penitenzieria apostolica, il M. chiese e ottenne la secolarizzazione ad tempus. Il M. e pochi confratelli ebbero dal Demanio il permesso di restare in alcune celle come custodi della chiesa annessa al convento, sia pure senza stipendio e con l’obbligo di indossare l’abito dei sacerdoti secolari. Nei due anni seguenti questa piccola e informale comunità religiosa funse da punto di riferimento per altri frati e i suoi componenti cercarono di insegnare il catechismo e la storia sacra nelle scuole normali e femminili di Lucca. Nel gennaio del 1869 la chiesa venne chiusa e i religiosi furono costretti a ritornare alle rispettive famiglie: iniziativa attribuita dal M. alla volontà della massoneria locale.
Riassunse così il nome di battesimo e conseguì il diploma di abilitazione per insegnare la filosofia nelle scuole del Regno. Il 20 marzo 1869 fu nominato docente nel liceo Pellegrino Rossi di Massa (di cui divenne ordinario nel 1877), dove tenne regolarmente i corsi per quindici anni. Il suo metodo d’insegnamento e i risultati ottenuti furono lodati da A.G. Barrili e da G. Carducci nel corso delle loro ispezioni ministeriali nella città apuana. Risalgono a questo periodo operoso e, tutto sommato, sereno il Piccolo quadro di storia della filosofia antica (Lucca 1878) e la Guida delle chiese di Massa Lunense (Massa 1879).
Nel 1884 si ritirò a vivere con un fratello a Capannori, nella casa paterna, dove morì il 3 sett. 1889.
Fonti e Bibl.: Per le indicazioni archivistiche relative ai suoi carteggi e manoscritti cfr. A. Del Carlo, Il rosminianesimo a Lucca. G.A. M. (p. Bernardo da Capannori) cappuccino lucchese, rosminiano: la figura e l’opera, Pisa 1977, in cui sono pubblicati numerosi documenti inediti. F. Cianelli, Il p. Bernardo da Capannori, in Il Nuovo Rosmini, I (1889), 1, pp. 625-630; G. Sforza, G.A. M. (p. Bernardo da Capannori), in Id., Ricordi e biografie lucchesi, Lucca 1918, pp. 669-672; B. Cherubini, G.A. M. (frate Bernardo da Capannori) insegnante di filosofia al liceo di Massa, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi, s. 10, III (1968), pp. 201-220; A. Del Carlo, Il rosminianesimo a Lucca: p. Bernardo da Capannori, cappuccino, al secolo G.A. M., in Actum Luce: studi lucchesi, XI (1982), pp. 99-119.