LELLI (Lelio), Giovanni Antonio
Non si conoscono né il luogo né la data di nascita, collocabile intorno al 1594, di questo artista attivo a Roma nella prima metà del Seicento.
Sposò Laura Cetri ed ebbe quattro figli, Lorenzo, Mario, Carlo e Andrea. Dal 1631 fino al 1640 risiedette con la famiglia in via Margutta, in affitto dai Gavotti; risulta abitare nella stessa casa il padre, con il diverso cognome di Scala, definito una sola volta fiorentino e di cui si ignorano altri dati. Del L. è ampiamente attestato il cognome, o la sua derivazione Lelio: con essa compare negli Stati delle anime degli anni 1632, 1634 e 1635 e, nella formula latinizzata "Laelius", in alcune stampe da lui firmate come inventore o disegnatore (Roma, Biblioteca Casanatense; Parigi, Louvre).
Membro dell'Accademia di S. Luca, il L. ricoprì diversi ruoli: nel gennaio 1634 fu censore insieme con G. Baglione e si occupò di recuperare la copia di A. Grammatica dal S. Luca di Raffaello, che era stata trafugata; nella congregazione del 12 giugno 1638 fu nominato "curatore de' forestieri" insieme con B. Ciarpi; nel quarto decennio è spesso presente nei verbali delle congregazioni, mentre in anni precedenti non risulta pagare il tributo all'Accademia, ovvero forse si perde nell'anonimato, perché registrato con il solo nome di battesimo.
Baglione gli dedicò una densa biografia che, alla luce dei documenti dell'Accademia di S. Luca, è da ritenersi fondata sulla conoscenza diretta tra i due pittori. Molte delle opere citate dal biografo, tuttavia, non sono rintracciabili nelle sedi originarie. Dell'attività di frescante del L. sono sopravvissuti solo un lunettone con la Visitazione nel chiostro di S. Maria sopra Minerva, in precario stato di conservazione, per cui ricevette in tutto 45 scudi saldati il 28 maggio 1629, e tre scene in palazzo Cerri (Verità Fortezza e Amor profano, Leviathan, Sirena) attribuitegli da Röttgen.
La Visitazione è pesantemente compromessa dall'umidità, tuttavia è ancora ben leggibile l'impianto compositivo impostato sulla simmetria rispetto al gruppo centrale, nel primo piano come nello sfondo, che si apre in lontananze paesistiche ai lati del rustico tetto ligneo in scorcio, davanti al quale si stringono in abbraccio Maria ed Elisabetta. Le figure si accampano con decisione nello spazio, in forme che sembrano essere state un tempo pulite e compatte; la gamma coloristica è chiara e la luminosità è accentuata dall'ampio sfondo di cielo, nel segno di una profonda assimilazione del classicismo naturalistico romano.
Una più complessa giustapposizione di spunti, da Annibale Carracci ai fiorentini (Baglione lo dice allievo di Ludovico Cardi, detto il Cigoli), si riscontra nella volta tripartita di palazzo Cerri; nello scomparto centrale un concettoso programma iconografico si dispiega in tre episodi correlati che risultano al primo impatto disorganici; il L. si dimostra qui non solo sensibile alle precise anatomie carraccesche, e alle forme compatte e lucide, alla gestualità un po' manierata del Cigoli e di Domenico Cresti detto il Passignano, come giustamente osserva Röttgen, ma anche a un modo drammatico di panneggiare e di far incidere la luce sui corpi, di serrare la composizione, che, almeno nella figura della Verità, appare conscio delle elaborazioni postcaravaggesche; nei due laterali il L. elabora la tipologia della figura isolata in un paesaggio boscoso che digrada in lontananza: la sensibilità per il dato naturale e botanico appare una costante nelle poche opere note riconducibili al Lelli. La volta sopra descritta è, a parere di Röttgen, quanto di più vicino al lunettone della Minerva abbia prodotto, e va dunque anch'essa datata ai tardi anni Venti.
I fregi in palazzo Madama citati da Baglione come di mano del L. hanno avuto una tormentata vicenda critica, che appare solo momentaneamente chiusa: dopo le alterne attribuzioni ed espunzioni di V. Del Gaizo (Palazzo Madama, Roma 1969, p. 76), L. Barroero (Una traccia per gli anni romani di Jacques Stella, in Paragone, XXX [1979], 347, p. 12), E. Fumagalli - U.V. Fischer Pace (Drawings by Pietro Paolo Bandini, in Master Drawings, XXIX [1991], p. 2 n. 13), la stessa Fumagalli, tornando sull'argomento, esclude ogni intervento del L. in palazzo Madama perché l'artista non compare nei dettagliati pagamenti relativi alla fabbrica e alla sua decorazione (Committenza e iconografia medicea a Roma nel Seicento: il ciclo di affreschi di palazzo Madama, in Mitteilungen des Kunsthistorisches Institutes in Florenz, XLI [1997], p. 321).
Ulteriori menzioni da parte di Baglione di opere del L. per chiese romane non trovano più riscontro a causa di modifiche o demolizioni successive, ma senza dubbio testimoniano la sua presenza in cantieri di una certa importanza, quali le chiese agostiniane di S. Lucia in Selci e di Gesù e Maria al Corso.
Baglione cita inoltre genericamente numerosi dipinti "assai buoni" eseguiti dal L. a Roma e fuori per committenti privati, dato che il suo pessimo carattere gli impedì di ottenere più numerose commissioni pubbliche; tuttavia, nessuna opera da cavalletto è finora stata riconosciuta come di mano del L., né è stato possibile identificare i soli quattro dipinti menzionati nelle fonti documentarie: un quadro con Epaminonda, eseguito per il cardinale Maurizio di Savoia, per il quale il L. ricevette 75 scudi tra il febbraio e il luglio 1625 (Schede Vesme); due mezze figure femminili e una S. Caterina d'Alessandria, registrati nell'inventario del principe Camillo Pamphili del 1652 ("Nota di guardaroba…").
Baglione menziona infine un'intensa attività del L. come disegnatore per incisioni, frontespizi di libri e titoli di tesi.
Esistono quattro disegni a Firenze (Uffizi), di cui tre tradizionalmente attribuiti al L. e un quarto assegnatogli recentemente da Fischer Pace (in Disegni del Seicento romano), che documentano tale attività, oltre a un foglio al Louvre (inv. 2951) e uno a Düsseldorf (Kunstmuseum, inv. FP15114 D). Nelle complesse allegorie di difficile decifrazione che vi sono rappresentate, esaltanti le virtù della Sapienza, della Scienza naturale e della Conoscenza, il L. rifinisce attentamente la composizione, modulando delicatamente le ombreggiature e i dettagli con l'inchiostro acquerellato, inscenando ambientazioni e personaggi in atmosfere inclini a un classicismo di stampo tuttavia barocco, cesellando con cura i volti dalle tipiche fisionomie allungate e appuntite e i dettagli naturali di piante e animali, fatto questo che ben coincide con la sua attività di orafo e con il suo interesse per la botanica, cui allude Baglione. Due di questi fogli furono incisi da C. Cungi, e le fonti menzionano almeno un'altra stampa allegorica incisa dallo stesso Cungi su disegno del L. (Venier).
Stando a Baglione, all'artista si deve il frontespizio della Catena d'Adone di O. Tronsarelli, stampato la prima volta a Roma presso F. Corbelletti nel 1626: un Adone muscoloso e dai tratti marcati, il capo reclinato in basso, ombreggiato da ampi boccoli, siede in una nicchia di verzura con il levriero al laccio, una catena su cui è iscritto il titolo dell'opera è avvolta intorno al busto nudo; nel registro inferiore due rotondi amorini rannicchiati affiancano uno scudo con il nome dell'autore. Benché non vi sia incisa la firma dell'inventore, la precisa menzione di Baglione permette di considerare il frontespizio la prima opera nota del L. perché certamente databile, eseguita prima del chiostro della Minerva e subito dopo il disperso Epaminonda per Maurizio di Savoia.
Forse introdotto da Tronsarelli, il L. dovette frequentare la cerchia barberiniana: fornì infatti i disegni per alcune incisioni inedite raccolte nel volume K.II.20.ccc della Biblioteca Casanatense. Si tratta di quattro stampe con figurazioni allegoriche vicine ai modi di Pietro Berrettini da Cortona, probabilmente titoli di tesi, corredate degli stemmi del committente o dedicatario, incise da F. Greuter, M. Natalis e V. Regnard, e riconducibili all'ambito dell'Accademia Parthenia, perché vi compare l'emblema "Arcanis nodis", figurato da una catena di maglie non intrecciate. Una quinta incisione raccolta nel volume della Casanatense è composta su due lastre incise da Regnard: nella superiore l'Avarizia sconfitta dalla Magnanimità si staglia contro uno sfondo di una villa con giardini, su disegno del L.; nella metà inferiore si trova il testo di un carme, riccamente incorniciato, e la dedica dell'autore, il conte C. Marciano, al cardinale A. Barberini.
Infine si segnala l'inedita Allegoria della Chiesa, incisa su disegno del L. (Roma, Fondazione Marco Besso, 72.L.20), anch'essa ampiamente panneggiata e circondata da amorini in volo. In queste composizioni, come nelle precedenti, si può rintracciare l'utilizzo sicuro da parte del L. del mezzo tecnico, che traduce forme plastiche e compatte in articolate allegorie complesse, forse dettate da un letterato.
Il rapporto con Tronsarelli dovette assumere le forme di un vero e proprio sodalizio, visto che il L. risulta attivo negli stessi ambienti in cui si muoveva il poeta. Non può dunque apparire casuale che nei registri parrocchiali il letterato risulti abitare al Corso, non lontano dal L., solo a partire dallo stesso anno in cui vi compare il Lelli.
Il L. morì a Roma il 4 ag. 1640 all'età di 46 anni circa (Baglione riporta il 3 agosto e l'età di 49 anni), e fu sepolto in S. Maria del Popolo.
La vedova e i figli continuarono ad abitare nella stessa casa ancora per molti anni; Baglione racconta che uno di loro aveva intrapreso la carriera paterna: potrebbe trattarsi del Lorenzo Lelio registrato in una lista di artisti che avevano l'obbligo di pagare il tributo all'Accademia di S. Luca, databile al 1634-35 (Roma, Arch. stor. dell'Accademia di S. Luca, vol. 166, f. 68, c. 24): a quella data il figlio maggiore del L., di nome Lorenzo, risulta avere circa 17 anni; dal 1639 non abita più con la famiglia di origine, ma non sembra aver lasciato traccia alcuna della sua attività. Il secondo figlio, Mario, esercitò il mestiere di indoratore, come risulta dagli Stati delle anime (Roma, Arch. stor. del Vicariato, Parrocchia di S. Maria del Popolo, Stati d'anime 1655).
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. stor. dell'Accademia di S. Luca, voll. 42a, cc. 13v, 122v; 43, cc. 1, 6, 19 s., 24; 69, ff. 103, 105, c. 33v; 166, f. 68, c. 11v; Ibid., Arch. stor. del Vicariato, Parrocchia di S. Maria del Popolo, Stati d'anime1631-1640; ibid., Liber mortuorum VI, c. 57r; Ibid., Biblioteca Casanatense, Mss., 3173, cc. 17r, 23v; G. Baglione, Le vite… (Roma 1649), rist. anast. con indice a cura di C. Gradara Pesci, Bologna 1986, pp. 375-377; F. Martinelli, Roma ornata dall'architettura pittura e scoltura (1660-63 circa), in C. D'Onofrio, Roma nel Seicento, Firenze 1969, pp. 57, 80, 111, 143, 170, 240, 245; G.B. Mola, Breve racconto delle miglior opere d'architettura, scultura et pittura… (1663), a cura di K. Noehles, Berlin 1966, p. 155; F. Titi, Descrizione delle pitture, sculture e architetture esposte in Roma, Roma 1763, pp. 163, 229, 243, 364; J.-J. Berthier, L'église de la Minerve, Roma 1910, p. 372; L. De Gregori, Del chiostro della Minerva, Roma 1927, pp. 18 s.; Schede Vesme. L'arte in Piemonte dal XVI al XVIII secolo, I, Torino 1963, p. 90; II, ibid. 1966, pp. 624 s.; H. Röttgen, Giuseppe Puglia, del Bastaro nominato, in Pantheon, XLII (1984), pp. 320 s., figg. 1-3; M. Venier, Cungi, Camillo, in Diz. biogr. degli Italiani, XXXI, Roma 1985, p. 367; E. Fumagalli, Affreschi dello Spadarino a palazzo Madama, in Paragone, XXXVII (1986), 435, p. 37 n. 20; Le dessin à Rome au XVIIe siècle (catal.), Paris 1988, pp. 73 s. n. 90; "Nota di guardaroba" del principe Camillo Pamphilj (1652), in F. Cappelletti - G. Capitelli, I capolavori della collezione Doria Pamphilj da Tiziano a Velázquez (catal.), Milano 1996, p. 77 nn. 241 s., p. 78 n. 262; Disegni del Seicento Romano (catal.), a cura di U.V. Fischer Pace, Firenze 1997, pp. 48-51 nn. 23 s., figg. 26 s.; A. Vicini Mastrangeli, La Galleria Giustiniana della Biblioteca Casanatense, in I Giustiniani e l'antico (catal.), a cura di G. Fusconi, Roma 2001-02, p. 501; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, p. 162.