LAPPOLI, Giovanni Antonio
Nacque ad Arezzo nel 1492, da Matteo di ser Jacopo di Bernardo, pittore allievo di Pietro Dei, detto Bartolomeo della Gatta, e da Caterina di Guittone d'Ottaviano degli Ottaviani.
Dell'opera pittorica del padre rimane testimonianza solo nelle fonti, che ricordano tra le altre opere ad Arezzo, la decorazione della cappella di S. Sebastiano nella chiesa di S. Agostino e alcune figure di Santi nella cappella Pietramala in duomo (Vasari, III, p. 219; Thieme - Becker).
Nel 1504, morto il padre, entrò nella bottega di Domenico Pecori, artista che di Matteo era stato condiscepolo presso Bartolomeo della Gatta. In seguito alla morte della madre e al matrimonio della sorella Maddalena con Lionardo Ricoveri, un ricco concittadino, il L. si stabilì a Firenze, ma non si sa esattamente quando. A Firenze fu attratto soprattutto dalle opere di Andrea del Sarto e di Iacopo Carucci, detto il Pontormo, presso cui andò a bottega, a quanto dice Giorgio Vasari (VI, p. 6), dopo aver ammirato le figure della Fede e della Carità affrescate nel portico della Ss. Annunziata (1513-14). La permanenza presso il Pontormo, che secondo Vasari coincise con quella di Agnolo di Cosimo detto il Bronzino e di Giovanni Maria Pichi dal Borgo, sarebbe da collocare negli anni 1515-19 (Pilliod).
Il L. abitò a Firenze presso Raffaello di Sandro detto Lo Zoppo, cappellano di S. Lorenzo, in casa del quale conobbe Antonio da Lucca, un musico che gli insegnò a suonare il liuto, e il Rosso Fiorentino, Giovanni Battista di Iacopo, che frequentava la stessa cerchia (Vasari, VI, p. 7). In quegli anni studiò assiduamente l'opera di Andrea del Sarto al chiostro dello Scalzo insieme con Pierfrancesco di Iacopo Foschi, collaborò alla esecuzione di alcune opere del Pontormo e ne eseguì altre autonomamente. Tra queste Vasari ricorda diverse Madonne e ritratti, in particolare quelli dei suoi amici Antonio da Lucca e Raffello di Sandro, opere oggi sconosciute.
È databile al 1520-22 l'Autoritratto con liuto (Firenze, Uffizi), probabilmente quello eseguito con l'aiuto del Pontormo, ricordato da Vasari (VI, pp. 259 s.). Il linguaggio pontormesco dell'opera, l'attributo del liuto, lo stemma dei Lappoli sul retro, sembrano poter confermare questa ipotesi (Proto Pisani; Forlani Tempesti).
Nel 1523 il L. conobbe a Firenze Perin del Vaga che, fuggito da Roma a causa della peste, si era stabilito anche lui presso Raffaello di Sandro, per il quale eseguì un monocromo con il Passaggio del MarRosso che poté influenzare l'arte del L. (Vasari, VI, p. 8). Entrambi gli artisti lasciarono quindi Firenze, sempre a causa della peste, e raggiunsero insieme Arezzo, dove il L. eseguì un monocromo nello stile di Perino assai lodato, raffigurante Orfeo ucciso dalle baccanti (ibid.), oggi disperso. Sempre in quegli anni, ad Arezzo, il L. lavorò a una tavola con la Vergine Annunciata, già iniziata da Domenico Pecori e destinata al convento di S. Margherita ed eseguì due cartoni per ritratti a mezzo busto raffiguranti, l'uno Lorenzo di Antonio di Giorgio, suo giovane allievo di notevole bellezza, l'altro Piero Guazzesi, tutte opere oggi sconosciute (ibid.).
Nel 1524 Cipriano Baldassarre d'Anghiari commissionò al L. una pala con la Visitazione per la sua cappella nella badia aretina delle Ss. Flora e Lucilla. L'opera fu valutata da Guillaume di Marcillat e Domenico Pecori il 22 marzo 1526 (Franklin, 1997).
Il L. si avvalse per l'ideazione del dipinto dell'aiuto del Rosso Fiorentino, suo ospite ad Arezzo, che eseguì uno "schizzetto tutto d'ignudi molto bello" (Vasari, VI, p. 9). L'opera è tuttora in loco, ma è andata perduta la lunetta del coronamento con Dio Padre ed angeli citata dalle fonti. Il dipinto spicca per l'originalità iconografica poiché all'incontro tra Maria ed Elisabetta assistono il re Davide, Maria Maddalena e s. Cipriano. Evidente la vicinanza stilistica con le opere del Rosso, specie con il Matrimonio della Vergine di S. Lorenzo a Firenze (1522-23), benché il L. traduca con una certa rigidità le articolate pose delle figure e i ricchi panneggi. Non manca però anche qualche ricordo del Pontormo (Casciu).
Successivamente, forse alla fine del 1526 o all'inizio del 1527, il L. si trasferì a Roma al seguito di Paolo Valdambrini segretario di Clemente VII, dove ritrovò il Rosso Fiorentino e Perin del Vaga e conobbe Sebastiano del Piombo e il Parmigianino, Francesco Mazzola, con il quale condivideva la passione per il liuto (Vasari, VI, p. 9). A Roma si impegnò nella esecuzione di una Madonna a grandezza naturale che intendeva presentare al papa con la mediazione di Valdambrini; ma nella primavera del 1527 il progetto fallì a causa delle drammatiche vicende del sacco di Roma, durante il quale il L. venne fatto prigioniero dagli Spagnoli (ibid.).
Smarrita la Madonna destinata al papa e i disegni eseguiti a Roma nella cappella Sistina, il L. riuscì a fuggire dai suoi carcerieri e riparò ad Arezzo presso lo zio, il canonico Giovanni Lappoli detto Pollastra (ibid., pp. 10 s.). Poco dopo il suo ritorno, nello stesso 1527, ebbe l'incarico di eseguire una tavola per l'altare maggiore di S. Francesco, raffigurante l'Adorazione dei magi con i ss. Francesco e Antonio da Padova (ibid.). Il Rosso Fiorentino, fuggito a sua volta da Roma e impegnato a dipingere la Deposizione dalla Croce a Borgo Sansepolcro, fornì ancora una volta all'amico L. un disegno per l'ideazione della pala. Il disegno, che fu di proprietà di Vasari e successivamente di Vincenzo Borghini, è oggi sconosciuto.
L'opera è tuttora in loco, benché ubicata in un altro altare, e rivela la stretta dipendenza dall'arte del Rosso, in particolare dalla Deposizione (Casciu). Ritorna anche il ricordo del Pontormo, specie in qualche volto, e di Guillaume di Marcillat, nel gusto per la composizione serrata delle sagome come ritagliate.
L'amicizia tra il L. e il Rosso si rinsaldò al punto che il L. si adoperò per ottenere al Rosso una committenza aretina, quella per la decorazione ad affresco di un ciclo mariano nella cosiddetta Madonna delle Lagrime, oggi Ss. Annunziata.
Per quest'opera il L. si rese perfino garante nei confronti del Rosso, anticipando una notevole somma (Vasari, VI, p. 12). Lo zio del L., il canonico Lappoli, fornì inoltre il programma iconografico degli affreschi, compresa una particolare Allegoria della Immacolata Concezione. Ma il Rosso lasciò inaspettatamente Arezzo nel 1530 senza aver eseguito l'opera mettendo il L. in una situazione difficile, tanto che egli, ancora nel 1535, si rivolse a Paolo III per cercare di ottenere il recupero della somma anticipata.
Non risultano notizie del L. tra il 1530 e il 1534, anno nel quale disegnò una prospettiva per una commedia scritta dallo zio Lappoli e allestita dalla Compagnia degli Infiammati in occasione della visita ad Arezzo del duca Alessandro de' Medici (ibid., pp. 12 s.). Forse in quegli anni avviò il lavoro della pala raffigurante la Madonna con Bambino in trono e i ss. Bartolomeo e Matteo commissionata per la cappella della famiglia Camaiani nel santuario di S. Maria del Sasso a Bibbiena, di cui ebbe il saldo nel 1536, dopo un litigio con la committenza (Casciu; Franklin, 1997).
L'opera, firmata, è tuttora in loco e pur manifestando ancora la dipendenza dall'arte del Rosso, mostra una composizione più semplice e simmetrica risolta con maggior scioltezza, nonché una gamma coloristica preziosa e brillante. La monumentalità delle figure deriva anche dallo studio della Sistina michelangiolesca vista a Roma prima del sacco (Casciu).
A Bibbiena il L. eseguì anche un gonfalone (oggi disperso) per una confraternita locale, raffigurante un Cristo Portacroce che versa il suo sangue in un calice da un lato e una Annunziata dall'altro.
Nel 1540 disegnò un'altra prospettiva per la replica della commedia dello zio Giovanni Lappoli, questa volta messa in scena per la visita ad Arezzo di Cosimo de' Medici ed Eleonora de Toledo (Vasari, VI, p. 13). Non vi sono notizie precise per gli anni successivi fino al 1545, quando il L. firmò e datò la pala con l'Immacolata Concezione e santi, conservata nel Museo civico di Montepulciano.
Dell'opera è stato rintracciato il disegno preparatorio, che ha dato la possibilità di avviare una ricerca attributiva dell'attività grafica del L. (Forlani Tempesti). Il linguaggio pittorico mostra una maggiore vicinanza allo stile coevo del Bronzino e di Vasari, mentre l'invenzione iconografica è ancora debitrice di quella già approntata da Pollastra per l'affresco del Rosso nella aretina Madonna delle Lagrime e riproposta da Vasari nel 1540 per l'altare di Bindo Altoviti in Ss. Apostoli a Firenze.
Numerose sono inoltre le opere del L. eseguite ad Arezzo e dintorni, ricordate da Vasari ma oggi scomparse, come il gonfalone eseguito per la Compagnia dell'Ascensione di Arezzo, di cui si hanno notizie fino al 1785 (Milanesi, in Vasari, VI, p. 14 n. 1), la Visitazione e santi per Città della Pieve e la Pietà con angeli per la chiesa di Murello. Particolare rilevanza è data da Vasari a una Madonna e santi per Pieve Santo Stefano, nella quale il linguaggio del L. si sarebbe avvalso positivamente dello studio di reperti archeologici e copie da Michelangelo in possesso di Vasari. Sempre secondo Vasari, Bernadetto Minerbetti, vescovo di Arezzo e ammiratore del L., avrebbe posseduto dell'artista una Giuditta eOloferne e un S. Giovanni Battista giovinetto. Inoltre il L. avrebbe eseguito dei disegni per concorrere all'assegnazione di una pala per la chiesa di S. Rocco e di una per la chiesa di S. Domenico ad Arezzo, pale poi assegnate entrambe a Vasari.
Il L. visse i suoi ultimi anni ad Arezzo con la moglie e i figli, divenuto benestante e "vivendo d'entrate e degli uffizii", fino alla morte avvenuta nel 1552 per una "febbre acutissima" (Vasari, VI, p. 16).
Si ricorda un suo allievo, Bartolomeo Torri, nobile aretino che fu miniatore a Roma presso Giulio Clovio, ma che, allontanato da Roma per la sua condotta disdicevole, tornò ad Arezzo dove morì venticinquenne, pochi mesi dopo il L. (ibid.).
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite… (1568), a cura di G. Milanesi, III, Firenze 1878, pp. 219-221; V, ibid. 1880, pp. 164-166; VI, ibid. 1881, pp. 5-16, 259 s.; E.A. Carrol, L., Alfani, Vasari and Rosso Fiorentino, in The Art Bulletin, XLIX (1967), pp. 297-304; M. Lenzini Moriondo, Immacolata e santi, in Arte in Valdichiana dal XIII al XVIII secolo (catal.), a cura di L. Bellosi - G. Cantelli - M. Lenzini Moriondo, Cortona 1970, pp. 44 s.; R. Proto Pisani, in Il primato del disegno (catal.), Firenze 1980, p. 129; A.M. Maetzke, in Giorgio Vasari (catal.), a cura di L. Corti et al., Arezzo 1981, pp. 325-327; M. Gori Sassoli, La pittura del Cinquecento nel territorio aretino, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, Milano 1987, I, pp. 359 s., 362, 365 n. 5; Id., ibid., II, p. 745; A. Forlani Tempesti, Avvio a G.A. L. disegnatore, in Da Leonardo a Rembrandt. Disegni della Biblioteca Reale di Torino. Nuove ricerche in margine alla mostra. Atti del Convegno internazionale di studi… 1990, a cura di G.C. Sciolla, Torino 1991, pp. 94-105; Dal Rosso a Santi di Tito. Guida alle opere. La maniera moderna nell'Aretino, a cura di S. Casciu, Venezia 1994, pp. 21-25; D. Franklin, Rosso in Italy, New Haven-London 1994, ad indicem; L. Speranza, in Mater Christi. Altissime testimonianze del culto della Vergine nel territorio aretino (catal., Arezzo), a cura di A.M. Maetzke, Cinisello Balsamo 1996, pp. 60 s.; D. Franklin, Documents for G.A. L.s "Visitation" in Ss. Flora e Lucilla in Arezzo, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XLI (1997), pp. 197-205; E. Pilliod, Pontormo, Bronzino, Allori. A genealogy of Florentine art, New Haven-London 2001, pp. 43 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXII, pp. 377 s.