FIESCHI, Giovanni Antonio
Figlio di Niccolò, consignore di Torriglia (Genova), e di Maria di Lionello Lomellino, nacque alla fine del sec. XIV o agli inizi del sec. XV da un ramo della potente famiglia ligure. Da giovane condivise le tormentate vicende del padre, impegnato a difendere il suo feudo contro l'espansionismo di Genova, di Milano e di Firenze.
Passata Genova sotto la signoria di Filippo Maria Visconti (3 nov. 1421), Niccolò fu fatto imprigionare per ordine del duca di Milano sotto l'accusa di essersi accordato con la Repubblica di Firenze ed ebbe i beni confiscati. Riacquistata la libertà, strinse effettivamente, il 15 maggio 1427, un accordo con la città toscana: riottenne i suoi castelli in seguito ad un arbitrato di N. Albergati, cardinale di S. Croce, solo dopo la firma della pace di Ferrara (iq apr. 1428). Riapertesi le ostilità, nel 1430 Niccolò, che si era nuovamente schierato con Firenze contro il duca di Milano, ebbe il feudo occupato dai Viscontei nel corso dell'offensiva scatenata in Liguria dal Piccinino, capitano generale di Filippo Maria. Nel 1432 fu nuovamente arrestato e, più tardi, costretto a vendere Roccatagliata a Genova.
Nel 1430, quando Barnaba Adorno, avendo come obiettivo la liberazione della patria dal dominio visconteo, organizzò con truppe fornitegli dal marchese del Monferrato Giovanni Giacomo Paleologo e con l'appoggio di una flotta veneziano - fiorentina un colpo di mano su Genova, il F. gli promise aiuto ma poi, iniziata l'impresa, non scese in campo, per cui l'Adorno venne affrontato, sconfitto e fatto prigioniero da Niccolò Piccinino. Sempre in quell'anno, poiché Biagio Assereto (commissario della Repubblica di Genova a Portofino, centro che era stato strappato alla famiglia Fieschi) si era impadronito del locale castello e di una galera che si stava allestendo nel porticciolo di quel borgo, il F. inoltrò presso le autorità genovesi una formale e vibrata protesta, esigendo un indennizzo Per il danno subito.
Le ragioni del F. erano senza dubbio fondate. Il governo genovese si affrettò infatti a nominare, per risolvere la controversia, una commissione. Il 27 settembre essa stabilì che il F. dovesse essere indennizzato per i danni subiti: dalla somma indicata per il risarcimento dovevano tuttavia venire defalcati i denari che egli aveva in precedenza ottenuto in mutuo dalla Repubblica.
Per quanto i Fieschi avessero in qualche modo sostenuto la rivolta del 27 dic. 1435, che aveva portato alla fine del dominio visconteo in Genova e ricondotto al potere, come doge, Tommaso Fregoso, non tardarono a manifestarsi gravi divergenze all'interno della loro famiglia, rimasta priva, dopo la morte del card. Ludovico Fieschi (1423), di una guida di prestigio. Mentre Gian Luigi Fieschi, uno zio del F., si mantenne fedele al nuovo doge nella speranza di poter recuperare, grazie al suo lealismo. il possesso di Pontremoli, il F., invece, si staccò dal Fregoso, occupando Chiavari. Dopo un primo tentativo, di riportare con la forza il ribelle all'obbedienza, la questione dovette essere risolta con un accordo, dato che il 6 ott. 1437 il F. si trovava a Chiavari come arbitro in una lite. Nel 1441 Tommaso Fregoso, rinnovata la lega con Venezia e con Firenze, si alleò con Eugenio IV per una azione comune contro Alfonso d'Aragona, re di Sicilia, allora in lotta con Renato d'Angiò per il trono di Napoli. Contro la consuetudine il doge affidò a un non nobile, il fratello Giovanni, il comando della flotta che si stava allestendo per la campagna napoletana: il F. insorse vivacemente contro tale decisione e non esitò a ribellarsi all'autorità del doge. Si alleò con il duca di Milano e il sovrano aragonese con l'obiettivo di sottomettere Genova. Posta la sua base operativa in Torriglia, il F. iniziò una campagna di logoramento, minacciando le coste orientali della Liguria ed impedendo alla flotta genovese di salpare. Attaccata ad Oriente dal F. e ad Occidente dagli Adorno e da Galeotto Del Carretto marchese di Finale, entrato nel 1441 nella lega, Genova riuscì a resistere ancora per un anno dopo la pace di Cavriana conclusa tra il duca di Milano, Venezia e Firenze (10 dic. 1441). Il 18 giugno 1442, mentre navi aragonesi e truppe viscontee assediavano la città, il F. tentò di sbarcare a Genova, ma fu respinto dal Fregoso. Qualche mese dopo tentò, partendo da Camogli, un attacco per via di terra, che ebbe successo: entrato in città il 18 dicembre sollevò il popolo a rivolta obbligando il doge a deporre il suo ufficio. Alla testa della Repubblica venne posta una magistratura collegiale, gli Otto capitani di libertà di cui il F. fece parte, i quali rimasero in carica fino al 28 genn. 1443, quando venne eletto doge Raffaele Adorno, che aveva collaborato col F. nella conquista del potere. Secondo il Federici, il F. favorì l'elezione dell'Adorno e fu per questo da lui nominato ammiraglio perpetuo della Repubblica e luogotenente per tutta la Riviera di Levante, carica, quast'ultima, che se formalmente poneva il F. in una posizione subordinata rispetto al doge, in realtà gli riconosceva il controllo della intera Riviera, dato che al luogotenente spettava la nomina degli ufficiali chiamati a governare le cittadelle rivierasche. Tuttavia, ad onta delle affermazioni del Federici, risulta che tali cariche non furono concesse volontariamente dall'Adorno, ma che vennero a lui strappate dopo una lunga serie di pressioni - il F. aveva ripreso le armi contro la Repubblica e, occupate Recco, Portofino ed altre località, metteva al sacco la Riviera di Levante - e di trattative il 7 marzo 1443. La creazione del F. ad ammiraglio e luogotenente, comunque, aprì una nuova frattura all'interno della sua stessa famiglia, dove altri membri aspiravano a quelle cariche.
Nell'agosto 1443 si arrivò a una tregua tra Genova e Milano; in base ad essa, il Visconti si impegnò ad ottenere dal F. entro due mesi la restituzione di Portofino e delle altre terre della Repubblica che occupava; in cambio Genova promise di rifondere al F. le spese sino allora da lui sostenute per custodire quelle stesse località. Il 22 agosto, dopo la ratifica del'accordo, il doge decise che venisse pagato al F. un assegno annuo di 3.500 lire: gli ufficiali di Moneta, però, si opposero al provvedimento e solo dopo qualche tempo accettarono di versare al F. la somma per un solo anno. In quegli anni, secondo il Federici, il F. si trasferì a Milano, presso Filippo Maria Visconti, che lo investì dei feudi di Calestano e Vigolone, strappati in precedenza alla famiglia Fieschi. Il duca gli restituì anche i feudi di Grondona, di Varzi e di Garbagnie nella diocesi di Tortona. Il F. non troncò, ad ogni modo, i suoi rapporti con Genova. Secondo il Di Faio, infatti, partecipò al colpo di Stato che il 4 genn. 1447 rovesciò Raffaele Adorno portando al dogato Barnaba Adorno. Arrestato da quest'ultimo e trattenuto prigioniero per venti giorni, egli avrebbe poi, sullo scorcio dello stesso mese, sostenuto la sanguinosa sollevazione che innalzò al potere Giano Fregoso. Dopo la morte di Filippo Maria Visconti (13 ag. 1447) e la costituzione della Repubblica Ambrosiana, egli cercò di rinforzare i suoi legami con il, re di Francia, per spingerlo ad occupare Genova. Il nuovo doge, informato delle trattative dal cugino Antonio Fregoso, capitano dell'Oltregiogo, in un primo tempo preferì - anche a causa dei rapporti familiari che lo legavano al F. - tentare di convincere quest'ultimo a desistere dai suoi progetti. Furono informati della gravità della posizione del F. anche Tommaso Fregoso ed alcuni membri della famiglia Fieschi, tra cui Gian Luigi e suo figlio Giovanni Filippo. Evidenziando la spaccatura esistente all'interno della famiglia, i due Fieschi preferirono non intervenire. Perciò, persistendo nella sua politica, il F. fu arrestato, processato e decapitato il 30 settembre 0 il 1° ott. 1447. Il giorno seguente, il doge provvide ad informare lo zio Tommaso Fregoso, il papa ed il re d'Aragona della avvenuta esecuzione.
Il F. aveva sposato Giorgetta di Abramo Fregoso, da cui aveva avuto un figlio, Nicolosino, ancora fanciullo al momento della sua morte, ed una figlia, Maria, che poi sposò Pandolfo Fregoso, fratello di Pietro e cugino del doge Giano. Gian Luigi, zio del F., si adoperò perché il piccolo Nicolosino fosse affidato a lui; a tale scopo si mosse, però, anche Ludovico Fieschi, altro zio del F.: il piccolo restò accanto alla madre e solo nel 1452 poté fuggire dal ritiro forzato di Ovada ove era stato confinato. Dovette morire giovane, senza lasciare eredi. Gian Luigi Fieschi, tuttavia, riuscì ad ottenere, grazie all'appoggio di Genova, che i feudi del F. passassero al proprio figlio Giovanni Filippo. Tortona cercò di occupare le località che nel suo territorio possedeva il F., ma il tentativo venne bloccato dal pronto intervento della Repubblica genovese; a Masino Fieschi e ad Antonio Fregoso, capitano generale d'Oltregiogo, fu ordinato di collaborare con Giovanni Filippo per mantenere il controllo di tali località.
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