DOSIO (o Dossi), Giovanni Antonio
Architetto e scultore, nato nel 1535 a Firenze o a San Gimignano, morto dopo il 1609 a Roma o a Napoli. Si allogò prima a Roma presso lo scultore Raffaele da Montelupo, occupandosi anche a restaurare statue antiche. Nel 1566 compiva la sepoltura di Annibal Caro; dopo il 1567 quella del medico Lorenzo Pacini, ambedue in S. Lorenzo in Damaso. Sono suoi anche i monumenti funerarî del medico Antonio Gallese in S. Pietro in Montorio e del connestabile Michel Antonio, marchese di Saluzzo (1575), già in S. Maria del Popolo, ora in S. Maria Aracoeli. Nel 1569 pubblicava un'opera dal titolo Urbis Romae aedificiorum illustrium quae supersunt reliquiae. ecc., famosa per la chiarezza della visione degli antichi avanzi e per la nitidezza del disegno (disegni originali dell'antico si conservano agli Uffizî, e nel gabinetto delle stampe a Berlino). Come scultore, il D. fu poco più che mediocre, costantemente freddo e contenuto.
Nel 1574, il D. era aiuto dell'Ammannati nei lavori che questo compiva nella villa dei Medici all'Ambrosiana; dal 1576 fino al 1590, salvo qualche breve viaggio a Roma, il D. fu stabile a Firenze, ove si dedicò esclusivamente all'architettura, nella quale non mantenne una costante unità di stile tanto che bisogna fare una netta distinzione fra le sue costruzioni religiose e civili. Nelle prime i ricordi del suo soggiorno romano ritornano evidenti: nelle seconde egli sembra ritornare a quelle schiette e pure del primo Cinquecento fiorentino. Nel 1576-78 dava i disegni della cappella Gaddi, in Santa Maria Novella, con evidenti ricordi di Michelangelo. Alla cappella Niccolini in Santa Croce (i primi progetti sono forse del 1579; fu iniziata, secondo il Bocchi, nel 1585) la fastosa decorazione toglie quel senso di raccoglimento e di austerità che è il vanto della cappella Gaddi. Due sole fabbriche civili, a Firenze, spettano al D.: la fronte del palazzo arcivescovile (1582) e il palazzetto Larderel-Giacomini (1580) in via Tornabuoni. Nel primo le forme generali richiamano Baccio d'Agnolo e la sua derivazione, dal palazzo Bartolini-Salimbeni in poi. Nel secondo l'insieme riporta intimamente al palazzo Bartolini-Salimbeni, rielaborandone gli elementi, con un gusto e una fermezza che non trovano altri riscontri nelle opere del D.
Nel 1591 il D. era a Napoli, architetto della chiesa della certosa di S. Martino, i cui lavori di trasfomazione erano stati incominciati nel 1581. Nel 1609 il D. attendeva anche ai lavori della chiesa del Gesù Nuovo di Napoli.
Spirito assimilatore, il D. ha tradotto spesso nell'architettura - nella quale particolarmente il suo nome è famoso - forme ed elementi disparati, senza riviverli intimamente; altre volte, con semplicità che nasconde una profonda coscienza, è riuscito a rivivere originalmente gli aurei modelli fiorentini. E allora ha dato il suo capolavoro: il palazzo Larderel, e la chiesa della certosa di S. Martino, sebbene questa sia inferiore a quello.
Bibl.: G. Vasari, Le Vite, Ed. Milanesi, VI, Firenze 1880, pp. 163-164; V. Borghini, Il riposo, Firenze 1730, VI, pp. 491-92; F. Milizia, Memorie degli architetti antichi e moderni, II, Parma 1818, pp. 55-56; F. Biadi, Le antiche fabbriche di Firenze non terminate, Firenze 1824, pp. 13-141-228; G. P. Hübner, Le statue di Roma, Lipsia 1912, p. 64 segg.; G. Sobotka, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, IX, Lipsia 1913 (con bibl.); Ch. Hülsen, Ein skizzenbuch des G. D. in D. Kgl. Bibliothek zu Berlin, in Sitzungsber. d. kgl. preuss. Akad. d. Wiss., LIII (1915), pp. 914-36.