CYBEI (Cibei), Giovanni Antonio
Nacque a Carrara il 3 febbr. 1706, figlio di Carlo Andrea e di Maria Maddalena Carusi. Il biografo del C., Tiraboschi (1786), scrisse che il padre era ebreo ed assunse il nome e il cognome dopo essersi convertito al cattolicesimo (il cognome probabilmente "in onore e ricordanza che qualcuno di casa Cybo l'aveva tenuto a battesimo": Spreti).
Rimasto orfano di padre in giovane età, il C. fu allevato dalla famiglia della madre, imparentata con lo scultore Giovanni Baratta; questi si accorse del precoce talento del ragazzo e l'avviò alla professione di scultore. All'età di quindici anni il C. si recò a Roma dove si aggregò allo scultore pesciatino Agostino Cornacchini, il quale lo impiegò in vari lavori: è ricordata infatti la sua partecipazione all'esecuzione del cavallo della statua equestre di Carlomagno (1722-25), posta a sinistra nell'atrio di S. Pietro a pendant di quella di Costantino del Bernini. Durante il soggiorno romano, che durò circa sette anni, il C. studiò la scultura antica e praticò anche la pittura, secondo il Lazzoni (1869), il quale cita un suo dipinto ad olio eseguito in quel tempo, rappresentante l'Angelo e Tobiolo a mezze figure, che nel penultimo decennio dell'800 apparteneva al vicario della collegiata di S. Andrea a Carrara.
Ritornato a Carrara verso il 1728, il C. si mise a lavorare per lo zio Giovanni Baratta. Già il 3 dicembre di quell'anno, in un pagamento di 20.000 lire al Baratta per le quattro grandi statue di Dottori della Chiesa e i quattro Angioletti collocati nella cappella del castello di Venaria presso Torino, il C., assieme ad Andrea Silici, ricevette un premio di 150 lire per la parte avuta nell'esecuzione di tali marmi (Schede Vesme, 1963). Per almeno un decennio continuò ad operare con il maestro, lavorando "non solo in marmo, ma anche in creta, abbozzando i disegni delle statue che doveano scolpirsi" (Tiraboschi, 1786). 2 quindi probabile una sua partecipazione nelle importanti commissioni che toccarono al Baratta in quel periodo, come le quattro grandi statue di Santi del 1732 per la basilica di Mafra in Portogallo o la messe di urne, trofei e cariatidi, compiuta nel 1736 per ornare la facciata verso il giardino del palazzo reale di La Granja in Spagna.
Il Tiraboschi (1786) ci informa che nelle ore libere il C. produsse delle sculture di propria invenzione. Ne cita un gruppo rappresentante Sansone e Dalila, assieme ad un altro con Giuditta che consegna la testa d'Oloferne alla serva (soggetto già raffigurato dal suo maestro Cornacchini in un bronzo oggi nel Birmingham City Museum and Art Gallery); queste sculture, assieme a statue delle Quattro stagioni e ad altre opere sue non specificate, si conservavano ancora nella seconda metà dell'800 nella galleria dei marchesi Remedi a Sarzana, mentre sculture delle Quattro parti del mondo furono in seguito acquistate dall'ammiraglio russo F. G. Orlov. Da Sansone e Dalila e da altri lavori il C. ricavò una somma di denaro sufficiente a monacare le due sorelle.
Nel 1739 il C. decise di prendere gli ordini sacri e a tale scopo si mise a studiare la grammatica e la filosofia. Si fece sacerdote con l'aiuto finanziario dei Carusi e del Baratta; fondò un canonicato nella collegiata di S. Andrea a Carrara, dove fu egli stesso canonico e primicerio. Secondo i biografi il C. abbandonò in quell'epoca l'attività di scultore; la riprese tuttavia, dietro le sollecitazioni di amici ed ammiratori, in seguito ad un secondo viaggio a Roma. Tale pausa dovette comunque essere di breve durata se è vero, come tramanda il Tiraboschi (1786), che il C. stette presso il Baratta fino alla morte di costui, avvenuta nel 1747; si può supporre che egli fosse l'effettivo erede della bottega in quanto i due fratelli del maestro, anch'essi scultori, gli erano premorti.
A partire dagli anni '50 il C. emerse come artista autonomo, interprete dei modi della scultura tardobarocca di derivazione fiorentina, nella tradizione dei suoi due maestri, con un crescente accento aulico, specie nei ritratti, consono con il classicismo in auge verso la metà del secolo. La prima commissione di rilievo che ebbe fu per una statua rappresentante una Gloriadei principi, da eseguirsi per 1.070 scudi in occasione della nascita, nel 1753, di Rinaldo, figlio della duchessa Maria Teresa. Nel Libro delle Riforme della città di Carrara per gli anni 1745-59 (a c. 215, secondo il Campori, 1873, p. 82 n. 2) vi è una supplica dei magistrato comunale per la collocazione del monumento in piazza Alberica, ma in seguito alla morte del neonato nello stesso anno l'opera fu inviata a Napoli e non se ne ha ulteriore notizia. Nello stesso 1753 il C. eseguì il mausoleo del Cardinale Giulio Alberoni, ornato con l'effigie del defunto ed altre statue in marmo, situato nella prima cappella a sinistra di S. Lazzaro presso il collegio Alberoni a Piacenza (ill. in Barbieri, 1979). Nel 1768 compì il mausoleo di Francesco Algarotti, comprendente il ritratto in ovale e una figura giacente, che si trova nel braccio occidentale del camposanto pisano. Per questo monumento, inciso da G. Volpato nel 1716, il C. usò i modelli in creta preparati dal bolognese Carlo Bianconi, il cui nome era stato proposto in testamento (1766) dal pittore Mauro Tesi, che ne aveva fatto il disegno, e l'aveva sottoposto a Federico. di Prussia per la sua approvazione (Gualandi, 1843).
Il 26 settembre del 1769 la duchessa Maria Teresa nominò l'artista primo direttore della nuova Accademia di belle arti di Carrara "Per la di lui più cognita abilità nella scultura" (Scarzella-Bizzarri, 1941). I corsi iniziarono nel marzo dell'anno seguente e per la sede, di cui fu posta la prima pietra il 27 maggio 1771, il C. scolpì un ritratto della Duchessa Maria Teresa tuttoranella collezione dell'istituto. Sempre nel 1771 l'ammiraglio A. Orlov, comandante della flotta russa in rada a Livorno, diede al C. in segreto la commissione di eseguire un gruppo colossale in marmo raffigurante la ZarinaCaterina II con un turco inginocchiato ai suoi piedi. L'artista utilizzò dei ritratti della zarina che l'Orlov aveva portato con sé per la realizzazione dell'opera, che fu poi inviata in Russia. Risalgono a questo tempo i busti scolpiti dal C. raffiguranti la Zarina (Petrodvorec, presso Leningrado) e l'Orlov (Leningrado, Museo del palazzo Ermitage). Nel 1773 Giovanni Gori, nobiluomo seriese e ciambellano del granduca Pietro Leopoldo di Toscana, commissionò al C. un busto in marmo del Granduca percommemorare la sua presenza al matrimonio della propria figlia (già collocato sullo scalone del palazzo Gori a Siena ed oggi nel Victoria and Albert Museum di Londra: cfr. J. Pope Hennessy, Catalogue of Italian sculpture, II, London 1964, pp. 645 ss.). Del 1774 sono i busti di Carlo Sigonio e di Lodovico Antonio Muratori nella Biblioteca Estense di Modena, che erano stati ordinati al C. dal duca Francesco III e pagati 100 zecchini (Campori, 1873, p. 83 n 2). Risale allo stesso anno l'opera più importante dell'artista: la statua equestre di Francesco III, che fu collocata in piazza S. Agostino a Modena il 24 aprile alla presenza del duca e di tutta la sua corte. Essa fu atterrata e distrutta durante l'occupazione francese del 1796, ma ne rimane il modello in gesso nell'Accademia di Carrara e l'incisione, pubblicata come antiporta del volumetto di poesie encomiastiche (dell'Araldi, del Bettinelli, del Cerretti, del Paradisi, del Tiraboschi, ecc.) stampato in occasione della solenne inaugurazione: Per la solenne dedicazione della statua equestre innalzata dal pubblico di Modena all'immortale memoria dell'Altezza Serenissima di Francesco III gloriosamente regnante. Applausi poetici consacrati alla medesima A. S. (Modena 1774). Il monumento valse al C. il titolo di conte, rilasciato dai Conservatori di Modena il 20 genn. 1774. L'11 settembre di quell'anno fu finalmente collocata l'immagine della Madonna di Montenero nel tabernacolo con una Gloria dicherubini eseguitadal C. su disegno di Giovanni Baratta nella tribuna dell'omonimo santuario presso Livorno (Piombanti, 1903).
Il Tiraboschi (1786) scrisse che il C. scolpi molti ritratti in busto di regnanti e di altri personaggi, ma che le uniche opere di cui il C. fosse soddisfatto erano Sansone e Dalila, la Gloria dei principi e la statua in marmo dell'Immacolata Concezione (quest'ultima eseguita per una cappella appartenente a Francesco Ubaldo Berettari, posta in via dell'Arancio a Carrara, e trasferita insieme all'altare nella cappella del nuovo ospedale civile nel secolo scorso).
Lo stesso autore accenna alla grande quantità di opere del C. esportate in Olanda, Francia e Russia: per lo più statue e marmi decorativi per giardini, "molti de' quali però sono di mediocre lavoro", eseguiti con l'aiuto della bottega. Poiché non è stata fatta una moderna ricognizione dell'opera del C., sono ancora da identificare esemplari di tale produzione, che doveva rappresentare la continuazione di quella analoga di Pietro Baratta, il quale ebbe il titolo di "Scultore della Moscovia" per siffatti lavori. A questo proposito un'indicazione della solida reputazione che l'artista godeva, al di là dei confini del ducato di Massa e Carrara, verso la fine della carriera, è data in un passo dell'edizione del 1782 della guida di Bologna di C. C. Malvasia, dove il C. è citato come "celebre scultore di Carrara, vivente in patria" a proposito di una statua nel cortile del palazzo Zambeccari "della Scuola dell'Abate D. Gio. Cybei".
Oltre alle opere qui rammentate, le fonti e le antiche guide assegnano al C.: a Carrara, nell'oratorio detto Compagnia Grande presso la collegiata, l'altare del Riscatto, a bassorilievo, con la Trinità e angeli, due schiavi e due fondatori della compagnia; una Madonna del rosario col Bambino sorretta a angeli, in cartapesta, una delle sue ultime opere (ibid.); un'Addolorata, più grande del naturale e in cartapesta policroma, nella chiesa del Pianto; due bassorilievi in marmo nell'atrio di casa Sarteschi in piazza del Duomo; a Sarzana, nel duomo, il gruppo in marmo raffigurante S. Agostino con l'angelo, collocato nella nicchia dell'altare della cappella Caraffa, e l'altare dell'Assunta (con al centro la Vergine, opera più antica, di D. Guidi) sorretto da due grandi Angeli con sopra due più piccoli, posto nel coro; a Lucca, nella chiesa di S. Caterina, le statue della Carità e Purità ai lati dell'altar maggiore, già riferitegli dal Grammatica (1741: attribuzione perciò più attendibile che non la dubbia ascrizione al carrarese Giovanni Lazzoni, attivo nel '600, riportata da I. Belli Barsali, Guida diLucca, Lucca, 1970, p. 104); a Pisa, le statue dei Ss. Domenico e Silvestro nella facciata della chiesa di S. Silvestro; la fontana con tre putti che reggono lo stemma di Pisa nel Campo dei Miracoli, riferita al C. dal Tiraboschi (1786), risulta invece opera documentata di Giuseppe Vaccà (cfr. G. Castelfranco, La fontana di G. Vaccà in piazza del Duomo a Pisa, in Rivista d'arte, XIII [1931], pp. 431 ss.).Il C. morì a Carrara il 7 sett. 1784 e fu sepolto nella Compagnia Grande presso la collegiata di S. Andrea.
Lo Zani (1821) fa cenno pure ad un Cesare Cybei, scultore carrarese attivo nel Settecento, non altrimenti noto.
Fonti e Bibl.: G. Grammatica, Guida sacra alle chiese di Lucca, Lucca 1741, p. 150; C. C. Malvasia, Pitture e scolture ed architetture delle chiese... di Bologna, Bologna 1782, pp. 188, 477; G. Tiraboschi, Bibl. modenese o notizie... degli scrittori... di Modena, VI, Modena 1786, pp. 404 ss.; A. da Morrona, Pisa illustrata nelle arti del disegno, I, Pisa 1787, pp. 307 ss.; P. Zani, Enc. metodica... delle belle arti, I, 7, Parma 1821, p. 165; E. Gerini, Memorie stor. d'illustri scrittori e di uomini insigni dell'antica e moderna Lunigiana, I, Massa 1829, pp. 239-42; M. Gualandi, Memorie originali ital. risguardanti le belle arti, IV, Bologna 1843, pp. 178 s.; E. Lazzoni, Carrara e la sua Accademia di belle arti, Pisa 1869, pp. 26 ss., 36; O. Raggi, Intorno alla storia dell'Accademia di belle arti di Carrara, Carrara 1869, pp. 6 s.; G. Campori, Memorie biogr. d. scultori... nativi di Carrara, Modena 1873, pp. 80-83; C. Lazzoni, Carrara e le sue ville, Carrara 1880, pp. 344 ss.; A. Neri, La cattedrale di Sarzana, in Giorn. ligustico, XVII (1890), p. 52; E. Piombanti, Guida stor. ed artistica della città e dei dintorni di Livorno, Livorno 1903, p. 404; A. Bizzarri-G. Giampaoli, Guida di Carrara, Carrara 1933, pp. 40, 60; M. Spediucci, Il Primo direttore dell'Accademia, sacerdote e scultore, in Il Popolo apuano, 25 ag. 1934 (rist. in A. Angeli, Sinfonia del marmo, Carrara 1935, pp. 153 Ss.); A. Scarzella-A. Bizzarri, La Regia Accademia di belle arti di Apuania Carrara, Firenze 1941, pp. 13, 36; Schede Vesme, I, Torino 1963, p. 86; G. Hubert, La sculpture dans l'Italie napoléonienne, Paris 1964, pp. 29 s.; M. B. [Barbieri], in Società e cultura nella Piacenza del Settecento... (catal.), 2, Piacenza 1979, p. 86 e ill. 112; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VIII, pp. 233 s.; V. Spreti, Enc. storico-nobiliare ital., App., I, p. 537.