CUCCHI, Giovanni Antonio
Nacque agli Ondini, frazione di Campiglia Cervo (prov. di Vercelli), il 17 ott. 1690, da Giovanni Antonio e da Maria Savoia (Campiglia Cervo, Arch. parr., Battesimi 1654-1698)..
Il C. è oggi considerato uno dei più prolifici pittori decorativi attivi in Lombardia, mentre un tempo era noto soprattutto per alcune opere eseguite nel Biellese e a Varallo: gli è stata infatti riconosciuta per via documentaria (Bossaglia, 1966) la paternità d'una Apoteosi di Ercole in palazzo Carones Brentano a Corbetta (Milano) e di conseguenza, per confronto stilistico, quella di molti affreschi in dimore patrizie dei Milanese e territori limitrofi.
Mancano assolutamente notizie circa i primi due decenni di vita. Si ritiene che, giunto a Milano giovanissimo al seguito di parenti operosi in campo edile, abbia ricevuto nel capoluogo lombardo la prima educazione artistica, specializzandosi poi con la frequentazione dell'Accademia Ambrosiana; dell'Accademia fece sicuramente parte dal momento che in una sala chiusa al pubblico dell'attuale pinacoteca si conserva il suo Ritratto come quello di altri pittori detti accademici da fonti documentarie: infatti nel Settecento la sala di pittura dell'Ambrosiana era tappezzata con i ritratti dei suoi migliori membri (Latuada, Descriz..., IV, Milano 1738, p. 114).
Il primo documento a noi noto che cita il C. è un atto notarile milanese (Arch. di St. di Milano, Notar., 36.630) dell'11 ag. 1716: al momento del rogito abita in parrocchia S. Maria Beltrade, prende in affitto in parrocchia S. Maurilio una casa dotata di molte camere tanto al pianterreno quanto al primo piano. La vastità dell'alloggio induce a credere che il pittore a quel tempo non vivesse da solo e che fosse già coniugato. Una lacuna nei registri di S. Maurilio impedisce qualsiasi accertamento. La prima opera che le fonti assegnano al C., S. Marta distribuisce le sue ricchezze ai poveri, tela dipinta per la distrutta chiesa dei SS. Bernardo e Biagio, dispersa, è riferita al 1720 circa (Latuada, I, p. 186).
Nel 1720 l'artista abita in parrocchia S. Maria Pedone, nella quale viene battezzata il 1° agosto la figlia Maria Gioseffa Angela avuta dalla moglie Lucia Dell'Orto. Negli anni seguenti in questa parrocchia e dal 1728 in quella di S. Giovanni in Conca gli nasceranno altri nove figli: si ricordano Carlo Antonio Maria Giuseppe Baldassarre (n. 1724), Giuseppe Maria Baldassarre (n. 1726), Francesco Domenico Giuseppe (n. 1729), Giuseppe Antonio Baldassarre (n. 1733).
Uno di questi potrebbe essere il GiuseppeCucchi che, assieme ad Antonio De Giorgi e a Federico Ferrario, risulta da una lettera del 15 genn. 1790 direttore dell'Accademia di pittura dell'Ambrosiana (Bibl. Ambr., ms., p. 239 sup.). Notiamo pure che padrino di battesimo di Maria Francesca Barbara, nata il 25 ag. 1730, fu un Francesco Croce abitante in S. Eufemia: dovrebbe trattarsi del noto architetto, figura di primo piano del barocchetto milanese. Il 19 febbr. 1729 il C. è testimone per un atto stipulato tra i suoi zii Giambattista e Giuseppe (Arch. di Stato di Milano, Notarile, 40.268).
Agli inizi del terzo decennio si fanno risalire i primi dipinti pervenutici dell'artista: sia il Crocefisso con le pie donne della parrocchiale di Campiglia Cervo, da sempre considerato dei C., sia tre affreschi (Allegoria della Ricchezza; Poeta premiato dalla Fortuna; Pallade, Ercole infante, Giunone e Giove) nella villa Alari Visconti a Cernusco sul Naviglio (Milano) recentemente attribuiti (Coppa, 1984).
Sebbene questa tela sacra e queste opere profane siano compositivamente e cromaticamente differenti, presentano volti che furono definiti "bamboleggianti" (Bossaglia, 1966), espressioni vacue e aggraziate di certo spirito barocchetto che costituiranno l'elemento più caratteristico del linguaggio del Cucchi.
La critica assegna all'artista numerosi dipinti, a partire dal secondo lustro dei terzo decennio, sulla paternità dei quali, anche se in gran parte non documentati, non si hanno dubbi. Verso la fine del terzo decennio il C. è operoso nel palazzo nuovo Visconti Citterio di Brignano (Bergamo).
Per prima eseguì la decorazione dello scalone di levante con Storie del pomo d'oro, collegabile agli affreschi di Cermisco, poi con mano più matura quella della galleria di Giunone, nella quale la figura del Visconti vecchio accolto da Venere deriva da un modello giordanesco. Anche le figure della volta e delle pareti nella sala firmata da Fabrizio e da Giovanni Antonio Galliari gli vanno assegnate (comunicazione orale di R. Bossaglia). Quindi nell'ala di ponente dipinse la sala di Pallade, datata sopra una porta 15 luglio 1730, la sala dei Giganti, il salone di Ercole, e in due salottini attigui le volte con Venere e le tre Grazie e con Ercole infante, Giunone e Pallade. ABrignano l'artista dimostra d'aver raggiunto la piena maturità espressiva. Oltre alle immancabili dee bamboleggiantì, sono raffigurati guerrieri assisi su nubi e volgenti le spalle all'osservatore, putti con ali trasparenti da libellula, motivi caratteristici di tante altre opere del Cucchi. La decorazione della sala dei Giganti è considerata uno dei più alti raggiungimenti del pittore; la scena unica parte dal soffitto dove sono dipinti con tinte fresche e vivaci gli dei in volo nell'ardore della lotta, e continua nelle pareti, sulle quali osserviamo le plastiche anatomie dei Titani straziati resi con tonalità spente.Pure gli affreschi al piano nobile di palazzo Orsini Falcò a Milano vanno riferiti alla fine del terzo e all'inizio del quarto decennio.
A parte una Scena d'incoronazione sbiadita e una Presentazione a Giove, in gran parte illeggibile a causa delle ridipinture, merita un cenno particolare il grande dipinto sulla volta del salone degli specchi con Il carro del Sole e le Ore, nel quale i volti femminili raggruppati costituiscono la nota più gustosa.
Restano in loco quattro delle sei medaglie (testimoniate da fotografie) che il C. dipinse in palazzo CasatiDugnani, pure a Milano, databili, ricordando anche che il Tiepolo decorò il salone del palazzo nel 1731, al primo lustro del quarto decennio. Mentre nelle prime due (Bacco e Arianna, oggi rovinatissima; Ercole e Giunone) l'artista predilige le colorazioni scure e le anatomie possenti di ricordo naturalistico, dovute alla pratica in Accademia, nelle altre (Giove invia Mercurio, Pallade, Ercole infante, Giove e Giunone) alleggerisce e vivacizza la tavolozza. Nell'ultima medaglia dal tema più volte replicato (ne esistono due versioni, forse bozzetti per opere non note o non realizzate, anche in collezioni private) il cielo assume una caratteristica tinta rosea che si nota in pittori lombardi che lavorarono per corti straniere, come Carlo Innocenzo Carloni, ma negli anni Trenta anche in artisti che non furono mai all'estero, come P. A. Magatti.
Nello stesso periodo il C. eseguì anche opere di carattere sacro.
A Pavia, sulla parete destra della cappella di S. Giovanni di Sales in S. Francesco si conserva un Miracolo di s. Francesco da Paola, nel complesso mediocre, dipinto non dopo il 1733, anno in cui morì Pietro Gilardi, autore della tela pendant (Bartoli, 1776). Qualitativamente migliori sono gli affreschi (Resurrezione di Cristo; Trionfo della Croce) sulla volta della cappella del S. Rosario in S. Simpliciano a Milano (Latuada): specialmente il primo che, sebbene in stato di deperimento, mostra ancora colorazioni gaie e festose.
Della Addolorata, tela dipinta dall'artista per la chiesa milanese di S. Maria della Consolazione, dispersa, possiamo conoscere soltanto il termine ante quem (Latuada, 1737. I, p. 238).
Segno del benessere economico raggiunto dal C. è il fatto che, il 21 genn. 1735, egli concede un prestito di lire 3.000 all'ospedale Maggiore di Milano (Arch. di Stato di Milano, Notarile, 41.824). Il 13 dicembre dello stesso anno l'artista, che abita ancora in parrocchia S. Giovanni in Conca, insieme con lo zio Giuseppe, nomina suo procuratore il sacerdote Pietro Paolo Cucchi, fratello del padre, allo scopo di essere rappresentato in Piemonte (ibid., Notarile, 40.991). In questo atto non si accenna però ad attività pittoriche. Nel 1736 il C. viene pagato per aver dipinto la tela con lo Sposalizio mistico di s. Caterina per il santuario di S. Giovanni di Andorno (Vercelli), oggi nella cappella di S. Elisabetta, commissionatagli due anni prima (Lebole, 1978): composizione abbastanza affollata., impostata su convenzionali schemi a piramide.
Per analogia compositiva, anche se vi sono rappresentate un numero inferiore di figure, la pala con Madonna, Gesù Bambino, s. Mauro e s. Giovanni Battista dell'oratorio di S. Mauro agli Ondini è riferibile agli stessi anni, Nella stessa pala un putto sotto il manto di Maria Vergine è simile ad alcuni biondi e paffuti che dipinse il milanese Giambattista Sassi, insieme col quale il C. avrebbe, secondo fonti settecentesche (Carboni, 1760), decorato nel 1737 la cappella dell'Immacolata in S. Francesco a Brescia. Ma in questi affreschi non si riesce a scorgere la mano del Cucchi.
Alla fine del quarto decennio o all'inizio del quinto si pone l'Apoteosi di Ercole in palazzo Carones Brentano a Corbetta, altra versione del tema già sviluppato sulla volta della sala omonima a Brignano, realizzata con colori più delicati, senza evidenti modifiche di linguaggio. Anche la medaglia con Bacco e Arianna (gustosissimo il caratteristico sguardo del dio) in palazzo Belgioioso Brivio Sforza a Merate (Como), che a causa dei putti derivati dal Borroni maturo (Bossaglia, 1971) si deve ritenere opera del quinto decennio, non si scosta molto dai modi del decennio precedente.
Dall'atto di battesimo di un figlio di parenti, dei quale fu padrino, siamo informati che il C. il 25 giugno del 1743 viveva in parrocchia S. Babila. Da un pagamento del 18 sett. 1743 si sa che al C. era stato proposto di dipingere le pareti interne del coro del santuario di S. Giovanni di Andorno, ma la decorazione fu poi eseguita da Giambattista Greggio (Lebole, 1978). Un ciclo di affreschi, che si svolgono sulle pareti del presbiterio e del coro della basilica dell'Assunta di Varallo, viene pagato al C. nel 1748 (Stefani Perrone, 1983).
In essi è accentuata, oltre i vincoli dei contenuti, un'attitudine oratoria delle figure: specie nell'Apparizionemiracolosa (presbiterio) e nel Transito di MariaVergine (centro del coro); mentre le sei figure allegoriche e le coppie di angioletti in volo sono più congeniali allo spirito barocchetto.
Forse l'opera di carattere religioso più riuscita del C. è la grande medaglia con Visione apocalittica dell'omaggio delle scienze, lettere e arti a Cristo, datata 1754, che orna la volta della sala parrocchiale di S. Francesco da Paola a Milano, dalla composizione piramidale e nella quale si addensano nubi sfilacciate che ricordano quelle dipinte da Mattia Bortoloni, artista veneto attivo negli anni '40 in Lombardia.
Agli inizi del sesto decennio il C. è di nuovo operoso in palazzi milanesi, eseguendo due grandi affreschi, uno sulla volta di un salone di palazzo Morando Bolognini (Scena d'incoronazione), l'altro sul soffitto della sala da ballo di palazzo Litta (Apoteosi d'un Litta).
Per la datazione ci danno un valido aiuto le quadrature: nel primo gli ornati dell'Agrati, molto vicini a quelli che nel 1752 furono dipinti da questo pittore nel duomo di Monza, nel secondo gli scudi policromi che conosciamo nel Milanese solo a partire dal sesto decennio del secolo. In questi due dipinti si nota qualche nuova caratteristica espressiva: le dee hanno il volto più largo e rotondo; la composizione ha tendenza a disporsi lungo un asse diagonale; alcune figure sono rappresentate fuori dalla cornice, come si riscontra in molte medaglie del Bortoloni.
Testimonianze dell'estrema attività del C. sono una tela della parrocchiale di Muzzano, frazione di Zelo Buon Persico (Milano), con I santi titolari Cosma e Damiano, pagatagli il 12 apr. 1760, ancora simile in tanti brani all'affresco con Resurrezione di Cristo di S. Simpliciano (Carubelli, 1981) e un medaglione a fresco nella volta del salone d'onore in palazzo Salis di Tirano (Sondrio) con Incoronazione, dipinto subito dopo l'incendio del 1762. In questa seconda opera il caratteristico guerriero unisce la medaglia alla nube che vi è dipinta fuori, ma la figura femminile con tromba e corona dal viso allungato ne ricorda tante altre dipinte molti anni prima. Pagamenti, la cui datazione si pone tra il 1762 e il 1764, documentano un piccolo ovale con S. Carlo a olio e alcuni Angeli a fresco, dai nasi diritti, eseguiti dal C. per la chiesa di S. Maria al Carrobiolo a Monza (Arch. di Stato di Milano, Religione P. A., n. 2589), permettendo l'attribuzione (Bossaglia, 1971) al C. dei vasto affresco con Gloria dell'Ordine francescano e di quello domenicano conservato ancora nella chiesa della Misericordia di Missagliola, frazione di Missaglia (Como), ritenuto una delle opere più riuscite dell'artista.
Il C. morì il 24 sett. 1771 a Milano in parrocchia S. Babila (Arch. di Stato di Milano, Popolazione P. A., n. 168).
Oltre alle opere citate sono attribuite al C. un bozzetto con Apoteosi di Ercole di collezione privata; due altri bozzetti con Apoteosi di s. Giuseppe e con Rebecca al pozzo (Bossaglia, 1977) e un ovato con Gesù Bambino, conservati all'oratorio di S. Mauro agli Ondini; una Carità a fresco del Museo di Missaglia proveniente dalla chiesa della Misericordia; taluni disegni e dipinti su carta della Biblioteca Ambrosiana, tra cui una Giunone e la pioggia d'oro; un Cristo crocefisso della milanese chiesa di S. Maria del Paradiso riferito al C. dal Bartoli (1778), il quale gli assegna anche due oli nella parrocchiale di Stradella (Pavia) e una Beata Vergine in gloria con i ss. Fedele e Pio V nella chiesa dei cappuccini a Pavia, ma oggi tutte disperse; come pure risulta disperso il S. Giuseppe in gloria del 1737, un tempo a Milano nell'oratorio omonimo, assegnatogli dal Latuada (III, p. 141).
Non esiste prova, come sostengono alcuni studiosi piemontesi, di una attività del C. come progettista di architettura. Il "Sig. Cucho" che presenta nel 1742 un disegno per il rinnovamento del santuario di S. Giovanni di Andorno molto più probabilmente è un parente. Lo zio Giuseppe è detto capomastro in un atto del 16 luglio 1748 (Arch. di Stato di Milano, Notarile, 40272).
L'opera dei C. è considerata importante soprattutto perché ci permette, avendo l'artista operato lungo un arco di circa quaranta anni per i personaggi più influenti del ducato milanese, di studiare il gusto della committenza patrizia lombarda tra il 1720 e il 1760, gusto che si palesa incline a quella pittura barocchetta briosa e civettuola, ricca di spunti provenienti dall'Emilia, dal Veneto e dall'Italia centrale. Tuttavia non vanno sottovalutate, come fanno alcuni storici, le effettive doti artistiche del C., che sono notevoli, anche se egli non dimostra una geniale inventiva. Lasciando da parte le tele di soggetto religioso, di cui non si conosce alcuna ad alto livello, ma considerando l'opera di decoratore a fresco, osserviamo che il C. seppe formarsi un proprio linguaggio originale, consono con lo spirito dell'epoca, che realizzò con padronanza di disegno e con raffinatezza cromatica, e che mantenne coerente, sebbene sia stato sempre pronto ad accettare suggerimenti e stimoli dai pittori più rinomati.
L'artista sembra essere stato tra i più richiesti cantori delle glorie delle famiglie patrizie milanesi, coprendo, in minore, il ruolo che C. Carloni rivestì in varie corti europee.
Fonti e Bibl.: Campiglia Cervo, Arch. parrocch., Stati d'anime 1728, 1741; Ibid., Battesimi 1654-1698; Milano, Arch. parrocch. di S. Alessandro in Zebedia, S. Giovanni in Conca, Battesimi 1592-1787; ibid., S. Maria Pedone, Battesimi 1692-1750; Ibid., Archivio parrocchiale di S. Babila, S. Babila, Morti 1769-1782; Archivio di Stato di Milano, Notarile, 36.630, 40.268, 40.272, 40.991, 41.824; Popolazione P. A., n. 156; S. Latuada, Descrizione di Milano, I, Milano 1737, pp. 186, 238; III, ibid. 1737, p. 141; V, ibid. 1738, p. 76; C. Carboni, Le pitture e sculture di Brescia, Brescia 1760, p. 69; F. Bartoli, Notizia delle pitture, sculture ed architetture d'Italia, I, Venezia 1776, p. 195; II, Venezia 1778, pp. 5, 35, 78, 107; B. Borroni, Il forastiere in Milano, Milano 1808, p. 166; Guida per ben visitare la nuova Gerusalemme nel Sacro Monte di Varallo, Varallo 1826, p. 104; G. Bordiga, Storia e guida del Sacro Monte di Varallo, Varallo 1830, p. 89; S. Ticozzi, Diz. d. architetti, scultori, pittori, Milano 1830, I, p. 384; L. Malvezzi, La gloria dell'arte lombarda, Milano 1882, p. 257; A. Roccavilla, L'arte nel Biellese, Biella 1905, pp. 52, 59s.; P. Galloni, Sacro Monte di Varallo, Varallo 1909, pp. 388 s.; Catal. d. cose d'arte e di antichità d'Italia, A. Morassi, Brescia, Roma 1939, p. 261; G. Galbiati, Itinerario dell'Ambrosiana, Milano 1951, p. 224; M. Tonolini-V. Monegatti, Storia e arte del complesso monumentale di S. Francesco, in Settimo centenario del compleanno di s. Francesco d'Assisi, Brescia 1954, II, p. 56; R. Valz Blin, Memorie sull'alta valle d'Andorno, Biella 1959, p. 398; D. Lebole, La Chiesa biellese nella storia e nell'arte, Biella 1962, pp. 107, 110; Schede Visme, I, Torino 1963, pp. 379 s.; P. Torrione-V. Crovella, Il Biellese, Biella 1963, pp. 195, 198; E. Manuello Pugno, G. A. C…, in Boll. d. Società piemontese di archeol. e di belle arti, XIX (1965), pp. 135-41; R. Bossaglia, Aggiunte, rettifiche, novità per il Settecento lombardo, in Arte antica e moderna, 1966, n. 34-35-36, pp. 252 s.; Id., Corbetta, Palazzo Brentano, Gli affreschi settecenteschi, in Studi e ricerche nel territorio della provincia di Milano, Milano 1967, pp. 70 ss.; L. Sertoli Salis, Il pal. Salis di Tirano, in Valtellina e Valchiavenna, n. 7, luglio 1967; G. M. Pugno, Il santuario di S. Giovanni Battista di Andorno, Torino 1970, pp. 64 s., 112, 146 s.; R. Bossaglia, L'arte dal manierismo al primo Novecento, in Storia di Monza e della Brianza, V, Milano 1971, pp. 147 s., 150; Milano, Bibl. Ambrosiana, M. Cogliati, Elenco alfabetico dei ritratti esposti o conservati nelle sale della Biblioteca Ambrosiana [ms., 1972], p. 121; R. Bossaglia, in Disegni del Settecento lombardo, Vicenza 1973, pp. 32 ss.; Id., La pittura del Settecento a Milano... protagonisti e comprimari, in Studi di storia delle arti..., I (1977), pp. 138 ss., 144 s., 147; D. Lebole, Il santuario di S. Giovanni di Andorno, Biella 1978, pp. 74, 76 ss., 98; F. Gianani, La chiesa di S. Francesco Grande nella storia e nell'arte, Pavia 1980, p. 116; S. Stefani Perrone, Aspetti storici ed artistici del Sacro Monte di Varallo, Varallo 1980, p. 51; L. Carubelli, Per G. A. C., in Arte lombarda, 1981, 58-59, pp. 63-66; R. Ferrante, Ville Patrizie beneamasche, Bergamo 1983, p. 73; S. Stefani Perrone, Varallo Sacro Monte - Basilica dell'Assunta, in Borsetti e gli Orgiazzi, Borgosesia 1983, p. 168; S. Coppa-E. Ferrario Mezzadri, Villa Alari..., Cernusco sul Naviglio 1984, ad Ind.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlex., VIII, s. v.