CAPIZUCCHI, Giovanni Antonio
Nacque a Roma il 21 ott. 1515, da Cristoforo e Lavinia Castellana. La famiglia, di antica nobiltà romana, si era illustrata al servizio della Chiesa e nelle armi; Paolo Capizucchi, zio del C., ricoprirà, inoltre, importanti cariche durante i pontificati di Leone X, Adriano VI, Clemente VII e Paolo III. Imparentato con i cardinali Fabio Mignanelli e Girolamo Capodiferro - il quale sembra volesse lasciargli in eredità metà dei suoi benefici ecclesiastici - il C. intraprese la carriera ecclesiastica sotto la guida e con il favore dello zio Paolo, ricavando in gioventù una preparazione civilistica e canonistica che avrà poi modo di mettere a profitto della S. Sede. Grazie alla rinuncia dello zio, che tuttavia se ne riservò le rendite, il C. ottenne, il 7 febbr. 1535, un canonicato in S. Pietro. La morte di Paolo Capizucchi nel 1539 sembra segnare una battuta di arresto nella carriera del nipote, che appare nel decennio successivo solo quale referendario utriusque signaturae. Il 1º giugno 1549 gli venne assegnato l'ufficio di uditore di Rota, che ricoprì fino al 24 genn. 1556. L'equità e il rigore dimostrati in una controversia concernente una nipote dell'allora cardinale Gian Pietro Carafa gli procurarono - secondo quanto riferirà Bernardo Navagero, oratore veneto, in un dispaccio del 20 dic. 1555 - la benevolenza del futuro Paolo IV il quale, dopo la sua elevazione al pontificato, lo creerà cardinale il 20 dic. 1555, dapprima del titolo di S. Pancrazio (13 genn. 1556), poi di quello di Santa Croce in Gerusalemme (6 luglio 1562) ed infine del titolo di S. Clemente (7 nov. 1565). Con l'elevazione al cardinalato del C., Paolo IV soddisfaceva il duplice desiderio di supplire alla carenza di esperti canonisti del Sacro Collegio e di compiacere i Romani conferendo la porpora al membro di un'antica famiglia dell'Urbe. Il rigore delle vedute del C., oltre alla competenza utriusque iuris, indusse Paolo IV, allorché nell'autunno del 1556 portò ad otto il numero dei deputati al tribunale dell'Inquisizione, a chiamarlo a farne parte e a designarlo, inoltre, quale membro della commissione cardinalizia cui venne affidato l'esame del progetto di riordinamento delle province neerlandesi presentato da Filippo II.
Nominato vescovo di Lodi il 5 luglio 1557, il C. il 21 dicembre ricevette la consacrazione episcopale, ma, a causa delle ostilità tra la Spagna e il Papato, la bolla di nomina non ebbe il placet di Filippo II. Non risulta che il C. si sia recato in diocesi prima del 13 apr. 1563, ma già il 28 settembre dell'anno successivo sarebbe stato richiamato a Roma da Pio IV ad istanza del nipote cardinale Carlo Borromeo sotto l'accusa di essere "di vita un poco libera, et a cavagliere più tosto conveniente che a vescovo..." (Samarati, p. 218), come egli stesso confidò a Camillo Cadamosto.
I buoni rapporti che il C. ebbe anche in seguito con s. Carlo fanno pensare che si trattasse di calunnie che, più probabilmente, tendevano a mascherare la ben nota diffidenza di papa Medici per le "creature" del suo predecessore. D'altro canto, durante l'episcopato del C. si ebbe nella diocesi un grande impulso innovatore: fu istituita nel 1560 la scuola della dottrina cristiana per i fanciulli d'ambo i sessi, furono introdotti i cappuccini ed i gesuiti. Il C. inoltre non trascurò di diffondere con ripetuti decreti le disposizioni tridentine riguardanti la riforma dei costumi del clero e del popolo. Sembra che abbia promosso anche una visita pastorale della diocesi.
Il C. non poté, "propter ardua negotia, quibus in Curia impediti tenemur" (Cattaneo, p. 233), prendere parte al concilio provinciale convocato dal cardinale Carlo Borromeo a Milano fra il 10 ott. e il 3 nov. 1565 con l'intento di favorire l'applicazione dei decreti tridentini e di riaffermare l'autorità del metropolita sui vescovi suffraganei.
Il C., che più volte riconfermò il proprio rispetto per l'autorità del vescovo di Milano, con il quale mantenne rapporti epistolari, si fece rappresentare al concilio provinciale dal vicario Giovanni Francesco Alberici, non senza raccomandare per lettera al Borromeo che introducesse nella provincia lombarda la tassa del "cattedratico", nella quale, a parer suo, risiedeva "il nervo della superiorità de' Prelati" (ibidem), dimostrando non soltanto quale concetto avesse dell'autorità del vescovo, ma anche un attivo interesse per la riforma della Chiesa.
I biografi del C. riferiscono anche di una sua nomina a governatore perpetuo, col titolo di legato apostolico, di Castel di Gualdo di Nocera, dovuta, probabilmente, ancora a Paolo IV.
Nel conclave che aveva eletto Pio IV, il C., fautore del Pacheco ed ostile alla candidatura di Ercole Gonzaga, era stato costretto ad assentarsi durante il mese di ottobre 1559 perché colpito da grave infermità. Partecipò invece al conclave da cui uscì eletto Pio V, avversando, come era da aspettarsi da chi era debitore a Paolo IV della propria fortuna ecclesiastica, la candidatura del Morone. Pio V, che lo ebbe tra i suoi consiglieri e gli diede, come già Paolo IV, alloggio in palazzo, lo nominò membro della commissione cardinalizia cui affidò l'esame del problema del celibato ecclesiastico che il concilio tridentino aveva lasciato insoluto e di cui Massimiliano II richiedeva con insistenza la soluzione al pontefice.
Il C. redasse un brevissimo parere che il 26 luglio 1567 volle inviare al cardinale Carlo Borromeo: "mi son mosso a mandarle un abbattimento, ch'io ho fatto questi giorni coi Luterani in causa di matrimonio, dove spero d'aver difeso la causa giusta in modo ch'essi ne rimarranno al di sotto" (Bibliografia romana, pp. 72 s.). Non contento di questo trattatello scritto per Pio V, volle tornare ad esaminare la questione per dimostrare che il celibato dei sacerdoti era de iure divino e mandò anche queste considerazioni al Borromeo, non soltanto perché in quanto suffraganeo si sentì in dovere di sottoporle al suo giudizio, ma anche perché, ove lo avesse ritenuto opportuno, vi apportasse delle modifiche.
Nel 1566, con il Morone, il C. ostacolò le aspirazioni di Ernesto di Baviera che desiderava fosse data al padre la diocesi di Frisinga e il 9 nov. 1568, in seguito alla morte del cardinale Vitelli, assunse la prefettura della Segnatura della grazia. Non ebbe, tuttavia, il tempo di esercitare la carica perché la morte lo colse a Roma il 29 genn. 1569. Fu sepolto nella chiesa di S. Clemente, di cui era titolare.
Fonti e Bibl.: Bibl. Apost. Vat., Arch. Cap. S. Petri in Vat., H.59. C., f. 58v; Vat. lat. 10171: Descendentia Capituli Vaticani, f.32r; Vat. lat. 3944: De caelibatu ad Pium V, ff. 124r-126v; Vat. lat. 9265: G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, ff. 183v-184v; Milano, Biblioteca Ambrosiana, Raccolta delle lettere a s. Carlo Borromeo, XXV, nn. 30, 80, 87; Milano, Arch. della Curia arciv., sez. VI, vol. 13, cc. 75-79; G. Ribier, Lettres et mémoires d'estat des roys,princes,ambassadeurs..., Paris 1666, II, p. 620; Calendar of State Papers and Manuscripts existing in the Archives and collections of Venice,1555-1556, VI, 1, a cura di R. Brown, London 1877, p. 291; Concilium Tridentinum,Diaria, ed. Soc.Goerresiana Friburgi Br. 1901-1963, I, pp. LXXVI, 302; II, pp. CXV, 339, 340, 521, 525, 529; Nuntiaturber. aus Deutschland1560-1572, II, 4, Wien 1914, pp. 280 s.; II, 5, ibid., p. 188; F. Ughelli, Geneal. nobilium Romanorum de Capizucchis, Romae 1653, p. 16; V.Armanni, Della nobile et antica famiglia de' Capizucchi baroni romani, Roma 1668, p. 24; A. Ciaconius, Vita et res gestae pontificum Romanorum et S.R.E. cardinalium, III, Romae 1677, pp. 853 s.; G.Palazzi, Fasti cardinalium omnium Sanctae Romanae Ecclesiae, Venetiis 1703, III, p. 326; F. Ughelli, Laudensium episcoporum series, Mediolani 1763, pp. 316 s.; L. Cardella, Mem. stor. de' cardinali, Roma 1793, IV, p. 353; V. Forcella, Iscriz. delle chiese e d'altri edifici di Roma, IV, Roma 1874, p. 508; V, ibid. 1874, p. 380; Bibliografia romana..., I, Roma 1880, pp. 72 s.; E. Cerchiari, Capellani papae et Apostolicae Sedis auditores causarum Sacri Palatii apostolici seu Sacra Romana Rota, II, Romae 1920, p. 99; L. von Pastor, Storia dei papi, VI, Roma 1922, pp. 482, 484, 521; VII, ibid., pp. 14 s., 27; VIII, ibid. 1924, pp. 5, 20, 56; R. De Maio, Alfonso Carafa,cardinale di Napoli (1540-1565), Città del Vaticano 1961, p. 28; L. Samarati, I vescovi di Lodi, Milano 1965, pp. 217-19; E. Cattaneo, Il primo concilio provinc. milanese, in Il concilio di Trento e la Riforma tridentina, Roma 1965, I, p. 233; B. Katterbach, Referendarii utriusque Signaturae a Martino V ad Clementem IX..., Città del Vaticano 1931, pp. 96, 139; G. Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica, III, Monasterii 1923, pp. 35, 220.