BIGLIA, Giovanni Antonio
Nacque a Milano nella seconda metà del sec. XV da Pietro, capitano sforzesco.
Seguendo la tradizione familiare, entrò al servizio degli Sforza ai quali restò fedele, diversamente da altri membri della sua famiglia che passarono ai Francesi. Il 28 genn. 1514 ebbe infatti i beni confiscati al ribelle Leonino Biglia, che gli furono confermati ancora con privilegio del 30 luglio 1522. Al servizio ducale percorse una brillante carriera che lo introdusse nel consiglio segreto di Francesco II Sforza. Di tale carriera non è possibile tuttavia, allo stato attuale delle ricerche, ricostruire il preciso itinerario, dato che la sua presenza al servizio della corte milanese si rileva in tutta evidenza solo a partire dal 1525, quando il cavalier Biglia (così è indicato in tutte le fonti e così si firma egli stesso) si trova ad operare sulla scena politica internazionale con incarichi assai impegnativi per conto del duca di Milano. L'indubbia abilità dispiegata dal B. al servizio del suo signore lascia indovinare facilmente una lunga esperienza diplomatica, della quale del resto si può cogliere un riflesso in una lettera di Girolamo Morone, gran cancelliere del duca Francesco II Sforza, a G. Adorno del 26 ott. 1518.
Nel marzo del 1525 il B. si recò a Venezia in compagnia del protonotario Marino Caracciolo, oratore ducale presso la Serenissima, dalla quale ricevettero cospicui doni per non precisate benemerenze acquisite nei confronti della Repubblica. Ritornò a Milano, al seguito del Caracciolo, nello stesso marzo, ma già il 2 aprile era a Venezia per riferire sull'azione mediatrice svolta da Francesco II con gli Imperiali nell'interesse della Repubblica.
Si congedò dalla Signoria già il 17 aprile per rientrare a Milano, dove l'attendeva l'incarico di rappresentare il duca presso la corte di Carlo V. Poco prima di partire per la Spagna, il 17 maggio 1525, fu investito da Francesco II Sforza della contea di Saronno e del feudo di Campolestro in Lomellina, che gli furono confermati da Carlo V il 13luglio dello stesso anno.
Alla corte imperiale il B. doveva negoziare la concessione della promessa investitura imperiale a Francesco II Sforza sul ducato di Milano, cercando di ridurre il più possibile la contropartita finanziaria pretesa da Carlo V. Arrivò in Spagna nel giugno e fu subito ricevuto da Carlo V "molto gratiosamente et con honor di Soa Eccellentia". Il negoziato si protrasse fino alla fine del luglio e impegnò il B. in un sottile lavoro diplomatico, che alla fine gli fruttò l'eliminazione delle clausole più onerose per il suo signore e una ragionevole riduzione del contributo finanziario.
Il progetto originario di investitura contemplava infatti due clausole assai umilianti, in virtù delle quali Francesco II non poteva sposarsi senza il consenso imperiale (pena la decadenza dell'investitura) e i castellani di tutte le fortezze ducali dovevano giurare fedeltà agli agenti imperiali e tenersi pronti a consegnar loro le fortezze in caso di morte del duca senza eredi. Le due clausole, che ledevano profondamente la sovranità ducale sullo Stato, furono cassate, ma più difficile riuscì al B. ottenere la riduzione della somma relativa al conferimento dell'investitura, fissata unilateralmente in 1.200.000 ducati. Ma anche in questo punto il risultato della azione diplomatica del B. fu superiore alle sue stesse aspettative: alla fine di luglio poté comunicare a Francesco Il che Carlo V "è stà contenta darli la sua investitura con voler da esso ducha ducati 600 milia, zoè 100 milia questo Nadal, 100 milia Nadal uno anno et 50 milia ogni anno poi fin a la summa ..." (Sanuto, XXXIX, col. 304). Il 28 luglio il B. riceveva la consegna formale del documento di investitura.
Intanto già il 30 luglio il marchese di Pescara aveva scritto a Carlo V un rapporto dettagliato sulla congiura intessuta dal Morone e dal Giberti per coalizzare gli Stati italiani con la Francia e l'Inghilterra contro l'Impero e sui tentativi di procurarsi la sua adesione col miraggio della corona napoletana. Di questo rapporto il B. ebbe sentore immediatamente e già il 2 settembre riferì a Milano di avere smentito recisamente ogni notizia sulle macchinazioni italiane, ai danni dell'imperatore. Le sue assicurazioni ebbero tutta l'apparenza di convincere la corte, la quale invece faceva il gioco del Pescara, disposto a sventare la congiura solo al momento più opportuno. Il B. così poté continuare a trattare regolarmente le normali questioni di interesse ducale, ponendo sul tappeto il problema del matrimonio di Francesco II, per il quale Carlo V, stando al gioco, propose una figlia di Ludovico d'Ungheria, suo cognato.
Ma la questione del matrimonio di Francesco Sforza era solo un diversivo: in Italia stavano maturando avvenimenti della maggiore importanza e il B., il quale doveva esserne al corrente sin dal primo progetto della congiura, non desiderava protrarre più a lungo il suo soggiorno spagnolo. Il 25 ottobre egli scrisse da Toledo a Giovanni Angelo Riccio, segretario ducale, sollecitando il suo richiamo. Ma la sua lettera non arrivò mai a Milano: fu intercettata dagli agenti imperiali e finì negli archivi di Vienna come varie altre sue relative alla congiura del Morone. Il 28 ottobre in un dispaccio indirizzato allo stesso Morone il B. lo avvertì drammaticamente del tradimento del Pescara; ormai, aggiungeva, l'imperatore sa tutto della congiura e da Milano gli scrivono che il duca Francesco è in punto di morte e che il Morone preparava la successione del fratello Massimiliano con l'aiuto degli Svizzeri, dei Francesi e dei Veneziani.
Tuttavia il Morone non era più in grado di far tesoro dei suoi avvertimenti: il 15 ottobre il Pescara si era deciso a sventare la congiura e, attiratolo a Novara, lo fece mettere agli arresti. Il B., ancora all'oscuro dei drammatici avvenimenti milanesi, non si stancava di smentire le gravi accuse di tradimento a carico del duca e del Morone, ma senza successo. Già alla corte si faceva il nome del successore di Francesco II Sforza, il duca di Borbone.
Quando, ai primi di novembre, arrivò la notizia dell'arresto del Morone il B. capì che gli restava solo un partito da abbracciare nell'interesse del suo signore: abbandonare subito la corte e portare il documento d'investitura, rimasto ancora in suo possesso, a Milano. Già si disponeva a farlo, quando un ordine di Carlo V gli "fece intender... che non si partisse di là, qual era per levare la investitura et venir in qua" (Sanuto, XL, col. 384). Ormai il gioco era scoperto, ma il B. non rinunciò al tentativo di attutire le gravi responsabilità emerse a carico del Morone e del duca: non esitò a intervenire personalmente presso Carlo V, ottenendo che "Sua Maestà per servizio volesse scrivere che non trattassero mai il Morone di tormento, atteso che era infermo di gotta et facilmente potrebbe morire, et morendo che potrebbe Sua Maestà patir qualche danno per non poter inder delle cose che forsi chi lo ha preso non curaria che dicesse. Et così è stato scritto che gli habbino rispetto" (Sanuto, XL, col. 468). Il tentativo di far leva, in favore del suo vecchio amico Morone e possibilmente anche del duca, sulle gelosie verso il Pescara, sempre fortissime a corte, era evidente. Nei suoi contatti con i consiglieri imperiali il B. non mancò di insinuare il sospetto, allora assai diffuso in Italia e in Spagna, che il Pescara si fosse lasciato tentare troppo a lungo prima di decidersi a denunciare la trama all'imperatore.
Nella situazione creatasi col fallimento della congiura e il colpo di scena del Pescara al B. si imponeva un compito precipuo: insistere nel tentativo di scagionare il duca dalle accuse del Pescara e di bloccare il proposito accarezzato dall'imperatore di trasferire l'investitura sullo Stato ad un altro principe di più sicura fedeltà. L'azione diplomatica del B. poteva contare sull'appoggio del gran cancelliere imperiale Mercurino da Gattinara, ben noto per le sue forti simpatie per il duca di Milano e per la sua avversione al Pescara, al quale non volle mai credere. Forte di questo appoggio, egli si adoperò come poté per scongiurare il pericolo assai grave rappresentato dalla candidatura del duca di Borbone, alla quale da parte papale si tentò anche di contrapporre quella del marchese di Mantova. Mentre Carlo V dava segni che lasciavano sperare in una buona disposizione verso Francesco Sforza, il gioco diplomatico delle potenze italiane, interessate ad evitare che il Milanese finisse nelle mani di un fedelissimo dell'imperatore, s'intersecava con quello del B. che se ne allarmò. Toccò all'ambasciatore veneziano A. Navagero dissipare i suoi timori e rassicurarlo sulle intenzioni pontificie che miravano a conservare lo Stato allo Sforza e prospettavano la soluzione del marchese di Mantova solo come un diversivo di comodo, utile a bloccare la più pericolosa candidatura del duca di Borbone. Alla fine di marzo il B. fece pervenire al duca, asserragliato nel castello di Milano, un messaggio imperiale col quale Carlo V assicurava "che non havendo fallito li lasserà il Stado e vol far veder questo per iustitia, et ancora havendo fallito li userà clementia" (Sanuto, XLI, col. 17). L'azione diplomatica del B. conseguiva così il fine principale d'evitare un'investitura al Borbone, mentre il duca Francesco aderiva alla lega con la Francia, il papa, Firenze e Venezia, sottoscritta a Cognac il 22 maggio 1526.
L'adesione ducale alla lega di Cognac mise il B. di nuovo in una situazione assai difficile: doveva tutelare gli interessi di un principe che faceva la guerra all'imperatore: singolare posizione che gli fu resa possibile solo dalla personale considerazione della quale godeva presso la corte imperiale. La resa di Francesco II, che alla fine di luglio consegnò il castello di Milano ai capitani imperiali, agevolò il compito del B. che ora poté chiedere a Carlo V un trattamento migliore per il duca. Trovò i consiglieri imperiali "molto inclinati" a favore di Francesco, ma non osò sperare in un sollecito provvedimento.
Intanto per punire il duca della sua adesione alla lega di Cognac il Gattinara proponeva di istruirgli un regolare processo di fellonia e di farlo durare fino al progettato viaggio di Carlo V in Italia. A tal fine era però necessario che il B. consegnasse il diploma di investitura ancora in suo possesso. Nel settembre del 1526 un segretario imperiale si presentò al B. e gli intimò la consegna della "investitura dello Stato, la quale gli fu data già da molti mesi: esso ha detto non volergliela dare, e voler aspettare che gliela levino per forza". Così scriveva il Castiglione da Granata l'8 settembre. La sua ostinazione finì col prevalere sul piano del Gattinara che rinunziò al proposito di strappargli l'ambito documento. Il processo fu iniziato così senza annullare l'investitura e il B., che lo seguiva minutamente in tutte le sue fasi, non mancò di influire sul consiglio imperiale investito del difficile giudizio.
Dopo i rovesci imperiali del settembre la situazione militare in Lombardia era quanto mai incerta e un lungo periodo di trattative diplomatiche e di manovre più o meno scopertamente propagandistiche si sostituì al più diretto intervento militare. Alla corte imperiale era un gran succedersi di trattative che avevano tutta l'apparenza di mirare alla pace, trattative cui partecipò il B. a nome del duca di Milano insieme con gli ambasciatori di Venezia e al nunzio pontificio. Ma l'esito fu nullo.
L'ultima notizia relativa al soggiorno del B. presso la corte imperiale risale all'aprile del 1527. Dopo questa data egli dovette lasciare la Spagna per rientrare nel Milanese. Nel luglio del 1529 lo ritroviamo a Pavia in qualità di commissario ducale col compito di organizzare la difesa della città e di munirla delle necessarie provviste. Da Pavia scrisse al duca assicurandolo sulle misure prese. È questa l'ultima notizia sul B., che dovette morire di lì a poco.
Il B. fu anche governatore di Asti dove lo sostituì, nel corso della sua ambasceria in Spagna, il parente Giorgio Biglia che ne fu cacciato nel gennaio del 1526 dagli Spagnoli. Nel corso delle tempestose vicende che videro passare il ducato dallo Sforza agli imperiali per poi ritornare allo Sforza, il feudo di Saronno fu tolto ai Biglia e nel 1531 risultava in possesso del capitano imperiale Filippo Succaro. Ritornò ai Biglia però nel 1533, in seguito agli accordi di Bologna del dicembre 1529, in base ai quali il ducato di Milano tornò nel pieno possesso di Francesco II Sforza e l'investitura gli fu confermata alle condizioni pattuite dal B. nel 1525.
Fonti e Bibl.: Delle lettere del conte B. Castiglione, a cura di P. Serassi, II, Padova 1771, pp. 64, 82, 131; Lettere ed orazioni latine di G. Morone, a cura di D. Promis e G. Müller, in Misc. di storia ital., II, Torino 1863, p. 764; Doc. che concernono la vita pubblica di G. Morone, a cura di G. Müller,ibid., III, ibid. 1865, pp. 382, 479, 507-508, 515-517; Calendar of Letters,Despatches,and State Papers,relating to the negotiations between England and Spain…, III, 1,Henry VIII. 1525-1526, a cura di P. Gayangos, London 1873, pp. 304, 319, 323, 390, 551 s. 912; 2, 1527-1529, ibid. 1877, p. 999; IV, 1, Henry VIII. 1529-1530, ibid. 1879, pp. 32. 114; M. Sanuto,Diarii…, Venezia 1893-1898, XXXVIII,ad Indicem (sub voce Billia Luca); XXXIX,ad Indicem; XL,ad Indicem; XLI,ad Indicem; XLII, coll. 245, 249, 572, 593 s.; XLIV, col. 488; LI, coll. 29, 31, 173, 177; Historia vitae et gestorum per dominum magnum cancellarium (Mercurino Arborio di Gattinara), a cura di C. Bornate, in Misc. di storia ital., s. 3, XVII, Torino 1915, Ap. 455, 466, 481-482, 507, 519-522; K. Brandi,Berichte und Studien zur Geschichte Karis V., XVII,Nach Pavia. Pescara und die italienischen Staaten,Sommer und Herbst 1525, in Nachrichten von der Gesellschaft der Wissenschaften zu Göttingen, philologisch-historische Klasse, n.s. (1939), pp. 165, 166, 171, 218, 219; F. Calvi,Famiglie notabili milanesi, I, Milano 1875, s.v. Biglia, tav. 1; E. Casanova, Diz. feudale delle province componenti l'antico Stato di Milano…, Milano 1930, p. 89.