AMADEO, Giovanni Antonio
Architetto e scultore, nacque a Pavia attorno al 1447, figlio di un Aloisio che nel 1450 fece testamento lasciando eredi universali i figli Giovanni Protasio, Giovanni Antonio e Giovanni Battista. I primi documenti, che riguardano l'attività artistica dell'A. sono i pagamenti del 1466-67 per la Certosa di Pavia; nel 1469 ottiene a prestito dal procuratore della Certosa venti pezzi di marmo. Nel 1472 inizia compere di terreno nell'alto Pavese. Nel 1474 gli viene allogata metà dei lavori di scultura per la facciata della Certosa di Pavia (l'altra metà essendo compito dei fratelli Mantegazza). Nel 1475, anno in cui acquista una bottega a Pavia, l'A. lavora alla cappella di San Giuseppe nel duomo di Milano ed è creditore di una forte somma dovutagli per i lavori alla cappella Colleoni a Bergamo; alla cappella di S. Giuseppe lavora anche nel 1477 e 1478. Continuano, intanto, nel 1477, gli acquisti di terreni nel Pavese. Nel 1478 figura come testimonio a contratti relativi alla Certosa, abita nel recinto del monastero e gli viene affidata l'esecuzione del monumento ad Alessio Tarchetta nel duomo di Milano. Sempre nel 1478, gli viene tolto il lavoro della Certosa di Pavia e nell'80 l'A. chiede i compensi arretrati dovutigli. Nel 1479 acquista nuovi terreni a Binasco e a Giovenzano. La sua presenza alla Certosa è di nuovo attestata da documenti dal 1481 al 1485. Nel 1481 l'A. viene eletto architetto del duomo di Milano.
Tra il 1481 e il 1484 (note di pagamento) esegue il rilievo con l'Elemosina di S. Imerio nella cattedrale di Cremona. La data del 1482 e la firma dell'A. figuravano due volte nell'arca dei martiri persiani nella soppressa chiesa di S. Lorenzo in Cremona; otto delle formelle sono ora in quel duomo (adornano due pulpiti ottocenteschi); e la data del 1484 con la stessa firma è in un rilievo con S. Gerolamo penitente (dalla smembrata arca di S. Arialdo), sempre nel duomo di Cremona. Nel 1483 progetta, insieme con Francesco Cazzaniga, un monumento a Carlo Sforza, figlio naturale di Galeazzo Maria. Nel 1486 ha l'incarico di eseguire la facciata di S. Maria presso S. Satiro in Milano, su disegno di Bramante. Nel 1488 è considerato "inzegnerio principale" della fabbrica del duomo di Pavia, dove si reca, nel 1490, insieme con Leonardo da Vinci. Nel 1490 è incaricato, col Dolcebuono, di erigere il tiburio del duomo di Milano (al quale attende alacremente nel '92). Sempre nel 1490 si reca sul lago di Como "per impresa di non piccol momento" e nello stesso anno fa un modello di terra per l'insieme delle decorazioni della facciata della Certosa. Nel 1491 (secondo una tarda testimonianza) dà principio alla decorazione stessa (con B. Broisco e altri); lavoro che sarebbe durato fino al 1498 (di quest'anno è infatti la stima che l'A. e Antonio Della Porta accettano da parte del priore del convento sui lavori da porsi in opera nella facciata). Documenti del 1492, '93 e '94 attestano la paternità dell'A. per il palazzo Bottigella (a Pavia, via Mazzini). Nel 1492 è occupato in lavori idraulici relativi specialmente a una diversione del corso dell'Adda. Nello stesso anno è chiamato a dirigere "lo assetto et stabilimento" del ponte di Ganda in Valtellina.
Da un documento del 1493 appare che Pace Gagini s'impegna a lavorare dei marmi per la Certosa per conto dell'Amadeo. Nello stesso anno (marzo) l'A. è invitato a scolpire due figure in pietra d'Angera per l'Ospedale Maggiore di Milano; nell'ottobre è pagato per sculture già poste in opera. Nel 1494 viene interrogato a proposito della fabbrica di S. Maria presso S. Celso a Milano. Del 1497 è, con buona probabilità, il "gugliotto" addossato al tiburio del duomo milanese. Nello stesso anno i deputati della fabbrica del duomo di Pavia gli affidano i lavori per i quali ha l'aiuto del Dolcebuono e di G. P. Fugazza; ma, con lettera dello stesso anno, Lodovico il Moro reclama la presenza dell'A. alla Certosa consentendogli soltanto un'assenza di "due o tre volte al mese". Nel 1499 l'A. rinuncia a continuare il lavoro della Certosa. Nel 1500 il suo nome appare tra i Dodici di Provvisione del duomo di Milano. Nel 1501 va a Bergamo e in Valcamonica per acquisto di ferro per le catene del tiburio. Nel 1501 i rilievi sui basamenti della porta della chiesa della Certosa risultano cominciati ad opera dell'A. e di B. Briosco. Nel 1502 figura, come testimonio, a Pavia. Nel 1503 fornisce il modello per la porta verso Compito nel duomo di Milano. Nel 1502, 1503, 1504 è "deputato" alla Porta Romana (per la quale fa anche un modello). Nel 1505 è incaricato di erigere il tiburio per il santuario di Saronno. Nel 1506 la Fabbrica del duomo di Milano gli concede di associarsi un altro architetto, e altri documenti della Fabbrica, del 1507, 1508, 1511, fanno il suo nome. Nel 1507 Filippo Bottigella gli ordina due sepolture in marmo in S. Tommaso a Pavia; nel 1509 gli vengono commessi gli addobbi fatti in onore di Luigi XII nel duomo. Nel 1510 l'artista si occupa del disegno degli stalli del duomo di Milano e dà un giudizio sull'ampliamento del duomo di Como. Nel 1511 egli perdona, con atto notarile, gli uccisori di suo figlio. Nel 1513 è chiamato a Lodi per il coronamento della parte superiore dell'Incoronata. Nel 1514 è concessa a lui e alla moglie un'abitazione sul Camposanto, dietro al duomo di Milano. Il 28 agosto 1522 muore.
L'attività dell'A, si svolse dunque principalmente a Pavia, a Bergamo, a Milano. Si può dire che non vi fosse impresa architettonica di qualche rilievo nel ducato di Milano, durante la seconda metà del secolo e oltre, in cui egli non fosse presente o operante.
La prima architettura dell'A. e, al tempo stesso, uno dei monumenti più significativi del primo Rinascimento padano, è la cappella eretta a Bergamo per Bartolomeo Colleoni: dal 1470 al 1473 egli si trova impegnato nella costruzione del singolare edificio a pianta centrale (i cui lavori durarono però ancora parecchi anni), con una facciata dove gli elementi tradizionali sono resi quasi irriconoscibili da un'esuberante decorazione. Se qualche particolare (per es., l'intaglio a sottosquadro delle candelabre) richiama puntualmente alla porta della Certosa di Pavia, l'insieme rivela un gusto del tutto diverso, maturato a contatto del Filarete: i particolari classicheggianti di questa singolarissima facciata servono insomma a edificare un complesso dal quale esula quasi ogni idea di proporzioni ispirate all'antico.
Questo abbandono alla pura decorazione resta tipico dell'A. anche in opere successive e gli preclude la comprensione di quei valori ritmici che giungono proprio in quel tempo, in Lombardia, per mezzo di architetti dell'Italia centrale (Benedetto Ferrini, Bramante, ecc.); gli consente però, nel tiburio del duomo di Milano, di aderire, con un suo proprio gusto gotico, a quello della fabbrica insigne, pur mantenendosi fedele al criterio lombardo di chiudere la cupola entro pareti verticali; o di creare, nella zona inferiore della facciata della Certosa di Pavia, un'agevole intelaiatura per le sculture destinate a decorarla (ma ne vanno tolti gli stipiti e gli architravi delle quattro finestre dovuti a Gian Cristoforo Romano); e appunto per questo non sembra facile distinguere la parte propria dell'A. in quel dimensionamento del progetto del duomo di Pavia, attuato col Dolcebuono, che è rivelato dal modello del 1497, eseguito in legno da G. P. Fugazza, attualmente conservato nei musei civici di quella città.
Un'opera certissima, invece, libera da vincolanti condizioni esterne, come il palazzo Bottigella in via Mazzini a Pavia, di cui rimane il cortile - siamo al 1483-84 -, accusa una singolare timidezza e gracilità di forme, insieme con una scarsa comprensione del gusto bramantesco. Un'opera importante, e altrettanto sicura, della vecchiaia dell'A. è il tiburio della chiesa delle Grazie a Saronno, del 1505, la cui loggia si trasforma, per ognuno dei sedici lati, in una coppia di bifore che tradiscono un gusto, ancora una volta, ritardato, di primo Rinascimento.
Nel complesso l'opera architettonica dell'A. è quella di un artista che, legato da principio al decorativismo filaretiano, non se ne seppe poi più liberare, preso, com'egli fu, da un'attività incredibile che non gli diede il tempo di meditare sulle novità bramantesche e toscane.
Come scultore l'A. fu anche operosissimo. Nel primo periodo della sua attività, di cui abbiamo testimonianze notevolissime alla Certosa di Pavia e a Bergamo, dal 1466 al 1481, egli cede alle più varie sollecitazioni. Nel chiostro piccolo della Certosa di Pavia la parte dell'A. è stata da tempo riconosciuta in quei lati settentrionale e orientale delle arcate in cotto che palesano un più spiccato carattere rinascimentale (laddove i busti sono opera di Francesco Solario a oriente e di Cristoforo Mantegazza a settentrione, come chiaramente si deduce dai documenti del 1464-66). Il lavabo in terracotta nello stesso chiostro, pur mostrando moduli affini a quelli dell'A. giovane (che, del resto, si possono riscontrare anche nelle innumeri terrecotte del chiostro grande), appare di qualità nettamente inferiore alla famosa porta, anche se a quella di qualche anno anteriore. Del 1466-69, la squisita porta marmorea del chiostro piccolo vibra ancora di spirito gotico nelle decorazioni vegetali fittissime, ma nelle sculture e nei rilievi figurati sono gli echi di Cristoforo Mantegazza, di Filippo Lippi (forse attraverso Padova), della coeva scultura toscana; e di questo tempo, o poco lontani, pensiamo anche i bellissimi rilievi decoranti la cassa superiore del monumento funebre a Bartolomeo Colleoni a Bergamo; e la Madonna recentemente scoperta dal Middeldorf nella chiesa della Misericordia a Firenze, forse anche anteriore alla porta della Certosa e attestante, chi sa, anche un soggiorno a Firenze. Di questo tempo è anche l'Incoronazione della Vergine nella sacrestia del Carmine a Pavia. Nelle statue esterne di allegorie femminili della Cappella Colleoni l'A. ricorda il Mantegazza. Nella tomba di Medea Colleoni, forse posteriore al 1475, vive il ricordo di opere toscane e si avvertono altre non bene precisabili componenti, mentre le sette statue che circondano la tomba di Bartolomeo rivelano un'asciutta potenza che potrebbe essere del giovane Amadeo. Nel fregio orizzontale di putti ritroviamo, poi, il migliore A. delle candelabre della facciata. I rilievi della cassa inferiore del monumento a Bartolomeo palesano invece altre mani, la cui eccessiva maturità e disinvoltura, non più tormentata da problemi di forma, non possono certo stare alla pari col palese sforzo creativo dell'A. in questi anni.
Un innegabile eclettismo pertanto, oltre alla necessità, in epoca giovanile, di operare a contatto con aiuti di bottega, non conferisce chiarezza all'opera bergamasca dell'A.; nella quale egli incluse forse anche prodotti del suo primissimo tempo. Nel 1480 era terminato il monumento ad Alessio Tarchetta eretto dall'A. nel duomo di Milano; visibile ora, nei frammenti rimasti, nel Museo del Castello Sforzesco. Gli stimoli toscani giovarono indubbiamente alla chiarificazione del processo critico dello scultore (più che dell'architetto), furono elementi importanti del suo sviluppo; ma è pur notevole come, a partire dal 1481, coi rilievi della cattedrale di Cremona, l'A. si mettesse decisamente su una linea che significava, in sostanza, una continuazione dello spirito di Cristoforo Mantegazza, anche se il modo di porgere queste forme ha richiamato ancora, e giustamente, ad esempi toscani: così nei raffinatissimi rilievi illustranti i Fatti dei martiri persiani e in quello del Vescovo Imerio, dove l'arte è pari al portentoso virtuosismo, ritornano i vecchi stilemi padani che trovano la loro più alta espressione nelle vesti rocciose, ragnate, nei moduli umani alti, asciutti, rinsecchiti.
Nel nono decennio del secolo l'A. ha già una scuola tanto ricca di nomi e di opere da rendere piuttosto arduo l'esame critico di quella foltissima produzione. Risalgono certamente a lui, in questi anni, i monumenti Della Torre a S. Maria delle Grazie, Brivio a S. Eustorgio, quelli di Giovanni e Vitaliano Borromeo e di Camillo Borromeo (ambedue nel pal. Borromeo all'Isola Bella), di P. F. Visconti di Saliceto (di cui restano solo le formelle passate in gallerie americane); nei quali tutti, però, compaiono artisti che continuano il linguaggio dell'A.: Francesco e Tommaso Cazzaniga, Benedetto Briosco, ecc. Anche Tommaso Rodari dovette formarsi in questi anni presso l'Amadeo.
Fra i rilievi per la facciata della Certosa di Pavia si possono riconoscere dell'A. il Cristo deriso, la Resurrezione di Lazzaro, il Gesù tra i dottori. È in queste opere capitali, un affinamento della concezione formale in atto nei rilievi cremonesi: il virtuosismo appare moderato a favore di un più arioso comporre, di una più controllata eleganza, ma resta pur sempre visibile la cifra mantegazzesca. Siamo propensi a riferire alla decade 1480-90 vari rilievi nei quali il sensibile scultore giunge a delicatezze emulanti (ma, beninteso, con altro spirito) il Botticelli e Francesco di Giorgio; tali i due squisiti tondi del Louvre (Annunciazione) e dei civici musei milanesi (Natività) ,pertinenti alla tomba cremonese dei martiri persiani, che legano egregiamente con gli stupendi angeli inseriti in una porta (posteriore) del chiostro grande della Certosa di Pavia. L'arca di S. Lanfranco scolpita nel 1498, nella omonima chiesa pavese, attesta un nuovo e inatteso svolgimento dell'artista; il quale, pur non tralasciando i moduli spaziali antecedenti, si rinnova nelle forme che risentono di una nuova soavità: tra leonardesca, raffaellesca e bergognonesca. Le scene riescono a una nuova unità spaziale e chiaroscurale, che si può a buon diritto chiamare cinquecentesca.
Del pittore Giovanni Protasio Amadeo, fratello di Giovanni Antonio, probabilmente più vecchio di questo, si ha notizia da quattro documenti. Nel 1450 Aloisio "de Amadeis" nomina eredi universali, oltre a un terzo figlio, i due figli suddetti. Protasio è nominato dai documenti pavesi, come pittore, nel 1457, nel 1466, nel 1469 e nel 1471, anno in cui è in comunione d'interessi col fratello, relativamente a somme che fanno pensare a una notevole attività; ma non è possibile, a tutt'oggi, indicare una sua qualunque opera pittorica, salvo la doratura del lavabo in terracotta nel chiostro Piccolo della Certosa. Nessun altro documento ci parla di lui. F. Malaguzzi Valeri vorrebbe riconoscere, sia pure con riserva, opera di Protasio la coloritura di una terracotta dei Civici Musei Milanesi (Madonna col Bambino).
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