ANSALDO, Giovanni
Nacque a Genova il 28 nov. 1895 da Francesco Gerolamo, figlio del noto imprenditore Giovanni, e da Emma Ramorino. Laureatosi in giurisprudenza, ufficiale e decorato nella prima guerra mondiale, "dotato di ottima e vasta cultura, di temperamento e forte vena polemica, all'insegna dell'idealismo militante della Voce di Prezzolini e dell'Unità di Salvemini" (Staglieno, p. 9), si dedicò al giornalismo iniziando nell'immediato dopoguerra a collaborare al quotidiano genovese Il Lavoro del quale fu caporedattore dal 1921 al 1925.
Due furono probabilmente le caratteristiche di scrittore che lo imposero rapidamente quale una delle firme più prestigiose del panorama giornalistico: la corposa capacità immaginifica nella descrizione degli eventi e il persistente richiamo (sempre ammiccante e mai esplicito, ma perciò particolarmente incisivo) a un sedimentato buon senso borghese, tale da rendere facile l'identificazione di un lettore medio con le sue posizioni e i suoi commenti.
Su posizioni liberali e moderate, ma nettamente antifasciste (collaborò al settimanale La Rivoluzione liberale diretto da Piero Gobetti e fu uno dei primi a parlare del fascismo come reazione piccolo-borghese), dopo l'assassinio di Matteotti fu tra i firmatari del manifesto crociano degli intellettuali antifascisti pubblicato su Il Mondo il 30apr. 1925, e condusse sul Lavoro una vivace campagna antifascista, tale che, superata la crisi, nel novembre 1926 gli squadristi distrussero la tipografia del giornale, costringendolo a sospendere le pubblicazioni per sei mesi. Lo stesso A. subì, nel dicembre 1924, una "tremenda bastonatura" a Carrara (dove si trovava come inviato del suo giornale per un reportage su uno sciopero) da parte dei fascisti. Collaborò al quotidiano torinese La Stampa, diretto da Alfredo Frassati, continuando a mantenere rapporti con i militanti antifascisti di estrazione liberale.
Il 28 nov. 1926 fu arrestato a Como per tentato espatrio clandestino e il 5 marzo 1927 venne condannato a cinque anni di confino e tradotto a Lipari. Il 7 ag. 1927 venne accolto il suo ricorso e fu posto in stato di libertà provvisoria. Continuò la collaborazione alla Stampa, siglando gli articoli con la stella nera, dato l'obbligo di non firmare con il proprio nome. Nel 1929 tornò al Lavoro, quotidiano diretto da Giuseppe Canepa, di cui era amministratore il vecchio dirigente sindacale Ludovico Calda.
"Il giornalista del Lavoro - hascritto Murialdi (La stampa quotidiana, p. 71) - più noto per l'antifascismo e per le sue indubbie doti di scrittore e di polemista … è Ansaldo. Le sue idee, i suoi gusti, le tradizioni di famiglia consentono di definirlo fin da giovane un liberal-conservatore, ma è con Canepa che ha avuto la possibilità di entrare nel giornalismo. Dalla fine del 1929 le sue rubriche, contrassegnate dalla stella nera, cominceranno a essere conosciute in ristretti ambienti fuori dalla Liguria; e nel giro giornalistico genovese comincia a circolare la voce che Mussolini dia tutti i giorni un'occhiata al Lavoro, soprattutto per leggere Ansaldo".
Nella redazione del Lavoro rimase fino all'ottobre 1935, conquistandosi un seguito sempre maggiore tra i lettori e continuando a firmarsi con la stella nera (Calda nel 1929 aveva chiesto e ottenuto da Mussolini la reiscrizione all'albo dei giornalisti per l'A. e nel gennaio 1931 si era nuovamente rivolto al capo del governo per chiedergli che lo stesso potesse tornare a firmare col proprio nome).
Fu in questo ambito che maturò il voltafaccia politico dell'A., il quale si avvicinò progressivamente al fascismo, assecondandone innanzitutto le velleità imperiali, fino a divenirne acceso sostenitore. Dopo la conferenza di Stresa (aprile 1935), rispetto alla quale Il Lavoro e l'A. sostennero la possibilità di un'intesa dell'Italia con Francia e Inghilterra, "Il Lavoro e in particolare Ansaldo si mostrarono via via più sensibili alle aspirazioni dell'Italia e ai temi sociali agitati dalla propaganda per preparare la conquista dell'Abissinia. Nelle sue frequenti rubriche… intitolate "Calendarietti" o "Epiloghi", Ansaldo … finisce per assecondare certi spunti della polemica antibritannica e, soprattutto, si dipinge come un onest'uomo della vecchia Italia che riconosce quella nuova, dei giovani e di Mussolini" (Murialdi, ibid., p. 168).
Contribuirono a questa scelta - che allora apparve clamorosa - da una parte, la sfiducia in un rapido mutamento della situazione politica e nell'attività dell'antifascismo militante, dall'altra l'aver maturato un'esperienza, un prestigio ed una professionalità giomalistica tali da consentirgli di aspirare a posti di responsabilità e di potere non raggiungibili senza un'esplicita adesione al regime, soprattutto per i suoi noti trascorsi antifascisti. Essendo infatti divenuto vicedirettore del Lavoro, trovò sbarrata la strada alla direzione, il che finì per rendere tesi i rapporti con il direttore Canepa. Ma nella scelta soprattutto, forse, giocò un ruolo decisivo il fatto che l'A. fosse fondamentalmente un conservatore: come le sue sferzate degli anni Venti erano rivolte contro la violenza eversiva del movimento fascista, così la sua conversione degli anni Trenta fu una resa alla stabilità raggiunta dal regime. La sua mentalità lo portava probabilmente a non credere nell'utilità di persistere su posizioni ideali e a ritenere che chi possedeva il potere avesse anche, sostanzialmente, ragione.
Gli era stata offerta da Costanzo Ciano la direzione del Telegrafo, quotidiano di Livorno. Al fine di ottenere la tessera del Partito nazionale fascista - questa la spiegazione, peraltro plausibile, che dell'episodio dà il Signoretti (p. 166) - il 26 ott. 1935 l'A. fu richiamato alle armi su sua richiesta e, dopo un corso a Civitavecchia, fu inviato in Cirenaica con la divisione Trento col grado di capitano.
Ottenuta la tessera del partito, assunse la direzione del Telegrafo nell'ottobre 1936, venendo a figurare tra i più prestigiosi giornalisti italiani, anche perché il quotidiano livornese rappresentava, data la forte influenza dei Ciano sulla proprietà, un autorevole punto di vista soprattutto rispetto alla politica estera. Infatti in questo periodo furono molto stretti i rapporti dell'A. con Galeazzo Ciano.
Dal 1940, insieme con M. Appelius e R. Alessi, prese a redigere l'ascoltata rubrica radiofonica "Commento ai fatti del giorno", nella quale, pur aderendo sostanzialmente alla retorica nazionalistica del fascismo - e, anzi, facendosi autorevole portavoce del regime - nel seguire gli eventi bellici mostrò talora una certa autonomia di giudizio, peraltro confermata da alcune relazioni di polizia dalle quali si evince come l'A. - nei colloqui privati con conoscenti e amici - si mostrasse del tutto consapevole della reale entità delle forze in campo e prevedesse con una certa esattezza gli esiti finali del conflitto. Dal 1942 fu redattore anche di un'altra rubrica radiofonica: "La radio del combattente".
Richiamato alle armi, dopo l'8 sett. 1943 fu fatto prigioniero dai Tedeschi in Dalmazia e deportato in campo di concentramento. Tornato in Italia, fu escluso dopo la Liberazione da ogni attività giornalistica e fu detenuto per un breve periodo a Pisa, Firenze e Procida (Staglieno, p. 10), dopo di che, amnistiato, si trasferì a Pescia (Pistoia), dove riprese una vasta attività pubblicistica innanzitutto come scrittore, meditando l'abbandono definitivo del giornalismo quotidiano. Pubblicò infatti, per la casa editrice di Leo Longanesi, con il quale ebbe uno stretto rapporto di amicizia, il libro di belle maniere Il vero signore (edito con lo pseudonimo di Willy Farnese, Milano 1947) e Latinorum (con lo pseudonimo di Michele Fornaciari, ibid. 1947). Curò, inoltre, dietro il velo dell'anonimato, una riduzione della Cronistoria di Cesare Cantù dal titolo I cimiteri dell'Ottocento, ibid. 1948. Ma l'opera maggiore fu Il ministro della buona vita. Giolitti e i suoi tempi (ibid. 1949), saggio biografico che, al di là dell'evidente intento riabilitativo (fin dal titolo vi è una chiara polemica antisalveminiana riconducibile agli scritti dell'A. degli anni Venti), appariva non privo di spunti originali, tanto da entrare a far parte della corrente letteratura storiografica sull'età giolittiana. Col Longanesi aveva già collaborato al periodico bolognese L'Italiano, e avrebbe altresì collaborato a Il Libraio, bollettino delle novità della casa editrice.
Nel 1950 gli fu affidata dalla proprietà (in mano al Banco di Napoli) la direzione del quotidiano di Napoli Il Mattino, direzione che mantenne fino al 1965. La scelta dell'A. - che veniva imputata alla Democrazia cristiana - suscitò critiche negli ambienti politici della sinistra laica e socialista sia per i trascorsi dell'uomo, sia perché mostrava quale immagine di sé volesse dare il partito di maggioranza nel Napoletano di fronte all'offensiva populista e reazionaria della destra. In sintesi, il discorso dell'A. ai lettori sarebbe stato "un invito a preferire una destra colta a una becera" (Murialdi, Dalla liberazione, p. 236).
Collaborò al settimanale Tempo, diretto da Arturo Tofanelli, sul quale curò dal 1957 una rubrica di costume, "II Serraglio", che prendeva il posto del "Battibecco" di Curzio Malaparte. Collaborò altresì a L'Europeo e al Borghese, fondato e diretto dal Longanesi. Una scelta dei suoi articoli su quest'ultimo periodico fu edita nel volume postumo Dizionario degli italiani illustri e meschini dal 1870 a oggi, Milano 1980.
Nella biografia, da lui stesso scritta come è tradizione di chi riceve il premio Marzotto (1963), è interessante notare alcune considerazioni che mostrano qual era l'idea che egli aveva e quindi voleva dare di sé, quella, cioè, di un uomo e un intellettuale che aveva ragionato sempre con la propria testa anche quando aveva aderito al regime fascista o ad ideologie e movimenti di massa. Per esempio, a proposito del suo interventismo nella grande guerra egli sosteneva che era stato un "interventismo suo particolare", che aveva sì l'obiettivo di annettere all'Italia Trento e Trieste, ma anche di conservare l'Austria, ingrandendola, anzi, a spese della Germania, perché riteneva l'Austria necessaria all'Europa. Questo snobismo intellettuale (pregno altresì di forti venature aristocratiche) guidò una vita contrassegnata da un lato da una lucida visione della realtà e da una solida formazione culturale e dall'altro da comportamenti ispirati ad un pragmatismo che poteva sembrare cinico. Per chi ebbe modo di conoscere e di frequentare l'A., della sua complessa personalità colpivano l'ostentato scetticismo sulla natura umana, una superbia intellettuale basata sulla consapevolezza del proprio valore (giustamente il Signoretti, p. 171, annota che egli fu "sempre uno dei direttori che vedono il giornale in funzione del proprio articolo, del proprio pezzo") e nello stesso tempo il desiderio non celato di avere stima e amicizia dalle persone a cui riconosceva intelligenza, cultura e coerenza morale.
L'A. morì a Napoli il 1º sett. 1969.
Fonti e Bibl.: Arch. centr. dello Stato, Casellario politico centrale, b. 146, ad nomen; Ibid., Minist. dell'Interno, Direz. gen. Pubblica Sicurezza, Divis. polizia politica, cat. 1, b. 35, fasc. G. Ansaldo; R. Frattarolo, Anonimi e pseudonimi. Repertorio delle bibliografie nazionali, Caltanissetta-Roma 1955, p. 94; W. Maturi, Interpretazioni del Risorgimento, Torino 1962, p. 348; Premio Marzotto, VI (1963-1964), pp. 25 s., 28; A. Signoretti, "La Stampa" in camicia nera 1932-1943, Roma 1968, ad Indicem; Il Mattino, 2 sett. 1969 (necr. di G. Ghirardo); L. Balestreri, Breviario della storia del giornalismo genovese, Savona 1970, p. 80; R. Bertacchini, L. Longanesi, in Letteratura italiana. I contemporanei, IV, Milano 1974, pp. 540, 542 s.; N. Ajello, Il settimanale di attualità, in La stampa italiana del neocapitalismo, Roma-Bari 1976, ad Indicem; A. Monticone, Il fascismo al microfono. Radio e politica in Italia (1924-1945), Roma 1978, ad Indicem; P. Murialdi, La stampa quotidiana del regime fascista, in La stampa italiana nell'età fascista, Roma-Bari 1980, ad Indicem; P. Murialdi, Dalla liberazione al centrosinistra, in La stampa italiana dalla Resistenza agli anni Sessanta, Roma-Bari 1980, pp. 208, 236; M. Staglieno, in G. Ansaldo, Dizionario degli italiani illustri e meschini dal 1870 a oggi, Milano 1980, pp. 7-12; G. Ciano, Diario 1937-1943, Milano 1980, ad Indicem; A. Fratta, Il direttore della buona vita, in Il Mattino, 4 giugno 1983; I. Montanelli, in G. Ansaldo, Il vero signore, Milano 1983, pp. 3-8; G. Spadolini, in G. Ansaldo, Il ministro della buona vita, Milano 1983, pp. VII-XVI.