ANIMUCCIA, Giovanni
Nacque a Firenze nei primi anni del XVI secolo. "Inter amoenissimos hortos educatus", come scrisse di lui il Poccianti, egli trascorse in Firenze gli anni giovanili e dovette certamente essere a contatto con gli artisti, letterati e musicisti dell'ambiente mediceo. Degli anni fiorentini dell'A. ben poco si conosce; non si sa con precisione chi gli sia stato maestro nell'arte musicale, né quali mansioni abbia rivestito nella città natale. Si tende generalmente a considerare l'A. come il massimo rappresentante, accanto al Palestrina, della scuola polifonica romana, trascurandone la formazione fiorentina, che improntò invece largamente la sua produzione musicale, sia sacra sia profana. Agli anni giovanili deve certo risalire l'amicizia affettuosa che legò l'A. ad alcuni spiriti bizzarri della sua Firenze, quali A. F. Grazzini (il Lasca). Vi è un curioso capitolo in terzine di questo autore, In lode degli spinaci, indirizzato a "M. Giovanni Animuccia musico", e in un altro capitolo, dedicato al musicista "M. Lorenzo degli Organi", soprannominato Cencin, viene ricordato l'A., il quale, trascorsi allegramente in campagna alcuni giorni con il Lasca, se ne era ripartito per Firenze.
In quegli anni conobbe sicuramente Francesco Corteccia, il cui influsso egli risente nella produzione madrigalistica.
Verso il 1550, o forse poco prima, l'A. si trasferì a Roma al servizio del cardinale di Santa Fiora, Guido Ascanio Sforza, e nella stessa città venne il fratello dell'A., Paolo, anch'egli musicista. L'A. fu a Roma - con la moglie, la senese Lucrezia Giolia - uno dei primi seguaci di s. Filippo Neri, suo concittadino ed amico. Fu, anzi, un "convertito" del santo, come testimonia una deposizione giurata di Germanico Fidele negli Atti per la canonizzazione di s. Filippo, ed a questa conversione si può credere certamente, se si raffronta la vita un po' gaudente fiorentina a quella austera romana. Nel giugno 1551 (un mese dopo che s. Filippo era stato ordinato sacerdote) l'A. divenne novizio nella Compagnia della pietà della Nazione fiorentina, che si riuniva nella chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini. Nel gennaio 1555 egli aveva raggiunto una tale notorietà da essere scelto a succedere al Palestrina nella carica di maestro della Cappella Giulia, incarico che l'A. mantenne ininterrottamente fino alla morte, alternandolo con la sua attività di musicista nell'ambito delle riunioni di s. Filippo Neri, che vide in lui la persona adatta a dirigere le musiche dell'Oratorio di S. Girolamo della Carità.
Talvolta l'A. scrisse alcune sue composizioni con estrema rapidità: ne è prova la retribuzione di 25 scudi, che gli vennero assegnati - come si legge in un censuale della Cappella Giulia firmato dal canonico Cenci il 23 dic. 1567 - per aver composto in meno di cinque mesi 14 inni, 4 motetti e 3 messe "necessarie alla cappella" e "che sono secondo la forma del concilio di Trento". L'A. morì a Roma tra il 26 e il 31 marzo del 1571 e dal 1º aprile l'incarico di maestro della Cappella Giulia venne ripreso dal Palestrina. La grande intimità tra s. Filippo Neri e tutta la famiglia Animuccia (tanto che egli dotò le figlie di Paolo A., che erano rimaste con lo zio dopo la morte del padre, perché potessero sposarsi decorosamente) venne successivamente avvalorata da Domenico Sonzonio nella Vita novissima del S. patriarca e taumaturgo Filippo Neri (I, Padova 1783, cap. IV, p. 15) con il racconto - riportato anche dal Pitoni - di una miracolosa apparizione dell'A., che chiedeva preghiere, il 9 genn. 1574, ad un devoto di s. Filippo, Alfonso Portoghese, che avrebbe fatto celebrare per la sua anima delle messe in S. Giovanni dei Fiorentini.
Tra le numerose opere dell'A., Il Primo libro di Madrigali a quattro, a cinque & a sei voci, Venezia, Gardano, 1547, dedicato "al nobile et virtuoso Giovane M. Nicolò del Nero Cittadino Fiorentino", che è anche la prima opera pubblicata dall'A., è quella che lascia più chiaramente intravvedere l'influsso che l'ambiente fiorentino esercitò su di lui. Si tratta di quaranta madrigali che l'A. stesso chiamò "i primi fiori che alla mia tenera primavera è concesso mandar fuori". A sedici madrigali a 4 voci segue una sestina del Petrarca Alla dolc'ombra;essa inizia con il motivo di una composizione, dallo stesso testo, musicata da Jachet Berchem, in cui due parti a 4 voci vengono inserite tra quattro parti a 5 voci. Dopo varie composizioni a 5 voci, fa seguito un'altra sestina Anzi tre dì creata era alm'in parte (cinque stanze a 5 voci ed una sesta finale a 6 voci).
Scritta certamente per il genetliaco di qualche gentildonna fiorentina (alla quale è dedicata), è un'egloga del Sannazzaro, Rose bianche e vermiglie, che rappresenta uno dei madrigali più complessi della raccolta, con una varietà nell'alternarsi delle voci che dalle cinque iniziali passa a quattro, e poi a tre voci per riprendere ancora a quattro e finire a cinque voci. Queste tre elaborazioni citate si possono considerare prodromi della cantata e i primi esempi di composizione ciclica di madrigali, anzi, secondo l'Einstein, l'A. sarebbe stato il primo a introdurre a Firenze, da Venezia, questo tipo di composizioni.
È nota in questi madrigali una notevole varietà ritmica, per cui a movimenti lenti succedono movimenti animati, vivaci e l'A. mostra di sapere sviluppare per largo tratto con perizia un motivo melodico. In queste sue composizioni egli si rivela piuttosto incline alla espressione simbolica, tipico retaggio fiammingo, senza giungere al pittoresco; vi è una spontanea declamazione che è tipicamente fiorentina. Nella musica liturgica l'A. fu uno dei maggiori compositori che aderirono con la loro opera alla riforma della musica dopo il concilio di Trento. Così nella prefazione del suo Missarum Liber Primus (Romae, apud haeredes Valerii et Aloysii Doricorum fratrum Brixiensium, 1567),egli mostra di tener presente la necessità di rendere il testo letterario intelligibile: "has preces et Dei laudes eo cantu ornare studui, qui verborum auditionem minus perturbaretur". Si tratta di cinque messe a 4 voci, di una a 5 e di un'altra a 6 voci, in cui la costruzione contrappuntistica risente dell'influsso fiammingo. Il problema della intelligibilità del testo non vienerisolto attraverso l'adozione della omofonia sillabica, ma lasciando liberamente circolare nella tessitura polifonica le antiche melodie gregoriane, senza sopraffarle nei giuochi contrappuntistici. La tessitura franco-fiamminga risulta anche evidente nel canone Sancta Maria dell'A., che si trovava in una delle cantorie della S. Casa di Loreto, ed attorno alla soluzione del quale si accanirono musicisti di epoche successive, fra cui, nel sec. XVIII, padre G. B. Martini, che si trovò a contrastare con il maestro della Cappella di Loreto, Tommaso Redi. Ambedue le soluzioni del canone e le fasi della polemica vennero riportate dal de La Fage, ma certo è la risoluzione del Martini che si rivela esatta. Importanti, nella produzione liturgica dell'A., sono anche i Magnificat, raccolti nel libro Canticum B. Mariae Virginis... ad omnes modos factum (Romae, apud haeredes Valerii et Aloysii Doricorum fratrum Brixiensium, 1568), dove si riscontra, rispetto alle messe, una maggiore sobrietà contrappuntistica, e più chiaro vi risulta l'elemento ispiratore gregoriano. L'A. si rivela poi nei suoi due libri di laude, che possono porsi all'origine dell'oratorio in volgare, un interprete attento dei voleri di s. Filippo, che mirava a servirsi anche della musica nella sua opera di riedificazione religiosa. Il primo libro delle laudi... Composte, per consolatione et a requisitione di molte persone spirituali, et devote, tanto religiosi, quanto secolari (in Roma, per Valerio Dorico, l'anno 1563) risulta ancora per tanti aspetti "fiorentino". Ne fa fede un conterraneo dell'A., fra' Serafino Razzi, che nella prefazione al suo terzo libro di laudi così si esprime: "... fino dall'anno 1563 feci stampare un libro delle prefate laudi di diversi Autori con la propria musica loro e canto. Donde eccitato il devoto spirito dell'Animuccia fiorentino, e musico eccellente in Roma, mandò fuori egli ancora un libro delle prefate laudi riducendo molte di quelle arie antiche del libro nostro, ed arie moderne e più vaghe. E dopo di lui hanno seguitato i Reverendi padri dell'oratorio di Roma, eglino ancora, di stampare molti libretti di simili laudi...". Appare dunque chiaro da questa dichiarazione del Razzi che l'A. non riunì in questo libro solo sue composizioni originali, ma si servì anche di quel materiale laudistico, di cui era venuto a conoscenza durante la sua vita fiorentina o attraverso i suoi amici fiorentini, adattando naturalmente quelle arie antiche alle nuove esigenze dell'ambiente in cui dovevano essere eseguite. In queste composizioni laudistiche, che dovevano essere facilmente comprese da tutti, l'A. mirò soprattutto, come era del resto nella tradizione di questo genere di composizione, a dare sviluppo alla melodia che spicca nella voce soprana. Le laudi del primo libro sono tutte quasi a 4 voci; solo le ultime tre sono a tre voci e in esse si accentua ancor più il carattere prevalentemente monodico di tali composizioni, con la assoluta prevalenza del soprano sulle altre voci, preludendo chiaramente alla tecnica della monodia accompagnata. Quanto fosse vivo il desiderio dell'A. di collaborare con s. Filippo risulta anche dalla prefazione di Il secondo libro delle laudi. Dove si contengono mottetti, salmi et altre diverse cose spirituali, vulgari et latine (in Roma, per gli heredi di Antonio Blado... 1570), in cui l'A. fa riferimento ancora al primo libro di laudi da lui pubblicato "...nelle quali attesi a servare una certa semplicità che alle parole medesime, alla qualità di quel divoto luogo et al mio fine, che era solo di eccitar devotione pareva si convenisse".
Con il crescere dell'importanza dell'Oratorio, anche l'A. sentì l'esigenza di "...accrescere in questo libro (così egli continua nella prefazione del suddetto) l'harmonia ed i concenti, variando la musica in diversi modi, facendola hora sopra parole latine, hora sopra volgari, et hora con più numero di voci, et hora con meno... intrigandomi il manco ch'io ha potuto con le fughe et con le inventioni; per non oscurare l'intendimento de le parole, acciocché con la loro efficacia, aiutate dall'harmonia, potessero penetrare più dolcemente il cuore di chi ascolta". Si tratta di ventisette composizioni con testo latino e di diciotto laudi da 2 a 8 voci, che rimangono sempre di carattere popolareggiante, nonostante il voluto raffinamento dei mezzi espressivi. Ma l'A. non dimentica di essere il musicista del concilio di Trento nel desiderio di far sì che le parole siano sempre intellegibili.
Oltre le opere già citate, ricordiamo ancora: Il secondo Libro de i Madrigali a cinque voci, di M. G. Annimuccia [sic] Fiorentino... In Roma, per Antonio Blado...,1551; Il primo libro dei motetti a cinque voci... Novamente stampati..., Apud Valerium Doricum et Aloysium Fratres Brixienses, Romae, 1552; Di G. A. fiorentino Madrigali a cinque voci. Nuovamente posto in luce...in Roma, per Valerio & Luygi [sic] Dorici fratelli Bresciani... 1554; Il primo libro de Madrigali, a tre voci,... Con alcuni mottetti, et madrigali spirituali, non più stampati...in Roma, per Valerio Dorico, 1565. Composizioni dell'A. si trovano, inoltre, nella raccolta Il quarto libro delle Muse a cinque voci composto da diversi eccellentissimi musici... in Venetia apresso li Figliuoli di Antonio Gardano, 1574, e nel Tempio Armonico della Beatissima Vergine... in Roma, per Nicolò Mutij, 1599, di G. G. Ancina. Tra le opere manoscritte, notiamo che 25 laudi del cod. 0,2 della Biblioteca Vallicelliana in Roma sono dell'A., giacché compaiono stampate nel suo secondo Libro delle laudi, e forse altre laudi di codesto cod., non ancora studiate, potrebbero a lui attribuirsi. Inoltre, nel ms. Vallicelliano Z.122-130 vi è una composizione dell'A. ad 8 voci, Signor, dolce vita tace. Tra le più notevoli trascrizioni moderne, sono da ricordare la Missa Ave Maris Stella. Quatuor vocum inaequalium (1567)...Transcripsit et curavit Bonaventura Summa, Romae, De Sanctis, 194°, e Ben venga Amore. Laude spirituale a quattro voci miste. Trascrizione di Achille Schinelli, in Composizioni polifoniche sacre e Profane, I, Milano, Curci, 1957.
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