ANGUISSOLA, Giovanni
Nacque a Piacenza nel 1514. Apparteneva al ramo degli A. di Vigolzone e godeva, col titolo comitale, il feudo di Varano e Riva.
A ventiquattro anni era stato bandito dalla sua città per aver ucciso per rancori privati, il 25 genn. 1538, l'abate commendatario di S. Savino, G. Marazzano. Da Milano, dove si era rifugiato, passò tre anni dopo al servizio di Pier Luigi Farnese, che lo ebbe con sé nella campagna del 1541 contro i Colonna e gli affidò la compagnia di soldati di cui aveva avuto il comando il fratello Federico, caduto sotto le mura di Rocca di Papa. L'A. si comportò così egregiamente che Paolo III lo trattenne per più di un anno presso di sé, assolvendolo dall'omicidio e permettendogli di tornare poi nella sua città.
Dopo l'investitura di Piacenza al Farnese, i suoi rapporti col duca - che nell'intento di creare uno stato unitario e forte doveva necessariamente limitare i privilegi feudali della nobiltà - si mantennero apparentemente cordiali; anzi il duca teneva l'A. tra i consiglieri più fidati; ma nella sua famiglia, come in genere nella nobiltà piacentina, v'era un forte orgoglio municipale e una viva tradizione d'autonomia, favorita a suo tempo dal mite governo della Chiesa (gli A. con i Fontana, i Landi e gli Scotti avevano anche il privilegio di scegliere dalle loro famiglie il vicario di provvisione). Alcuni provvedimenti del Farnese, come la creazione di una milizia - da cui erano esclusi i nobili - dipendente da lui, e la costruzione di una cittadella nel cuore della città accrebbero il malcontento nobiliare.
Nella mente dell'A., imbevuta anche di teorie antitiranniche, nacque forse allora l'idea di una eliminazione violenta del duca; ma la congiura fu resa possibile per l'intervento del governatore di Milano Ferrante Gonzaga, che già da tempo aveva chiesto a Carlo V l'autorizzazione a occupare Piacenza. Riuscito vano il tentativo di coinvolgere il Farnese nella congiura dei Fieschi (gennaio 1547) e contando sulla condiscendenza dell'imperatore, che dopo il trasferimento del concilio da Trento a Bologna (marzo 1547) era particolarmente risentito con Paolo III e i Farnese, il governatore di Milano pensò di favorire una rivolta interna della nobiltà, dei cui malumori era al corrente. Intermediari furono Luigi Gonzaga, signore di Castiglione delle Stiviere, e l'Anguissola. Questi poté subito assicurare l'adesione di altri tre congiurati: C. Pallavicini, G. Confalonieri e A. Landi. L'A. presentò anche le proposte dei Piacentini per la partecipazione alla congiura e per la consegna di Piacenza al Gonzaga: che le entrate della città non superassero quelle che si pagavano alla S. Sede; che venissero giudicate sul luogo le cause che non eccedevano i 1000 scudi; che non si dovesse render conto "di morti homini o di guadagni facti" in quella circostanza. Il Gonzaga accettò e promise ampia impunità.
Dopo un rinvio dovuto a una visita di Ottavio Farnese al padre, la congiura venne eseguita il pomeriggio del 10 sett. 1547. L'A. salì indisturbato sino all'anticamera del duca che stava ricevendo e, quando toccò a lui di essere introdotto, lo pugnalò di sua mano; poco dopo, mentre il corpo del Farnese veniva gettato da una finestra nel fossato del castello, toccò ancora a lui scuotere l'indifferenza e l'ostilità del popolo con un discorso se non del tutto insincero pieno di retorica: "fratelli, eccovi il tiranno; l'abbiamo ammazzato liberando la nostra patria".
Che l'A. sia stato il capo della congiura e l'esecutore dell'uccisione risulta certo dalle sue memorie e dalle deposizioni dei servitori e familiari del duca interrogati a Roma nel processo ordinato da Paolo III nel 1548-49. Che abbia effettivamente agito per amore della libertà e in odio alla tirannide è per lo meno dubbio: molto influirono le promesse del Gonzaga e la speranza di ricompense dalla Spagna. È certo però che agì nei preparativi con abilità, perché trattò sempre separatamente coi congiurati, in modo che fu mantenuto sino all'ultimo il più grande segreto.
Come il governatore aveva assicurato, nonostante il breve di Paolo III del 20 sett. 1547che chiedeva la punizione degli assassini, l'A. venne lasciato indisturbato. Nella spartizione del bottino ebbe anch'egli la sua parte, ma sia che fosse stato effettivamente defraudato dagli altri, sia che volesse sollecitare dalla Spagna altri riconoscimenti mostrando di non avere avuto sinora nulla, ne scriveva sul principio del '48 al Gonzaga. Solo il 25 luglio 1553 otteneva una pensione annua di 600 scudi da Carlo V e nel 1569 un'altra di 400 scudi da Filippo II. Dopo che, molto più tardi, era stato costretto a vendere a Ottavio Farnese (dal quale in seguito gli A. li avrebbero ricomprati) i beni che aveva nel Piacentino per un prezzo assai inferiore al loro valore, ricevette dal re di Spagna un assegno straordinario di 3.000 scudi, che gli venne pagato metà nel 1569 e metà nel 1570. Nel 1572 sollecitava ancora dal re un feudo nel Varesotto promessogli quand'era governatore il duca d'Alburquerque.
Rimasto per qualche tempo in Piacenza, quando la città venne restituita ai Farnese si recò a Milano. Qui fu nominato membro del Consiglio segreto e di guerra, e gli furono poi affidati importanti uffici. Il 20 giugno 1555 era nominato governatore di Pavia e castellano di quel castello. Non trovandovisi però al sicuro dalle insidie e dai tentativi di vendetta di Ottavio Farnese, l'imperatore pensò di sottrarvelo chiamandolo in Fiandra a comandare una compagnia di truppe svizzere: per l'intervento del card. Madruzzo, governatore di Milano, l'ordine fu sospeso. Lasciata Pavia e rientrato a Milano, il 7 giugno 1562 riceveva da Filippo II l'ordine di reclutare 3.000 soldati italiani coi quali recarsi in Francia a combattere gli ugonotti; si portò infatti coi suoi uomini nel Delfinato, ma non essendo stati pagati, se ne ritornarono; è assai improbabile che abbiano partecipato a fatti d'armi.
Dopo un altro attentato subito a Milano, chiese un luogo più sicuro al riparo dai sicari farnesiani, e nel settembre del 1564 ebbe il governo di Como, con lo stipendio di 100 scudi al mese. Era un compito difficile, anche perché i Comaschi erano risentiti per la cessione di Bellinzona, Lugano, Locarno e Mendrisio agli Svizzeri, ma l'A. si disimpegnò egregiamente. La sua attività amministrativa è ricordata con lode: opere di edilizia e di difesa della città, lavori per l'arginamento delle acque del lago, incremento dei luoghi pii, sovvenzioni alle orsoline per l'erezione di un collegio a Como; a lui pure si deve la meravigliosa villa sul lago detta "Pliniana".
Mentre era governatore di Como fece parte di una ambasceria agli Svizzeri inviata da Filippo II per indurli a una lega con Milano e la Spagna, ma le trattative, protrattesi dal 1564 al 1565, non ebbero esito perché gli Svizzeri videro respinte le loro richieste di libero commercio nello Stato di Milano. Nel 1567 era incaricato ancora di una missione nel cantone di Friburgo per reclutare soldati per la guerra di Fiandra. Nel 1575 fu inviato a Genova, probabilmente con funzioni di paciere, in occasione dei disordini ivi scoppiati in quell'anno.
Morì a Como il 26 giugno 1578 e fu sepolto nella chiesa di S. Croce. Malgrado avesse avuto tre mogli, Lucrezia Pallavicino, Elena Martinengo e Delia Spinola, quest'ultima sposata nel 1570, non ebbe figli e lasciò erede il nipote conte Giulio Anguissola Tedeschi.
Nonostante la notevole attività nel campo amministrativo e delle armi, il nome dell'A. resta legato all'episodio della congiura. La storiografia, ora più benevola verso la politica del Farnese, è meno disposta ad accettare le proteste di amore alla libertà e di odio alla tirannide del suo uccisore. La letteratura, specie nel secolo scorso, ha invece esaltato la figura dell'A.: così il Turotti e il Carini nei due drammi Il Conte Giovanni A.(1839) e Pier Luigi Farnese (1848);un dramma, intitolato pure esso Pier Luigi Farnese, nel quale però la figura dell'A. è idealizzata e assolutamente lontana dal vero, scrisse pure, nel 1890, A. Boito per il compositore C. Palumbo.
Fonti e Bibl.: Documenti inediti di qualche interesse sono nell'Archivio di Stato di Milano, Documenti diplomatici, cart. 200 e ss., e Famiglie, cart. 6. Fecero conoscere documenti: F. Odorici, Pier Luigi Farnese e la congiura Piacentina del 1547 con documenti inediti, Milano 1863; A. Bertolotti, La morte di Pier Luigi Farnese. Processo e lettere inedite, in Atti e Memorie d. Deput. di storia patria per le prov. dell'Emilia, n.s., III, 1 (1878), pp. 25-52; A. Bonardi, G. A. e la Spagna secondo documenti dell'Archivio Bonetta di Pavia, in Archivio storico lombardo, XXII(1895), III, p. 43 e ss. Cfr. inoltre: C. Poggiali, Memorie storiche della città di Piacenza, X,Piacenza 1761, pp. 60 ss., 179; I. Affò, Vita di Pier Luigi Farnese, Milano 1821, passim; G. De Leva, Storia documentata di Carlo V in correlazione all'Italia, IV, Venezia 1887, pp. 355-378; L. Mensi, Diz. biogr. piacentino, Piacenza 1892, pp. 28-29; R. Massignan, Il primo duca di Parma e Piacenza e la congiura del 1547, in Arch. stor. per le prov. parmensi, n.s., VII (1907), pp. 1-134; E. M., Un codicetto riflettente Geno sul Lario, in Arch. stor. lombardo, XXXVI,11 (1909), p. 263; L. V. Pastor, Storia dei Papi, V, Roma 1931, pp. 586 e ss.; A. T. Ragazzi, G. A. governatore in Lombardia, ambasciatore di Filippo 2º nella Svizzera e in Genova, in Strenna Piacentina, XVIII(1940), pp. 62-65.