BERGANCINI, Giovanni Angelo Antonio
Nacque da Lorenzo, notaio, e da Maria Rachis, il 12 apr. 1754 a Livorno Ferraris (Vercelli). Dedicatosi allo studio delle lettere e della teologia, frequentò probabilmente la facoltà di arti dell'università di Torino, dove, a quanto riferisce il De Gregori, fu allievo di Carlo Denina. Ordinato sacerdote nel 1777, venne nominato nel 1778 professore supplente di filosofia nel Real Collegio di Casale, nel 1780 regio professore, nel 1783 professore di filosofia e prefetto nel seminario vescovile di Casale.
Al 1783risalgono le prime accuse di eterodossia che culminarono in quella di aver "fatto impazzire un alunno del seminario collo studio pericoloso della grazia e delle dottrine pistoiesi ", dalla quale egli si difese, con "poche pagine" dirette al vescovo G. L. Avogadro (Difesa, par. III). Ma è in una lettera di un seminarista di Casale, Carlo Pagani, a Scipione de' Ricci dell'11 marzo 1789 che il B. comincia ad apparire - proprio per le "persecuzioni" di cui è fatto oggetto - come l'esponente più autorevole e qualificato dei riformisti di Casale che - giova tenerlo presente - era tra le diocesi le cui "teorie" meritavano, secondo l'agente della Santa Sede a Torino, Romualdo Valenti, "le più rigorose animadversioni" (Savio, p. 553). Nella lettera al Ricci il Pagani qualifica il B. "invitto difensore delle vostre sanissime Dottrine, e provvidenze vantaggiose", e informa il vescovo di Pistoia delle persecuzioni di cui egli è vittima: "Si grida da una turma di frati col vescovo alla testa al giansenista, rigorista, pistoiese… Ora si tenta di farlo cacciare dal seminario, ora di farlo abiurare i [di] lui pretesi errori…, ora di toglierli la carica di professore straordinario delle R. scuole" (Arch. di Stato di Firenze, Carte Ricci, f. 90, c. 92).
La lotta ingaggiata contro il B. culmina nel giugno del 1792 con la formale denuncia presentata contro di lui al vicario capitolare, durante la vacanza della sede vescovile, da ventiquattro chierici, "parte indotti, parte sedotti" (Difesa, par. III), che lo induce a "rompere il silenzio" e ad inviare al vicario ed ai canonici del capitolo cattedrale una appassionata Difesa manoscritta che reca la data del 23 giugno 1792; in essa il B. controbatte circonstanziatamente le accuse avanzate nella denuncia dai seminaristi, relative principalmente alla dottrina di Giansenio, a Scipione de' Ricci, alle dispute sulla grazia, alle tesi giurisdizionaliste e regaliste.
Il capitolo cattedrale di Casale - anche probabilmente a causa del consenso e dell'appoggio dei superiori del B., il canonico arcidiacono Rovida e il teologo canonico Defendente Finazzi, rettore del seminario, il quale già il 26 maggio dello stesso anno aveva deposto in capitolo che il B. "era al coperto da ogni accusa" (Difesa, par. XIII) e ne aveva ottenuto la conferma - dovette ritenere valide la difesa e le giustificazioni del B., poiché questi non fu rimosso né dall'insegnamento nelle Regie scuole, né dalle cariche nel seminario. Nel 1794 si recò a Torino dove ebbe contatti con il gruppo giansenista che lo accolse con entusiasmo: ritornato a Casale, infatti, non cessò di "gloriarsi delle accoglienze graziosissime senza pari avute da buona parte di codesti dottori" (Bersano, p. 333).
II nuovo vescovo di Casale, Ferrero della Marmora (in occasione del cui ingresso nel 1796 era stato pubblicato un Theologi Bergancini Plausus in adventum Episcopi Ferrerii), si fece promettere dal B. che avrebbe "venerato" la condanna contenuta nella bolla Auctorem Fidei e osservato il divieto regio di insegnare o sostenere le dottrine del sinodo pistoiese e, pur dichiarando essere "cosa notissima" che il prefetto del seminario fosse "acre partigiano di Pistoia ", informò nell'aprile dei 1798 la segreteria di stato per gli affari interni di averlo "tolerato nel suo impiego di secondo superior locale del seminario, dove per l'insegnamento della filosofia, e per l'esercizio del circolo egl'è attissimo, ed avrebbe forse pochi uguali "; avendo, poi, il B. chiesto al Magistrato della riforma la giubilazione da regio professore di filosofia, adducendo motivi che vennero ritenuti irriguardosi per i colleghi, il vescovo, in considerazione del lungo servizio da lui prestato, ne raccomandò una giubilazione onorevole e dichiarò che lo avrebbe conservato nell'ufficio di prefetto e di professore nel seminario, sottolineando l'opportunìtà di accontentarlo "alla meglio, per essere una di quelle teste, che non vanno riscaldate di più, se no si perdono, e fan perdere altri com'è seguito di Ranza, ed altri simili ".
Nello stesso anno inizia - a quanto risulta dai carteggi pubblicati - la corrispondenza epistolare del B. con Eustachio Degola e la sua vivade propaganda del riformismo portorealista e giansenizzante presso il clero ed il vescovo di Ivrea. Ancora nel 1798 fu nominato canonico e il 27 luglio concorse per la carica di penitenziere della cattedrale: l'uffico fu invece assegnato ad un altro canonico, noto avversario del gruppo riformista casalese, proprio perché contro il B., che rimase profondamente "scoraggiato ed abattuto… per i modi indegni usati", "si fece giuocare la taccia" di giansenista (Savio, p. 425).
Da alcune lettere al Degola - in particolare da una del 16 genn. 1799 e da un'altra del 27 marzo dello stesso anno - si apprende che il B. si era venuto a trovare in nuove "impensate circostanze ", che, insieme ad alcuni "incagli" e "crisi" cui pure fa cenno, lo avevano costretto ad insegnare grammatica "volendo la centrale che io continui un mestiere da servo e da sostituito per tutte le scuole, dopo 23 anni, sotto pena di aver nemen un pane ", (Savio, pp. 452 s.). Le "impensate circostanze" dovettero essere sicuramente la conseguenza di una Arringa… agli ebrei di Casale, pronunciata nel ghetto di Casale nel gennaio-febbraio del 1799 - in atteggiamento rispettoso, a capo scoperto con la berretta in mano - e pubblicata nello stesso anno. Il B. stesso afferma di averla preparata e tenuta per il fatto che,. essendo "rotto alfine ogni muro di civile separazione tra gli uomini di diversa fede ", egli si veniva a trovare "nella felice circostanza di poter fraternizzare" con i "cittadini ebrei" (Arringa, p. 13). D'altro canto lo stesso autore nella prefazione all'Arringa riferisce che questa ebbe l'effetto di rinnovare le numerose accuse che da tempo ormai venivano formulate contro di lui, specialmente quella di irriverenza verso il pontefice e di giansenismo.
Durante i tredici mesi del periodo austro-russo il B. fu perseguitato dalle autorità ecclesiastiche e civili, espulso dal seminario, sospeso dalle confessioni, privato della biblioteca e della casa, costretto a fuggire e a nascondersi. Dopo Marengo poté far ritorno a Casale; nell'agosto 1800 fu nominato sotto-commissario per Casale della Commissione ecclesiastica (istituita col decreto 13 luglio 1800 e che operò dalla fine di luglio alla metà circa dell'ottobre 1800) e in tale qualità il 21 settembre denunciò come "soggetti degnissimi di vigilanza" alcuni ecclesiastici di Casale, persone "di massime avverse alla democrazia e alla purezza di religione ".
Promotore, e primo firmatario della lettera latina del 9 maggio 1801 di adesione del clero di Casale al concilio nazionale della Chiesa gallicana, il B. intervenne il 2 luglio dello stesso anno alla seduta inaugurale del concilio, latore di una lettera con cui il Degola lo presentava al Grégoire come "un homme très respectable pour ses lumières, son zèle, sa piété et la beauté de son âme" (Codignola, III, p. 301).
Ammesso al concilio, "le célèbre Bergancini" ricevette dal vescovo di Rennes, Le Coz, presidente dell'assemblea, pubblico omaggio di stima e di riconoscenza: il suo arrivo e, poi, quello del Degola, furono per i costituzionali motivo di "joie vive, … et eri même temps pour nous une source de consolation et le présage des liaisons plus étroites entre l'Eglise d'Italie et celle de France ", come scriveva il Grégoire al Ricci il 25 luglio 1801. Nella seduta del 14 luglio, su proposta del vescovo di Amiens, il concilio votò all'unanimità un ringraziamento al B. e al Degola, pregandoli "d'être les interprètes de ses sentiments auprès de ceux de leurs collègues d'Italie qui partagent leur attachement au clergé français" (De Gubernatis, p. 13).
Rientrato in Casale, il B. manifestò, dopo qualche anno, il desiderio di tornare nel suo paese natale presso i fratelli in qualità di direttore della scuola secondaria: il prefetto della Valsesia lo propose per tale carica e il Grégoire nel novembre del 1804 lo raccomandò al Foureroy; nel gennaio 1806 era ancora a Casale, ma annunciava al Degola una visita per l'estate seguente prima di ritirarsi - nell'autunno, - a Livorno Ferraris presso i familiari. In quegli anni il B. rimase in relazione e in attiva corrispondenza con gli esponenti del riformismo e del portorealismo italiani, in particolare col Pagani, col Degola, col Giudici, col Sopransi, con Giuseppe de Conti, col Gautier, col Bonardi, col Vejluva; fu anche in relazione epistolare col vescovo francese Monin e con il Grégoire, che chiedeva spesso sue notizie e che gli inviava libri e opuscoli di ispirazione giansenista e millenarista.
Colpito da un grave attacco di paralisi nel gennaio 1807, pur avendo riacquistato dopo qualche mese la parola e i movimenti, il B. morì, confortato dai sacramenti e con la benedizione pontificia, a Livomo Ferraris il 14 apr. 1809.
Le sole fonti per quel che riguarda le dottrine teologiche e politiche del B. sono la Difesa manoscritta del 1792 e l'Arringa agli ebrei di Casale del 1799: infatti le Riflessioni sulle omelie del Frate Turchi vescovo di Parma, del 1802, di cui il De Gregori gli attribuisce la paternità, sono sostanzialmente opera del riformista lombardo, Vittore Sopransi di Santa Maria, probabilmente riveduta ed integrata dal B. e dal Vejluva che ne curò poi la stampa in Asti, mentre l'altro dovette occuparsi della diffusione.
La posizione personale del B. nei confronti del giansenismo può desumersi dalle accuse formulate contro di lui dai suoi stessi scolari, che egli giustifica e confuta nella Difesa presentata al capitolo di Casale. Esse mostrano anzitutto che la questione dell'ortodossia di Giansenio era ancora viva nei seminari alla fine del secolo XVIII. Si accusava infatti il teologo di "aver fatto intendere che la dottrina gianseniana è quella di S. Agostino" e di averla sostenuta, di aver detto "di sostenere le tre prime proposizioni condannate di Giansenio, e di sostenerle in termini, e di spiegare le altre due "e di aver biasimato i pontefici che condannarono Giansemo ". Non si riesce, tuttavia, attraverso le risposte e le giustificazioni del B., a dare un preciso contenuto teologico al suo agostinianismo, né ad intendere quale fosse la sua interpretazione delle dottrine.del vescovo di Ypres; più agevole è invece la comprensione dei suo atteggiamento di fronte ai problemi della grazia ed alle vicende del giansenismo italiano: come bibliotecario, ha ordinato libri in favore di Scipione de' Ricci, rifiutandosi di procurarne uno "calunnioso "; ha prestato ad un alunno le Riflessioni morali dei Quesnel; ha insegnato che "i peccatori non hanno ius di pregare Dio né di dire Paternoster ecc. ", che "senza la grazia tutto è peccato" e che le preghiere di chi non ama i fratelli "non vanno a Dio ma tornano ad esso per farlo piu reo ", che non si dà "ignoranza invicibile sulli principali vincoli della legge naturale ".
Per quanto riguarda, invece, le idee politiche dei B. si nota una netta evoluzione - propria dei resto alla maggioranza degli esponenti dei moto riformista e anticurialista italiano - da quelle che risultano professate nelle accuse e nelle repliche contenute nella Difesa del 1792 a quelle manifestate dell'Arringa del 1799. Nella prima il regalismo del B. risulta evidente dalle dottrine che lo si accusava di sostenere e che egli giustifica, ma non nega di aver insegnato; la sua adesione alla libertà democratica ed alla rivoluzione è, invece, il fondamento stesso dell'Arringa agli ebrei di Casale; ed anche a lui, come in genere ai riformisti italiani della fine del Settecento, la rivoluzione si presenta, come il castigo di Dio che aveva straziato la Curia romana sulla quale, non sulla religione cristiana, doveva cadere ogni condanna. Il vero cristiano deve, quindi, esultare e benedire il Signore per "la libertà" e per "la patria" acquistate dagli ebrei con la Rivoluzione che, abbattuta la monarchia. papale, permetterà la loro conversione così che "finalmente Israele farà ringiovanire la Chiesa, e la ricoprirà della primiera spirituale letizia ".
Fonti e Bibl.: Livorno Ferraris, Arch. parrocchiale di S. Lorenzo, Liber baptizatorum, 1754; Casale Monferrato, Bibl. Civ., Carte de' Conti, cat. C. Ecclesiastica, Monferrato, 16 (34), par. IX, Difesa del sacerdote G.A.B.; Archivio di Stato di Torino, Lettere Vescovi. Casale, Epoca Francese, s. 1, mazzo 49, fasc. 4, Lettore alla Comm. eccl. di Casale, 14 sett. 1800 e 21 sett. 1800; Vercelli, Bibl. del Seminario, Codice giansenisti di Morano; Gazzetta Piemontese, 6 sett. 1800; Annales de la religion, XIII (1801), pp. 134, 137, 225; G. De Gregori, Istoria della vercellese lett. ed arti, IV, Torino 1824, p. 109; T. Chiuso, La Chiesa in Piemonte dal 1797 ai giorni nostri, II, Torino 1888, p. 169; P. Pisani. L'Eglise de Paris et la Révolution, IV, Paris 1911, pp. 180 s.; E. Codignola, Carteggi di giansenisti liguri, Firenze 1941, III, pp. 246, 301 n., 305. 420, 485; A. De Gubernatis, E. Degola, il clero costituz. e la conversione della famiglia Manzoni, Firenze 1882, pp. 13. 303; F. Ruffini, La vita religiosa di A. Manzoni, I, Bari 19311, pp. 140, 143; P. Savio, Dev. di mgr. A. Turchi alla Santa Sede, Roma 1938, pp. 91, 422, 424-472, 500, 505 s.; A. Bersano, L'ab. F. Bonardi e i suoi tempi, Torino 1957, pp. 15, 301, 326, 330-334, 377; P. Stella, Crisi religiose nel primo Ottocento piernontese, Torino 1959, p. 20, n. 59; Id., Giansenisti Piemontesi nell'Ottocento, Torino 1964, pp. 26, 32-41, 43-46, 65, 88, 90; Stanislao da Campagnola, A. Turchi, uomo, oratore. vescovo, Roma 1961, pp. 268, 271; Id., Doc. ined. sul giansenista V. Sopransi, in Arch. storico province parmensi, s. 4, XIII (1961), pp. 5, 6, 14, 17, 18, 36, 37.