OLIVA, Giovanni Anello
OLIVA, Giovanni Anello (Aniello). – Nacque a Napoli nel 1574.
Non si sa nulla della sua ascendenza e dell’infanzia. Al momento del suo ingresso nell’ordine ignaziano (1° novembre 1593) era allievo nel collegio della Compagnia di Napoli. Lì ebbe occasione di entrare in contatto con Muzio Vitelleschi (divenuto generale nel 1615), il quale ebbe un’influenza decisiva sulla sua vocazione alle missioni delle Indie.
Dopo gli studi di filosofia si unì alla spedizione alla volta del Nuovo Mondo guidata da Felipe Claver e composta da 12 padri. Giunse a Lima, in Perù, il 10 settembre 1597. Nella capitale del Viceregno completò gli studi di teologia e nel 1602 ricevette l’ordinazione sacerdotale. Fu successivamente destinato alle residenze gesuitiche del Sud come missionario. Nella doctrina (parrocchia di indigeni) di Juli (oggi Puno), sulle sponde del lago Titicaca, fece la terza probazione; i cataloghi del 1606 e del 1613 lo menzionano poi come «obrero de indios y españoles» (Archivum Romanum Societatis Iesu [ARSI], Per. 4 I, cc. 111v, 164v), cioè addetto all’apostolato tra indios e spagnoli, a Santa Cruz de la Sierra (nell’attuale Bolivia). Il 18 maggio 1614 pronunciò i quattro voti solenni, mentre nel 1619 figura come «obrero de indios», ministro e vicerettore tra i padri del collegio di Arequipa (ARSI, Per. 4 I, c. 210). Nel 1625 divenne rettore del Collegio di Oruro (Bolivia), ma non abbandonò mai la vocazione missionaria: sono del 1628 le escursioni apostoliche a Mizque, Cochabamba e Potosí, effettuate partendo dal collegio di Chuquisaca (oggi Sucre, Bolivia). Seguirono altri due incarichi rettorali, dapprima presso il collegio del Callao (1630-36), quindi presso quello di S. Martín di Lima.
Nel 1636 si stabilì a Lima presso il collegio di S. Pablo, dove rimase come rettore fino alla morte, avvenuta a Lima il 5 febbraio 1642.
Oltre agli incarichi di governo e all’attività missionaria (suo impegno prioritario in Perù), Oliva si distinse soprattutto per la sua attività letteraria. Sin dai tempi degli studi superiori a Lima iniziò a raccogliere testimonianze, notizie e documenti di vario genere (litterae annuae, resoconti, biografie, cronache) sulla storia della provincia peruviana e sulla vita dei suoi padri illustri. Ne risultò la redazione di un insieme di profili biografici che nel 1625 venne notato dal padre Gonzalo de Lira, visitatore del collegio di Chuquisaca. Il gesuita napoletano ricevette allora l’ordine di perfezionare per la stampa l’opera, che intitolò Vidas de varones ilustres de la Compañía de Jesús de la Provincia del Perú.
Il genere dei medaglioni biografici era allora in voga e la congregazione provinciale peruviana del 1630 approvò la pubblicazione di due raccolte di questo tipo: la Historia de los varones insignes di Alonso Messía Venegas, e gli Elogios de los claros varones di Juan María Freylín (uscite entrambe a Siviglia nel 1632). La stessa congregazione rinnovò l’invito a Oliva di perfezionare ulteriormente la sua opera già praticamente ultimata. Qualche mese dopo egli la presentò al provinciale, il nolano Nicola Mastrilli Durán, che concesse la licenza di stampa il 10 dicembre 1631; l’opera non venne però mai pubblicata.
La vicenda della sua mancata pubblicazione presenta dei lati oscuri. Approvata dai censori dell’ordine, ottenuto il via libera del provinciale, avuta anche l’approvazione da parte del Consiglio delle Indie, il gesuita napoletano era talmente sicuro dell’imminente uscita a stampa delle Vidas de varones ilustres che il 20 maggio 1631 dedicò l’opera al generale Vitelleschi. Quest’ultimo non volle però concedere la sua approvazione, chiedendone un ulteriore esame da effettuarsi a Roma (1634). In tal modo la decisione finale venne nuovamente rinviata e l’opera finì per rimanere manoscritta sino alla fine del XIX secolo. Nel 1633 fu pubblicato, sempre a Siviglia, un Catálogo de algunos varones insignes de la Provincia del Perú de la Compañía de Jesús, hecho por orden de la Congregación provincial de 1630, di incerta attribuzione, che con ogni probabilità deve moltissimo all’opera di Oliva.
Le Vidas de varones ilustres erano divise in 4 libri di cui il primo rappresentava la parte più originale. Nell’introduzione l’autore spiegava che trovandosi a Santa Cruz de la Sierra aveva avuto l’idea di raccogliere delle note sulle virtù di alcuni padri insigni della provincia. L’intento iniziale era dunque esclusivamente quello di redigere medaglioni edificanti al fine di trarne, lui per primo, giovamento e vigore. La ricostruzione iniziava con il 1568 – anno di istituzione della provincia – e si protraeva fino al 1628. Il primo libro portava il titolo Historia del Reino y Provincias del Perú, de sus Incas Reyes. Descubrimiento y Conquista por los españoles de la Corona de Castilla con otras singularidades concernientes a la Historia. Vi si descrivevano i luoghi, i regni e le province del Perù, la civiltà fiorita prima dell’arrivo degli spagnoli, con particolare riguardo agli aspetti rituali, quindi la scoperta e la successiva conquista degli europei. Oliva utilizzò le opere di vari cronisti e autori, tra cui Francisco López de Gómara, Cieza de León, José de Acosta, Garcilaso de la Vega, Blas Valera e Pablo José de Arriaga, Agustín de Zárate, Antonio de Herrera, Giovanni Botero. A tali fonti di riferimento aggiunse però le notizie ottenute da un cacicco (capo indigeno) quipocamayo (dedito alla fabbricazione, lettura e conservazione dei quipus, un sistema di scrittura numerica fatto di cordicelle e nodi, tipico del mondo incaico) di nome Catari, nativo della Valle di Cochabamba e discendente da Illa, antico quipocamayo del quarto Inca, Mayta Capac. Si trattava di una fonte indigena, da alcuni studiosi considerata folklore (cioè scarsamente attendibile sul piano storico) e sconosciuta a tutti i cronisti citati. Tale circostanza rende straordinario il primo libro dell’opera e nel XIX secolo spinse il bibliofilo e storico Henri Ternaux-Compans a pubblicarlo in una traduzione francese molto difettosa (1857), basata sul primo dei due volumi manoscritti che compongono l’opera. Tale volume, portato in Europa dal diplomatico J.B. Gabriel Amédée Chaumette des Fossés, fu in seguito venduto all’asta al peruviano Manuel González de la Rosa, che, nel frattempo, si era impossessato anche del secondo volume; l’intero manoscritto – che corrispondeva alla versione censurata dal padre Alonso Messía Venegas all’indomani della sua composizione – cadde infine nelle mani di Felipe Varela y Valle, che ne dispose la pubblicazione a Lima nel 1895, edizione curata da Pazos Varela e Varela Obregoso. È invece del 1998 l’edizione critica del manoscritto attualmente conservato presso il British Museum di Londra.
Oliva si rese conto che le sue fonti cadevano in contraddizione su molti eventi e circostanze della storia del Perú preispanico, motivo per cui decise di seguire per lo più i Comentarios Reales de los Incas di Garcilaso de la Vega, in ragione delle informazioni da questi ricevute dai suoi nobili parenti indigeni, nonché l’opera del gesuita meticcio Blas Valera. Le notizie desunte da Catari consentirono a Oliva di colmare lacune e di rettificare ricostruzioni errate, anche se non mancarono comunque imprecisioni ed errori. Il gesuita concepì la ricostruzione del passato incaico come funzionale all’opera di evangelizzazione, uno strumento di conoscenza in grado di aiutare i confratelli a rendere più incisiva l’attività pastorale. All’idolatria dedicò poco spazio, mentre l’epopea incaica – descritta con un notevole coinvolgimento emotivo – appare il nucleo centrale del libro. Da questo punto di vista Oliva fabbricò un’opera antitetica alla cosiddetta storiografia ‘toledana’ (dal nome del viceré Francisco de Toledo, governatore tra il 1569 e il 1581), il cui principale scopo era stato quello di denigrare il passato preispanico puntando il dito contro la tirannia degli Incas, la barbarie della popolazione, la perversità dell’idolatria, al fine di mettere in risalto il carattere civilizzatore e provvidenziale della conquista spagnola. In Oliva si nota, al contrario, un sincero sentimento di ammirazione per il popolo incaico e per i sovrani indigeni, per lo più magnanimi e promotori di leggi giuste, in contrasto con il comportamento dei sovrani europei.
La posizione critica di Oliva nei confronti della conquista spagnola fu probabilmente la causa della censura di Vitelleschi e si riconnette con quanto messo in luce da ricerche recenti sulle complessità della provincia gesuitica peruviana tra la fine del XVI secolo e i primi decenni di XVII, allorché crebbero le tensioni tra i vertici dell’ordine e taluni padri (spesso italiani), molto vicini agli indios, restii ad accettare i metodi di governo della monarchia e portatori di ideali lascasiani.
La scoperta dei cosiddetti ‘documenti napoletani’, o ‘documenti Miccinelli’, avvenuta negli anni Ottanta del XX secolo, ha inoltre posto il nome di Oliva al centro di nuove, controverse, ricerche volte a ridiscutere la paternità della celebre El primer nueva crónica y buen gobierno dell’indio Felipe Huamán Poma de Ayala. Questi nuovi documenti, considerati apocrifi da alcuni storici, attribuirebbero la Nueva Crónica al gesuita meticcio Blas Valera, il quale si sarebbe servito di Poma de Ayala come prestanome al fine di tutelarsi rispetto alla più che probabile reazione delle autorità di governo di fronte alla denunzia del malgoverno spagnolo in Perù contenuta nell’opera. Uno di questi documenti, dal titolo Historia et rudimenta linguae piruanorum, è firmato con le sigle «JAC» e «JAO», che secondo alcuni corrisponderebbero ai nomi di due gesuiti italiani residenti in Perù, il calabrese Juan Antonio Cumis (1537-1618) e, appunto, Juan (Giovanni) Anello Oliva. La sigla «JAO» correda due testi, scritti in italiano cifrato, datati 1637 e 1638, che raccontano le difficoltà incontrate in Perù da Blas Valera e da altri gesuiti – lui compreso –, nel loro intento di raccontare una diversa versione della storia della conquista del Nuovo Mondo e della realtà attuale del Viceregno. In questi testi si esprime con forza l’idea di un cristianesimo sincretico in perfetta continuità con una religione tradizionale andina non in contraddizione con i precetti del Vangelo, e si sostiene anche l’esistenza di quipus ‘reali’, diversi dai quipus normalmente conosciuti, composti da una serie di simboli tessuti dalle ‘sacerdotesse del sole’, un complesso sistema di scrittura che sarebbe stato deliberatamente occultato dagli spagnoli, i quali provvidero a distruggerne tutte le tracce.
Opere: Manoscritti: Historia del reino y provincias del Perú y varones insignes en santidad de la Compañía de Jesús (Londra, British Museum, Additional 25327); Vidas de varones ilustres de la Compañía de Jesús de la Provincia del Perú. Repartidas en cuatro libros... (Biblioteca Nacional de Lima, distrutto da un incendio nel 1943); Relación de la entrada y fundación de la Compañía de Jesús en los Reynos del Perú en conformidad por la horden que tiene dada su Magestad del Rey Nuestro Señor por el Padre A. O. de la mesma Compañía (compendio manoscritto; Roma, Bibl. Casanatense, Mss. 1815). A stampa: Histoire du Pérou par le P. A. O. Traduite de l’espagnol sur le manuscrit inédit par M.H. Ternaux Compans, Paris 1857; Historia del reino y provincias del Perú, se sus Incas reyes... escrito en 1598 y publicado después de tres siglos, a cura di J.F. Pazos Varela - L. Varela Orbegoso, Lima 1895; Historia del reino y provincias del Perú y vidas de los varones insignes de la Compañía de Jesús, a cura di C.M. Gálvez Peña, Lima 1998.
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