ANDRÉS, Giovanni
Nacque a Planes, nell'antico regno di Valenza (oggi in provincia di Alicante, Spagna), il 15 febbr. 1740, da Miguel (di famiglia di origine aragonese stabilitasi nella regione valenzana nel '500 e appartenente alla piccola nobiltà terriera) e da Casiana Morell. Dopo i primi studi nel Collegio dei nobili, che i gesuiti avevano nella città di Valenza, entrò nella provincia di Aragona della Compagnia di Gesù il 24 dic. 1754. Nel decennio 1754-64 fece nella Catalogna il noviziato (Tarragona 1754-56), il corso di perfezionamento in scienze umanistiche (Manresa 1756-57); poi gli studi di filosofia e scienze (Gerona 1757-59). Dal 1759 al 1763 studiò la teologia nel collegio di San Paolo a Valenza e vi fu ordinato sacerdote.
In quegli anni, tra i gesuiti spagnoli, i membri della provincia aragonese erano all'avanguardia del movimento che, rinnovando gli studi umanistici, tendeva a superare l'ultimo barocco, mentre s'interessavano per le scienze naturali ed esatte e per le discipline storiche. Questi caratteri dei gesuiti catalano-aragonesi furono pure quelli della personalità dell'A. Ma, mentre i gesuiti catalani e maiorchini che insegnavano nell'università di Cervera procuravano di non approfondire troppo la frattura tra la vecchia scolastica e la nuova filosofia fondata sulle scienze moderne, quelli invece di Valenza, sotto l'influsso del Tosca e di altri valenzani del tempo, erano decisamente antiscolastici; e tale fu anche l'atteggiamento dell'Andrés.
Quando nel 1767 avvenne l'espulsione di tutti i gesuiti dalla Spagna per decreto di Carlo III, l'A. insegnava retorica e poetica nell'università di Gandia, fondata da s. Francesco Borgia e affidata ai gesuiti. Dopo alcuni mesi passati a Bonifacio, in Corsica, si stabilì con altri gesuiti della sua provincia a Ferrara, dove insegnò filosofia (di tendenza sensistica) ai suoi compagni più giovani, ed emise la professione di quattro voti, il 15 ag. 1773, quando il breve di soppressione della Compagnia di Gesù era già stato firmato da Clemente XIV (21 luglio), ma non ancora promulgato né intimato. Dal 1773 al 1796 l'A. visse generalmente a Mantova, presso i marchesi Bianchi, come precettore del primogenito. Fu quello il periodo di maggior raccoglimento spirituale della sua vita, durante il quale si dedicò alla preparazione delle sue opere critiche, a viaggi in Italia e all'estero, e alla copiosissima corrispondenza epistolare che manteneva, erudita ed amichevole, con i principali dotti italiani, spagnoli e di altri paesi.
In questo periodo mantovano, oltre a brevi dissertazioni accademiche prettamente scientifiche o filosofiche notevole, il Saggio della filosofia di Galileo (Mantova 1776) - alternò la pubblicazione di operette e scritti di erudizione con la preparazione della sua vastissima storia della cultura. Delle sue monografie erudite fu notevole al tempo suo, ed è ancor oggi utile, il Catalogo de' codici manoscritti della famiglia Capilupi di Mantova (Mantova 1797), ora dispersi.
Il primo volume della sua opera fondamentale Dell'origine, progressi e stato attuale d'ogni letteratura, apparso in Parma nel 1782 con i tipi bodoniani della stamperia reale, fu l'avvenimento di quell'anno nel campo della cultura italiana.
Il primo volume senza dubbio primeggia fra i sette dell'opera (Parma 1782-99) perché più personale. Quello che interessa negli altri sei tomi non è tanto l'erudizione, quanto la valutazione delle diverse culture e delle loro epoche successive, che si trova già in nuce nel primo. In esso l'A., di fronte all'erudizione e alla filosofia della Encyclopédie,non è più su posizioni ostili o di sfiducia, come aveva fatto in genere la cultura ecclesiastica a lui precedente, ma piuttosto desidera assimilarne quanto può entrare in una sintesi con il pensiero cristiano. Sin dal prologo, loda la sottigliezza del d'Alembert nella sua prefazione, ma crede che per il suo scopo la divisione delle lettere in storia, filosofia e poesia risulti inadeguata. Per l'A. letteratura è sinonimo dell'odierno termine "cultura"; perciò appunto preferisce dividerla in belle lettere, scienze della natura e scienze ecclesiastiche, e a ognuna di queste tre sezioni dedica due volumi dell'opera.
Tre punti meritano speciale rilievo. Il primo dal quale poi derivano anche gli altri due è l'affermazione della cultura grecolatina come base di tutta la cultura europea; essa avrebbe avuto due rinascenze: una nel Medioevo, per opera principalmente degli Arabi spagnoli e dei contatti che la loro cultura arabo-greca ebbe in Spagna con la cultura occidentale, e un'altra nell'Italia dell'umanesimo, della cui eredità, secondo l'A., si viveva ancora. L'A., prettamente neoclassico, misconosceva i valori del barocco, che considerava l'epoca del cattivo gusto; del Medioevo non salvava né l'arte gotica né alcun'altra sorta di cultura fuorché quel prerinascimento greco-arabo, già accennato, e tutto ciò che nelle scienze ecclesiastiche era restato ai margini della scolastic, da lui derisa come pura barbarie. Tuttavia per l'A. - come del resto per tutta la scuola provenzalista italiana, dal Cariteo al Barbieri - gli Arabi spagnoli avrebbero portato in Europa la moderna poesia rimata. È questo il secondo punto da rilevare nel Dell'origine..., che egli segnalava fin dal prospetto iniziale dell'opera diffusosi in tutta l'Europa prima dell'apparizione di questa. Vicino alla tesi dell'A. si trovò il Tiraboschi, mentre irritato avversario ne fu il compagno di esilio Stefano Arteaga, il quale scrisse contro ambedue il trattato Dell'influenza degli arabi sull'origine della poesia moderna in Europa (Roma 1791) in difesa della tesi latino-germanica. Il terzo punto essenziale di questa Weltliteratur dell'A. è strettamente collegato al precedente: sotto l'influsso di quel primo rinascimento greco-arabo si sarebbe creata la letteratura provenzale, con la quale egli identificava - come già il Bastero nella sua Crusca provenzale (Roma 1724) - lal etteratura catalana, fiorente dal Duecento al principio del Cinquecento in Catalogna, Maiorca e Valenza: il suo elogio di Ausiàs Mare ("il Petrarca dei provenzali") e di Joanot Martorell (definisce il suo Tirant lo Blanc addirittura "il Decamerone" delle prose provenzali) è uno dei pochissimi tratti preromantici di un uomo decisamente neoclassico.
Il Dell'origine... ebbe un clamoroso successo in tutta l'Europa: fu più volte ristampato in Italia, tradotto per intero in spagnolo (10 voll., Madrid 1784-1806), e imposto come testo negli Studi Reali di Madrid; nel 1805 si pubblicò in francese il primo volume, che è, come si è detto, il più importante e caratteristico. Sin dal tempo della sua dimora a Mantova l'A. fece continui viaggi in Italia, e alle volte anche all'estero, per preparare la sua grande opera e per conoscere personalmente gli eruditi e letterati con i quali era in costante rapporto epistolare. Di tutto dava notizia a suo fratello Carlos, il quale poi, d'accordo con lui, pubblicò queste Cartas familiares (5 voll., Madrid 1785-93), subito ristampate, tradotte in italiano e tedesco, e ampliate con la relazione di nuovi viaggi in Austria e nella Svizzera.
Occupata la Lombardia da Napoleone, l'A. si rifugiò a Parma, dove il duca Ferdinando di Borbone aveva restituito ai gesuiti i loro antichi collegi. Nel 1799 il governo austriaco lo nominò riformatore dell'università di Pavia. Nel 1800, di nuovo nel ducato di Parma, rinnovò la sua professione nella Compagnia di Gesù (la quale sopravviveva in Russia) dopo consultazione con san Giuseppe Pignatelli, istruttore spirituale dei nuovi candidati della Compagnia riunitisi a Colorno; questo periodo rifiutò la direzione della Biblioteca palatina offertagli dal duca Ferdinando. Dopo l'occupazione dei ducati parmensi da parte dei Francesi, si trasferì a Napoli con gli altri gesuiti: qui accettò la nomina di prefetto della Real Biblioteca conferitagli da re Ferdinando e confermata da Gioacchino Murat.
Del periodo napoletano sono l'edizione (Parma 1804) delle lettere di Antonio Agustín, umanista aragonese del '500, arcivescovo di Tarragona, e una serie di operette e scritti di varia erudizione. Dal suo ufficio della Biblioteca reale l'A. dirigeva gli studi di un gruppo di giovani napoletani (Ardito, Avellino, Daniele) e manteneva i soliti contatti epistolari con i vecchi amici sparsi per tutta l'Italia: il Marini, il Morelli, il conte Carlo Rosmini, il marchese Triulzi, ecc. Nonostante la sua collaborazione con i napoleonidi, fu ugualmente onorato da Ferdinando I e dai suoi dopo la Restaurazione. Ammessa di nuovo la Compagnia di Gesù da Ferdinando VII di Spagna, dopo la restaurazione dell'ordine fatta da papa Pio VII, gli fu offerto di ritornare in patria. Egli preferì restare in Italia, e morì a Roma il 17 genn. 1817.
Nonostante i suoi grandi meriti nei riguardi della cultura spagnola, che a lui deve - attraverso la traduzione del Dell'origine... e l'edizione delle sue Cartas familiares - molte idee del movimento settecentesco italiano ed europeo, e un primo interessamento per le antiche letterature provenzale e catalana, l'A. appartiene più direttamente alla cultura italiana del sec. XVIII, della quale fu uno dei più alti esponenti nel campo dell'erudizione enciclopedica.
Fra le sue opere, oltre a quelle già citate, si ricordano: Lettera a Gaetano Valenti Gonzaga... sopra una pretesa cagione del corrompimento del gusto italiano nel sec. XVII, Cremona 1776; Dissertazione sopra la scarsezza dei progetti delle scienze in questo tempo, Ferrara 1799; Anedocta Graeca et Latina ex mss. codicibus Bibliothecae Regiae Neapolitanae desumpta, Napoli 1816.
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