GIOVANELLI, Giovanni Andrea
Nacque a Venezia il 14 ott. 1618 da Cecilia Nicolai de Castello e da Benedetto, del ramo veneziano della famiglia Giovanelli de' Noris, originaria di Gandino, nel territorio di Bergamo, poi ampliatasi notevolmente e insediatasi in varie località.
I Giovanelli si erano arricchiti con il commercio, la produzione e la tintura dei panni. All'inizio del XVI secolo intrattenevano rapporti commerciali con molte città italiane, in Germania, Boemia e Ungheria; a Vienna possedevano una succursale stabile. Nel 1583 Andrea Giovanelli, nonno del G., insieme con tre fratelli fu accolto nella nobiltà dell'Impero e degli Stati ereditari degli Asburgo. Il padre del G. nacque, secondo de Haan, nel 1581 (nel 1585 secondo Tiraboschi); lo zio Vincenzo fu "aulae Caesareae familiaris" (Tiraboschi, p. 15).
Sull'educazione del G. non si hanno notizie, ma le attività svolte in seguito fanno pensare a una sua formazione in campo commerciale e militare. Già Benedetto e Vincenzo si erano probabilmente occupati di traffici finanziari e avevano anche prestato denaro alla corte imperiale, ottenendo come rimborso tra l'altro somme provenienti dalla cessione di diritti imperiali in Italia, come quelli su Piombino, venduti alla Spagna. Analogamente l'imperatore versò al G. e a suo fratello Silvestro somme ingenti ricavate dalla cessione di Sassello a Genova.
Nel 1652 il G. e il fratello Carlo furono ascritti alla nobiltà ungherese e nel 1662 il G. ottenne la cittadinanza. Nel 1663 ricoprì l'ufficio di camergravio superiore delle città montane dell'Ungheria, cioè responsabile delle miniere, con sede a Schemnitz (in slovacco Banská Štiavnica), dove, ancora alla fine del XIX secolo, era ricordato con il suo ritratto nell'ufficio del distretto. In questa veste il G. fu direttamente toccato dalla guerra, scoppiata con rinnovata violenza in quegli anni, durante la quale i Turchi avanzarono in profondità nella regione slovacca dei fiumi Váh, Nitra e Hron conquistando la città di Nitra e, nel settembre 1663, la fortezza di Nové Zámki. Il G. partecipò al conflitto con un contingente militare reclutato nelle città montane, composto da due (secondo Calvi quattro) compagnie, e diede un importante contributo allo sforzo che nel 1664 consentì all'armata imperiale di ricacciare parzialmente i Turchi dai territori conquistati.
Quando, nel gennaio 1664, il pascià di Levice (presso Nitra) diede inizio all'assedio della vicina San Benedetto, la guarnigione riuscì a tenere la piazza fino all'arrivo dei soccorsi al comando del Giovanelli. Il 2 maggio L.R. de Souches, il comandante delle truppe della coalizione imperiale stanziate tra il Danubio e il Tibisco, riconquistò Nitra. Nella città distrutta dal fuoco non trovò tuttavia scorte di cibo e la mancanza di mezzi costrinse a interrompere la campagna, finché, dopo venti giorni, il G. non assicurò il rifornimento dell'armata.
Il 13 giugno anche Levice fu ripresa e occupata con una piccola guarnigione. In seguito, però, i Turchi riunirono forze ingenti per la riconquista delle località perdute e il 19 luglio si giunse alla battaglia sul Hron, tra Levice e San Benedetto, nella quale Souches inflisse ai Turchi una cocente sconfitta. Il G., che in questa circostanza ebbe probabilmente la carica di quartiermastro generale, partecipò alla battaglia al comando di un reggimento di fanteria da lui stesso arruolato, composto da cento moschettieri, un numero imprecisato di cavalieri e dotato di quattro cannoni. Nella relazione all'imperatore Leopoldo I de Souches illustrò lo svolgimento della battaglia, elogiando particolarmente il contributo del contingente del G. e il suo personale valore.
Le truppe di Souches, provate dalla fatica della battaglia, non furono in grado di inseguire i nemici in rotta, mentre i soldati del G. incalzarono i fuggitivi conquistando un ricco bottino.
Come consigliere aulico e commissario imperiale per l'Ungheria Superiore, il G. fu impegnato anche nella repressione dell'opposizione confessionale e corporativa, formatasi nella cosiddetta congiura di Vesselény, che portò alla rivolta del 1670, ma non si hanno notizie sul suo operato in questo ambito.
Il G. acquisì proprietà e diritti feudali in patria, in Tirolo (Caldaro, Laimburg) e in Trentino. Nell'autunno 1666 ebbe occasione di accrescere notevolmente il suo prestigio, quando la sposa dell'imperatore Leopoldo I, l'infanta di Spagna Margherita Teresa, in viaggio verso Vienna attraverso l'Italia, percorse la Val d'Adige. Insieme con la baronia di Telva in Valsugana, il G. era feudatario di Castel Pietra, a nord di Rovereto, dove preparò la solenne accoglienza al corteo. Dal castello furono sparate salve di cannone; sulla strada, oltre a un arco di trionfo decorato da bassorilievi, furono allestiti alcuni padiglioni nei quali da due fontane sgorgava vino, e a tutta la corte vennero offerti raffinati rinfreschi.
Il 27 dic. 1668 il G. conseguì un importante innalzamento di rango. La Repubblica di Venezia, in difficoltà finanziarie per la guerra di Candia, concesse alla sua famiglia, in cambio della considerevole somma di 100.000 ducati (di cui 40.000 come prestito senza interessi), l'aggregazione al patriziato veneto. Il 29 settembre il Senato aveva già concesso alla famiglia, per l'acquisto di un latifondo nelle campagne, il titolo di conti di Morengo e Carpenedo.
Morengo, un paese di 650 anime tra Bergamo e Crema, privo di mura, era in condominio per la metà con il vescovo di Bergamo e i procuratori di S. Marco. Insieme con la distrutta Carpenedo (o Carneto), il G. aveva comperato la metà veneziana, nella quale ottenne anche la giurisdizione e il patronato sulla parrocchia, sempre in comunione con il vescovo. Nel 1672 il paese ebbe una nuova chiesa parrocchiale. Oltre a ciò il G. figurò tra i benefattori del convento di S. Carlo, a Gandino.
Nel 1673 il G. rivestì l'importante carica di commissario generale di guerra nell'esercito imperiale al comando di R. Montecuccoli, inviato contro l'armata francese penetrata in Renania al comando di H. Turenne. Il compito del G. era quello di provvedere al reperimento dei mezzi necessari alla paga e al rifornimento delle truppe. Il G. seguì l'armata che in agosto mosse dalla Boemia e, attraverso l'Alto Palatinato e la Franconia, giunse in Renania, dove, tra Andernach e Bonn, doveva congiungersi alle truppe provenienti dalle Province Unite.
Qui il G. si ammalò e morì a Limburg an der Lahn il 25 dic. 1673.
Le esequie furono officiate nella stessa città con grande pompa, alla presenza dell'arcivescovo elettore di Treviri e degli ufficiali imperiali di rango più elevato.
Il G. aveva sposato Letizia Zamboni. Nel 1678 i suoi figli subentrarono nel titolo comitale imperiale, ma la linea ungherese della famiglia, fondata dal G., si estinse nel 1727.
Fonti e Bibl.: G. Brusoni, Le campagne dell'Ungheria degl'anni 1663 e 1664, Venetia 1665, p. 112; Ortelius Continuatus, Das ist der ungarischen Kriegs-Empörungen fernere historische Beschreibung oder I Theil,… beschrieben… durch M. Meyer, Nürnberg-Frankfurt 1665, pp. 353 s.; G. Gualdo Priorato, Historia di Leopoldo Cesare, Vienna 1670-74, II, pp. 266-268, 435; III, p. 56; D. Calvi, Effemeride sagro profana di quanto di memorabile sia successo in Bergamo, Milano 1676, II, p. 69; III, p. 451; F. Wagner, Historia Leopoldi Magni Caesaris Augusti I, Augustae Vindelicorum 1719, p. 148; A. Tiraboschi, La famiglia G. de' Noris, Bergamo 1878, pp. 14 s., 18, 29, 33, 35, 38 s., 41; K. Peball, Die Schlachten bei Léva - St. Benedikt und St. Gotthard - Mogersdorf 1664, in Österreichische militärische Zeitschrift, 1964, pp. 258 s.; H. de Haan, Geschichte und Stammbaum eines Alt-Wiener Familienhauses, in Adler. Zeitschrift für Genealogie und Heraldik, XXI (1965), 7, pp. 50-53; A. Zorzi, Paläste in Venedig, München 1989, pp. 38, 178; F. Schröder, Repertorio genealogico delle famiglie… venete, I, Venezia 1830, p. 258; C. von Wurzbach, Biographisches Lexikon des Kaiserthums Österreich, V, Wien 1859, p. 192; J. Siebmacher, Wappenbuch, IV, n. 15, parte 1, Nürnberg 1885-94, p. 198; V. Spreti, Enc. storico-nobiliare italiana, III, pp. 469-471.