GESUALDO, Giovanni Andrea
Nacque nel 1496 a Traetto (oggi Minturno), nel golfo di Gaeta. Umanista e commentatore del Canzoniere petrarchesco, fu ammirato per l'ottima conoscenza delle lingue latina e greca, ma anche per la sua dottrina in materia di diritto.
Le notizie relative alla sua vita sono scarse e si fissano intorno agli anni di pubblicazione del suo commento (Il Petrarca colla spositione di misser G.A. Gesualdo, Venezia, G.A. Niccolini da Sabbio e fratelli, 1533). Fu legato da vincoli di parentela all'umanista A. Minturno, suo concittadino e maestro, come risulta da una lettera a lui indirizzata da quest'ultimo, in cui viene compianta la morte di Adornina Gesualdo, zia del Minturno e cognata del G. (A. Minturno, Lettere, l. VI, c. 30rv). Già trentenne, ottenne alcuni uffici presso Isabella d'Aragona nei suoi possedimenti in Abruzzo. Risalgono a questi anni l'amicizia con L. Almanni e gli inutili tentativi operati dal Minturno per fargli ottenere, con l'intercessione dei conti Pignatelli, incarichi più importanti nel Regno. Trasferitosi a Napoli, frequentò l'Accademia pontaniana, partecipando attivamente alle discussioni sulla lirica volgare, soprattutto petrarchesca, e seguendo gli insegnamenti del Minturno sulla natura della poesia e del linguaggio.
Il Petrarca…, commento monumentale al Canzoniere pubblicato nel luglio 1533, pone subito una complessa questione di datazione compositiva e di priorità rispetto ai coevi commenti petrarcheschi di S. Fausto da Longiano (Venezia, F. Bindoni - M. Pasini, 1532) e di Silvano da Venafro (Napoli, A. Iovino - M. Cancer, 1533). La lettera di G.B. Bacchini al Minturno posta a prefazione dell'opera denuncia infatti un fatale ritardo di pubblicazione (il commento può dirsi terminato già nel 1530, o addirittura nel 1529), attribuibile al lungo processo di revisione operato, e accusa velatamente il Fausto di aver letto e utilizzato il G. per il suo commento, servendosi di alcune copie manoscritte già circolanti. A rinforzo, il Minturno accusa Silvano da Venafro di appropriazione indebita nei confronti del G., non per via diretta, ma per mezzo di appunti-verbali redatti da alcuni allievi della sua scuola napoletana. È chiara la rivendicazione da parte del Minturno del suo ruolo di "maestro" e la sua scelta di autorizzare il solo G. a raccogliere gli atti delle disquisizioni petrarchesche in seno al suo cenacolo. Per questa ingerenza del Minturno nella vicenda editoriale della Spositione si è parlato di supervisione e di vera e propria "consulenza tecnica" (A. Quondam - G. Ferroni, La locuzione artificiosa…). In realtà, la cronologia della stesura gesualdiana può essere determinata con precisione: la prima redazione dell'opera, principiata negli anni 1523-24, può dirsi terminata nel 1525, limite del circolo culturale napoletano e soprattutto anno di pubblicazione del Commento di A. Vellutello. La divisione della materia del Canzoniere in tre parti, contro la tradizionale bipartizione, operata dal Vellutello e in seguito da numerosi altri commentatori cinquecenteschi, spinge il G. all'inevitabile confronto polemico e alla rivendicazione dell'ordinamento canonico aldino. Convinto che il Petrarca non raccolse mai i suoi componimenti in un corpus unico (e dunque sostenitore dell'autonomia tra cronologia interna ed esterna all'opera), il G. giustifica la sua fedeltà all'ordine vulgato con la volontà di non sconvolgere inutilmente la tradizione, sottolineando come la struttura dei Fragmenta ricordi più le raccolte innografiche ed elegiache classiche, prive di un ordine interno, che l'organismo simmetrico del poema. Nasce così la seconda redazione della Spositione, rivisitata alla luce dell'opera del Vellutello e terminata negli anni 1529-30, ma non immediatamente pubblicata: il manoscritto venne dapprima affidato all'editore veneziano M. Sessa e poi trasferito per intervento del tipografo T. Giunti, amico del Minturno, nella bottega del Niccolini da Sabbio. La scelta di Venezia, resasi necessaria per la diffusa crisi dell'editoria napoletana e per la ricerca di approvazione e di confronto con l'autorità letteraria veneta, fu la causa del lungo stallo editoriale, conclusosi solo dopo le numerose sollecitazioni del duca di Monteleone Ettore Pignatelli, viceré di Sicilia e protettore del Minturno, e la dichiarazione di conformità del manoscritto, emessa da P. Bembo e da F. Vallaresso.
Al di là dei risultati della disputa editoriale, il commento del G. ebbe maggiore fortuna dei lavori del Fausto e del Venafro - solo fino al 1852 se ne ebbero altre otto edizioni - ed è considerato come uno dei più ricchi e utili commenti cinquecenteschi al Canzoniere. Introdotto da una biografia del Petrarca con sezioni interne autonome, il commento prende il testo come occasione per affrontare questioni di diversa natura in forma di divagazione erudita, mettendo in campo le stesse discussioni intavolate intorno a passi petrarcheschi nell'accademia del Minturno. Nascono da qui l'ipertrofia e la prolissità tipiche dell'opera ("parto d'elephante" lo definì, ma con orgoglio di maestro, il Minturno), mentre frequenti sono i riferimenti a problemi filosofici e la tendenza didattica nell'esposizione: il volgare stesso è presentato in termini grammaticali, con continui richiami al greco (si vedano i riscontri lessicali ed etimologici), in una prospettiva tutta dilettantistica e sperimentale nello sforzo di adeguamento alla norma bembesca. Le scarse intuizioni critiche e considerazioni generali sulla lirica del Canzoniere (basate su una sostanziale identificazione, nel Petrarca, di poesia e filosofia) confermano la valenza del commento più per l'esegesi del testo che per la definizione critica della questione petrarchesca del sec. XVI.
Il G. fu rimatore encomiastico e d'occasione, seguace e imitatore della maniera del Petrarca. Suoi componimenti sono nelle Rime e versi in lode dell'illustriss.… donna Giovanna Castriota Carafa, Vico Equense, G. Cacchi, 1585.
Non si conosce la data della sua morte.
Fonti e Bibl.: A. Minturno, Lettere, Venezia 1549, l. IV, c. 69 e passim; l. VI, cc. 30rv, 119v-121r; F. Petrarca, Le Rime su gli originali, a cura di G. Carducci - S. Ferrari, Firenze 1899, p. XXVII; L. Baldacci, Il petrarchismo italiano nel Cinquecento, Padova 1974, pp. 55, 64-66, 68, 257; G. Belloni, Di un "parto d'elephante" per Petrarca. Il commento del G. al "Canzoniere", in Rinascimento, s. 2, XX (1980) pp. 359-381; A. Quondam - G. Ferroni, La locuzione artificiosa. Teoria ed esperienza della lirica a Napoli nell'età del manierismo, Roma 1973, pp. 42-47.