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CARAVAGGI, Giovanni Andrea

di Claudio Mutini - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 19 (1976)
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CARAVAGGI, Giovanni Andrea

Claudio Mutini

Nacque a Milano nel 1619 da famiglia nobile. Professo barnabita nel 1655, dopo aver compiuto regolari studi umanistici nelle scuole di S. Alessandro, fu preposto al collegio di S. Paolo a Roma dal 1656 al '59, di S. Carlino di Firenze (1659-1662), di Canepanova a Pavia (dal 1662 al '74 e dal '77 al 1680) e di S. Alessandro a Milano tra il 1674 e il 1677. Fu soprattutto adibito dall'Ordine come predicatore e in questa attività conquistò una tale rinomanza da essere lodato dal pontefice Innocenzo XI; additato come esempio di essenzialità e di efficacia, venne designato nell'ambito dell'Ordine come "vera norma e regola del Predicatore Apostolico", evidentemente in polemica con la complessa e troppo ricercata cifra stilistica della contemporanea oratoria sacra.

Del C. si possiede una Vita manoscritta di Francesco Pezzi (citata dal Boffito) che permette di enucleare qualche sommario dato sulla sua biografia. Tale documento ragguaglia sulla precocità della sua inclinazione all'oratoria, alla quale si dedicò interamente dopo il tradizionale tirocinio di apprendimento della teologia e delle sacre scritture. Impiegato ben presto nei cicli di prediche quaresimali, dava sfoggio di sapienza interpretando con acume i luoghi sacri proposti e offrendo all'auditorio l'esempio di una eloquenza trascinante, volta a suscitare vive emozioni più che la meraviglia per l'artificio letterario. L'acme del suo successo fu ottenuto a Vienna dove fu mandato come "concionator" presso l'imperatore Leopoldo I, il quale sembra che non mancasse di manifestare al barnabita segni concreti della propria stima. La medesima fonte ci dice che, colpito da pleurite durante un'esercitazione oratoria compiuta "in pomeridianis lectionibus", morì il 5 febbr. 1693. Nell'ultimo periodo della sua vita svolse l'attività di visitatore della Lombardia.

Come prova tangibile della sua devozione il collegio di S. Alessandro ne ebbe i "pulcherrima sacrarii armaria, et insignes Bibliothecae plutei... et magnificentissime erecta Templi fornix". Dopo la sua morte - conclude la biografia - videro la luce le sue prediche in occasione della quaresima, riunite in un unico libro, distinto in due tomi.

Si tratta delle Prediche quaresimali... Con discorsi del sabbato in lode della Beatissima Vergine, tomo primo (e secondo), Milano 1695. L'opera fu stampata da Carlo Antonio Malatesta a cura e per volere dei confratelli del collegio di S. Alessandro, come appare dalla epistola dedicatoria che venne premessa al secondo tomo.

Ciò che colpisce, ad una prima lettura di questa raccolta di testi, è lo scarto molto netto che il C. opera dai modelli più famosi della contemporanea oratoria sacra. Antigesuitismo e liquidazione dell'impianto retorico barocco costituiscono i due poli da cui muove l'esperienza letteraria del C., che doveva del resto supplire alla ostentata indifferenza verso i lenocini oratori tradizionali con una spiccata facoltà di improvvisatore con la forza e l'autorità della pronuncia. Tutto ciò ovviamente non può apparire nel testo a stampa, ma vi compaiono certe lacune significative (nei passaggi, nel logico espletamento di alcuni concetti) che non potevano essere sopperite se non ex improviso, per cui alcune prediche appaiono più come una serie di appunti (o di spunti per la narrazione) che non come organismi letterariamente sufficienti. Questo rende ancora più verosimile la semplicità dell'autore, la sua presunta indifferenza verso i valori formali, che tuttavia non supera mai il necessario richiamo a un ordinamento razionale della materia, a un equilibrio intrinseco che doveva apparire come immediatamente convincente al pubblico degli ascoltatori.

Ci troviamo, cioè, di fronte a quella ricerca della facilità (nei concetti, nei costrutti sintattici, finanche nella scelta del lessico) in cui poteva agevolmente incontrarsi l'inclinazione stilistica dell'autore e una nuova tecnica della convinzione che rientra storicamente nel terreno dell'Arcadia. Ciò non toglie nulla al C. al di fuori di una volontà antiletteraria che non si dà mai all'interno di un genere fortemente letteraturalizzato come l'oratoria sacra; inserisce soltanto l'attività del predicatore milanese in un piano fattivo di esperienze in cui egli seppe collocarsi con una notevole dose di capacità e con la possibilità di soluzioni anche originali.

Bibl.: F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, Mediolani 1745, col. 292; G. Boffito, Scrittori barnabiti, I, Firenze 1933, p. 411; A. Belloni, Il Seicento, Milano s.d., ad Indicem.

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