CAGNOLA, Giovanni Andrea
Milanese, nato intorno al 1432, compì presumibilmente studi giuridici e fu iscritto nel Collegio dei giurisperiti nel 1456.
Nel 1461 fu nominato fra i giurisperiti della Fabbrica del duomo e due anni dopo fu uno dei dottori di collegio della stessa Fabbrica. Al principio del 1464 esordì nella carriera diplomatica. Ebbe l'incarico di recare in visione a re Ferdinando la copia dell'accordo concluso il 22dic. 1463 da Francesco I Sforza con Luigi XI e la copia dell'atto con il quale il duca si riservava di non compiere alcuna azione che potesse risultare in pregiudizio della lega italica (Arch. di Stato di Milano, Sforzesco, Trattati, cart. 1529). Il 1ºdicembre dello stesso anno divenne avvocato fiscale. Poco dopo la pubblicazione, nell'aprile del 1468, della pace fra le potenze italiane che si erano scontrate quasi un anno prima (25 luglio 1467) alla Riccardina, Galeazzo Maria Sforza, successo al padre da poco più di due anni, inviò il C., insieme a Giovan Giacomo Ricci, come oratore al papa, al re Ferdinando, a Firenze, a Bologna ed a Siena. Dall'istruzione (Arch. di Stato di Milano, Sforzesco, Reg. duc.n. 13, c. 128) risultava chiaramente come il giovane duca avesse accettato malvolentieri la pace; gli ambasciatori, inviati a tutti gli alleati della recente guerra, dovevano a Firenze offrire il rinnovo della lega particolare. Nel luglio il C. fu tra i testimoni dell'atto notarile, con cui i procuratori della città di Pavia promettevano fedeltà a Bona di Savoia, divenuta nel maggio duchessa di Milano. Nel medesimo anno egli continuava la carriera amministrativa, divenendo funzionario delle Entrate straordinarie, e quella diplomatica, compiendo unaltra importante missione. Fu inviato infatti, insieme a Giovanni Grasso, presso Amedeo IX, o meglio presso Iolanda di Savoia, perché desistessero dalla guerra e dalle minacce nei confronti del ducato di Milano.
In effetti, nonostante la già citata recente pace, riaffioravano in quel momento, a causa anche delle scorrerie di Filippo di Bresse, i contrasti che vedevano la Savoia, insieme alla vecchia alleata Venezia ed alla nuova, la Borgogna, opposta al ducato di Milano, a sua volta affiancato e sostenuto da Firenze, dal re di Napoli e da Luigi XI. Il C. ricevette le istruzioni il 30 luglio ed il 6 agosto presentò ai duchi di Savoia la sua ambasciata. La sua missione sarebbe potuta essere un clamoroso fallimento, visto che nello stesso giorno fu proclamato un nuovo trattato di alleanza fra Venezia e la Savoia; ma poi le circostanze, se non l'abilità degli ambasciatori, evitarono la guerra e resero così attendibili le solite assicurazioni formali date dai duchi al C., dirette a scindere le loro responsabilità da quelle di Filippo di Savoia ed a presentare il ducato come deciso a mantenere la sua neutralità.
L'anno seguente il C. fu inviato a Roma. Era avvenuta il 30 agosto la battaglia che aveva visto l'esercito papale sconfitto ad opera dell'esercito delle tre potenze alleate, Milano, Firenze e Napoli. Fidando nella forza di persuasione esercitata da questo avvenimento sul papa, Galeazzo Maria cercò di indurre Paolo II alla pace inviandogli il 3 ottobre una lettera a mezzo del Cagnola. Ma non si erano ancora sviluppate le circostanze che potevano portare alla pace. Il 29 maggio del 1470 il C. ricevette il mandato per rinnovare l'alleanza del ducato di Milano con il re Ferdinando (Arch. di Stato di Milano, Sforzesco,Trattati, cart. 1535), e l'8 luglio firmava a Napoli una lega di venti anni fra il ducato sforzesco ed il Regno. Nell'agosto egli era ancora a Napoli e da lì comunicava a Galeazzo Maria non solo la grave notizia della caduta di Negroponte (12 luglio), ma anche le sempre più evidenti simpatie di Ferdinando per la Repubblica veneta e di conseguenza il suo completo allontanamento da ogni pensiero di guerra. Contemporaneamente, il 16 agosto, a Milano si redigeva il mandato per il C., che, con Giovanni Borromeo e Giovan Paolo Rizio, doveva ottenere la benedizione del papa per la lega milanese-napoletana dell'8 luglio (ibid.).Così, mentre Milano impetrava la benedizione papale e Napoli si avvicinava a Venezia, la situazione si rivelava matura per la pace, che infatti veniva solennemente stipulata a Roma il 25 dic. 1470. In questa occasione il C. fu tra i procuratori del duca di Milano.
Nel 1472, dopo essere entrato a far parte del Consiglio di giustizia dal 1º gennaio, si recò di nuovo a Napoli, come procuratore di Galeazzo Maria, insieme a Francesco Maletta, per stipulare il fidanzamento fra il primogenito del duca di Milano, Gian Galeazzo, ed Isabella d'Aragona, nipote di Ferdinando. Nello stesso tempo i due procuratori annullarono il fidanzamento, stretto nel 1455, di Sforza Maria Sforza, duca di Bari, fratello di Galeazzo Maria, con Eleonora d'Aragona, che divenne poi duchessa di Ferrara. La stipulazione di questi atti avvenne nel settembre. Cicco Simonetta annotava nei suoi Diarii il ritorno del C. a Pavia, da Roma, il 28 gennaio dell'anno successivo.
Subito dopo la stella del C. parve declinare, sia perché per alcuni anni non si ha notizia di sue attività diplomatiche o amministrative, sia perché nel settembre del 1474 Antonio Cicinello, oratore napoletano a Milano, impetrò dal duca che il C. fosse riammesso nel Consiglio di giustizia. Ciononostante non ritroviamo sue notizie se non dopo la morte di Galeazzo Maria. Immediatamente dopo questo avvenimento, infatti, il C. ricevette da Bona di Savoia, divenuta reggente, l'incarico di recarsi a Parma per sedare i tumulti esplosi nella città, col mandato di far restituire i beni ai danneggiati dalla rivolta e di indurre alla riappacificazione le fazioni locali. Nell'ottobre si recò a Roma, come inviato ducale, insieme al vescovo di Parma.
Nei primi mesi del 1478 ebbe un'intensa attività politico-giuridica, essendo stato prima designato a dirimere questioni testamentarie sorte fra gli eredi di Angelo Simonetta, incaricato poi di dare un giudizio sulla pretesa del duca di Ferrara su Castronovo di Tortona e quindi anche di esaminare le richieste presentate alla reggente dalla città di Pavia. Nominato ambasciatore nel giugno, fu inviato nel novembre in Francia. Il momento era critico. Avvenuta la congiura dei Pazzi e la rivolta di Genova, iniziata la guerra in Toscana, irrequieti i fratelli del morto duca, attaccato dagli Svizzeri il ducato, si sospettava anche un avvicinamento fra Luigi XI ed il re Ferdinando, a causa del fidanzamento del principe di Taranto con Anna di Savoia. Il C. ottenne dal re un intervento ufficioso presso gli Svizzeri, perché desistessero dal loro attacco. Era ancora in Francia quando avvenne il ritorno del Moro a Milano. Il C. fu dapprima forse un po' esitante, anche se, come imponeva la prudenza, cauto e beneaugurante. Ma già il 4 ott. 1479 mise da parte ogni incertezza e, ossequiente ai detentori del potere, dichiarò in una lettera ai duchi, oltre che i suoi sentimenti di fedeltà, anche la soddisfazione del re di Francia. Il sovrano francese intanto si adoperava per far cessare la guerra fra gli Stati italiani. La situazione si era andata evolvendo in questa direzione ed infatti nel marzo dell'80 Lodovico Sforza concludeva la pace con il papa e ratificava quella con gli Svizzeri.
Il C. tornò dalla Francia nel giugno di quell'anno e nel dicembre fu eletto commissario e governatore di Parma e consigliere del Consiglio segreto. Nel 1488 fu membro di una commissione che doveva esaminare e dare un parere sull'atteggiamento del re di Napoli rispetto al papa ed alle altre potenze della penisola. Si occupava anche di questioni interne al ducato. Nello stesso anno fu infatti delegato ad esaminare alcune richieste dei molossari. Due anni piùtardi era incaricato di vagliare le rivendicazioni dei marchesi di Ceva. Considerato esperto non solo nelle cose napoletane, ma anche in quelle tedesche, nel 1498 fu chiamato a dare un giudizio su alcune richieste fatte dagli Svizzeri.
Nel settembie del 1499 il Consiglio di reggenza, lasciato al governo dal Moro, che aveva abbandonato Milano incalzato dalle vittorie dell'esercito francese, elesse il C. fra i suoi membri, annoverandolo fra i cittadini considerati di "partito guelfo". Nel breve periodo del ritorno dello Sforza a Milano il C. fu deputato alle Finanze, e fa uno dei dodici eletti al governo della città mentre incombeva l'avanzata francese. Immediatamente dopo la definitiva caduta di Lodovico il Moro, il C. subì un breve periodo di prigionia. Successivamente egli fece parte del nuovo Senato.
Morì il 26luglio 1507 e venne sepolto nella chiesa milanese di S. Maria delle Grazie.
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