BRAGADIN, Giovanni Alvise
Figlio di Marco di Giovanni Alvise e di Adriana Bembo, era nato a Venezia il 1º genn. 1516 in una di quelle famiglie patrizie di media condizione, i cui membri erano soliti cercare le proprie occasioni di guadagno e di ascesa sociale nelle magistrature giudiziarie e sul mare, spesso alternando al comando navale l'esercizio di modesti commerci. Entro queste linee si era svolta la vita pubblica del padre e dei fratelli, tra i quali va annoverato Marcantonio, l'eroico difensore di Famagosta, ed anche il B. in età giovanile aveva abbracciato la carriera marinara, giungendo nell'armata al grado di sopracomito.
A quarant'anni, nel 1556, il B. cominciò la sua attività politica con l'elezione ad "esecutore" del magistrato alle Acque. In quello stesso anno, in occasione dell'ascesa al seggio ducale di Lorenzo Priuli, lo troviamo tra i nove elettori dei quarantacinque, in una fase cioè del complicato meccanismo elettorale da cui scaturiva la designazione del nuovo doge. Nel 1557 fu provveditore di Comun, due anni dopo entrò nella Zonta del Senato, nel 1560 era del Collegio dei venti savi, e nel 1561 divenne senatore ordinario. Nel 1569 era sopra gli atti dei sopragastaldi. Difficilmente la sua carriera politica l'avrebbe portato oltre queste magistrature giudiziarie e cariche di modesta importanza, se il glorioso sacrificio del fratello Marcantonio non avesse illustrato il nome del casato e sollecitato verso di esso la riconoscenza della Repubblica.
Così il B., che già nel maggio del 1570 era stato tra i quarantuno elettori del doge Alvise Mocenigo, fu chiamato nel 1571 a far parte del Consiglio dei dieci e del magistrato dei governatori delle Entrate. L'anno seguente divenne consigliere ducale per il sestiere di S. Polo, e fu anche tra i concorrenti alla procuratia di S. Marco nel primo ballottaggio. Eletto sopraprovveditore alla Sanità, dall'ottobre 1575 al luglio 1576 si prodigò con abnegazione per fronteggiare la pestilenza scoppiata in quel tempo, guadagnandosi la riconoscenza del patriziato, che lo elesse ancora consigliere ducale, e quando nel 1576 dovette nominare un nuovo procuratore di S. Marco, fece convergere tanti suffragi sul suo nome nel primo scrutinio, che per soli due voti non lo incluse nella rosa dei primi quattro destinati al ballottaggio finale. Molti prevedevano la sua riuscita in una prossima occasione, ma la morte lo colse pochi mesi dopo, nel dicembre del 1576, forse per peste.
Il 3 agosto aveva vergato con mano malcerta il suo testamento, drammatica testimonianza di quel tragico anno di pestilenza, sano di mente e di corpo, "se ben sequestrato in casa per esser sta conduto al lazareto uno servitor mi serviva et stantiava fuora di casa". Lasciava tutti i suoi beni, tra cui la villa di Terrassa nel Padovano, in libero possesso al fratello Antonio, e dopo la sua morte ciò che sarebbe rimasto ai quattro nipoti figli dell'altro fratello Marcantonio, concedendo però ad Antonio la facoltà di diseredarli: "il che facio - spiegava - atiò i siano obedienti et in tuto obsequenti et vivano principalmente con il timor di Dio con animo e opera di dover giovar alla patria con posibil modo et ilustrar casa sua come per gratia del omnipotente Idio ha fato il padre suo cusì gloriosamente, et nui altri quello habiamo potuto per li effetti sopradeti importantissimi...". La religione, la Repubblica e l'onore della famiglia erano stati gli ideali della sua vita, all'unisono con la coscienza della nobiltà veneziana del suo tempo.Il suo corpo veniva sepolto, per suo esplicito desiderio senza alcuna pompa, nelle arche dei suoi maggiori a S. Gregorio.
Fonti eBibl.: Arch. di Stato di Venezia, M. Barbaro, Arbori de' patritii veneti, II, p. 142; Ibid., Sez. notarile, Testamenti C. Ziliol, b. 1259, n. 557; Venezia, Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio, I, p. 106; E.A. Cicogna, Delle Inscrizioni Veneziane, I, Venezia 1824, p. 263; A. Morosini, Historia veneta, Venezia 1623, XII, p. 489; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, VI, Venezia 1914, p. 348.