MONTEFELTRO, Giovanna di
MONTEFELTRO, Giovanna di. – Nacque a Urbino nel 1463 da Federico, duca di Urbino, e dalla sua seconda moglie Battista Sforza, figlia di Alessandro, signore di Pesaro, e di Costanza da Varano.
L’unione dei genitori di Giovanna, celebrata il 13 novembre 1460, aveva rafforzato i vincoli già stretti tra gli Sforza e i Montefeltro, rispondendo pienamente a quella politica dell’equilibrio che caratterizzava gli Stati italiani, sebbene alla fine del Quattrocento non fosse più sufficiente a garantire la pace. Battista dette al marito otto figlie, di cui soltanto sei sopravvissero: Elisabetta (promessa in sposa nel 1471 a Roberto Malatesta, signore di Pesaro, che sposò nel 1475), Giovanna, Agnese (sposa, entro il 1490, di Fabrizio Colonna, il cui figlio Ascanio avrebbe in seguito avanzato rivendicazioni sull’eredità feltresca), Costanza (moglie di Antonello di Sanseverino, principe di Salerno), Girolama (morta nel 1482) e Aura. Il 24 gennaio 1472 Battista dette alla luce l’agognato maschio, battezzato Guidubaldo, e il 7 luglio morì.
Giovanna, insieme con le sorelle e una sorellastra Gentile, visse a corte con la madre almeno fino al 1472. Battista fu accanto alle figlie in diverse occasioni pubbliche e di svago, come hanno descritto a più riprese i cronachisti, e prestò grande cura alla loro educazione, riproducendo probabilmente il modello che era stato applicato per lei prima alla corte di Pesaro e poi nei soggiorni alla corte milanese dello zio, Francesco Sforza. Le ragazze vivevano in una parte separata del palazzo con le loro dame di compagnia, tenute in disparte dal nucleo maschile della corte. Gli unici autorizzati a varcare la soglia erano Federico, Ottaviano Ubaldini della Carda (nipote di Federico, figlio della sorellastra Aura) e il figlio di quest’ultimo. Alla morte di Battista la cura delle figlie di Federico fu affidata a Ubaldini: da un manoscritto del 1476 si sa che in quell’anno il precettore di Antonio, di Guidubaldo, di Gentile e di Giovanna era Lilio Tifernate di Città di Castello. Nell’agosto del 1474 il papa Sisto IV Della Rovere nominò Federico gonfaloniere della Chiesa e lo investì del titolo ducale, che in realtà aveva ottenuto il 23 marzo. Nel maggio di quell’anno, in concomitanza con una visita di Federico a Roma, furono avviate le trattative matrimoniali per la conclusione dell’alleanza tra Giovanni Della Rovere, nipote di Sisto IV, e Giovanna, allora neanche undicenne.
La prospettiva di un tale matrimonio era perfettamente consona alla politica nepotistica di Sisto IV e andava a completare una trama di alleanze matrimoniali della famiglia papale che giungeva fino a Milano, dove Girolamo Riario, cugino di Giovanni, prese in moglie la figlia naturale di Galeazzo Maria, Caterina, e a Napoli, dove Leonardo Della Rovere sposò una figlia naturale del re Ferdinando I. I negoziati per la conclusione di questa alleanza non furono però facili. Federico godeva in quel momento di un enorme prestigio in Italia, essendo il comandante della Lega italica costituita dopo la pace di Lodi. Nel 1474 sarebbe scaduta la sua condotta e tutte le potenze tentavano di accaparrarsi i suoi servizi. Il Papato poteva vantare una posizione di vantaggio in questa contesa, giacché Federico era il vicario della Chiesa per il territorio urbinate; ma, nel corso dei pontificati di Pio II e Paolo II, Federico aveva dimostrato apertamente di poter sfidare la volontà dei papi. A vantaggio del pontefice pesava, però, il fatto che di essere l’unico a poter concedere a Federico il titolo di duca, cui aspirava fin dal 1444. L’ambizione al titolo dovette probabilmente essere determinante nella conclusione della trattativa. L’assedio di Città di Castello e l’impresa affidata a Federico contro Niccolò Vitelli erano poi destinate a sciogliere le opposizioni dei cardinali.
Giovanna venne promessa a Giovanni Della Rovere il 10 ottobre 1474. Portò in dote Senigallia − che era stata fino al 1462 sotto la signoria malatestiana e poi, per due anni, nelle mani di Antonio, nipote di Pio II Piccolomini − e Mondavio: Giovanni venne investito dei due vicariati il 12 ottobre con una bolla siglata da tutti i cardinali, dietro il pagamento di un censo annuo. La concessione del «principato» a Della Rovere fu motivata col fatto che una fanciulla «ex Principe nata Principatu careret» (Platina). Il passaggio di Senigallia ai Rovereschi non dispiaceva a Federico, il quale acquisiva così il controllo sul territorio dei Malatesta e otteneva uno sbocco al mare. In attesa delle nozze, celebrate solo nel 1478, Giovanni fu affidato al futuro suocero per apprendere il redditizio mestiere delle armi. Nel 1478, infatti, iniziò la campagna di Federico, a capo della forze ecclesiastiche e napoletane, contro Firenze e Giovanni Della Rovere vi partecipò rimanendovi ferito.
Il 26 aprile 1479 Giovanni portò Giovanna a Senigallia e, forse con un cerimoniale simile a quello seguito per l’entrata a Urbino di sua madre, le furono tributati solenni festeggiamenti. Nel gennaio 1482 la coppia fu invitata da Sisto IV a trasferirsi a Roma, dove fu donato loro, sempre dal papa, un palazzetto in città: si trattava probabilmente del palazzo presso S. Pietro in Vincoli ceduto dal cardinale Giuliano Della Rovere a Leonardo come sede della prefettura.
Federico era ancora in bilico tra Napoli e Roma; nella guerra che scoppiò tra Venezia e Ferrara nel 1482 dovette prendere posizione e si schierò con gli Aragonesi. In quella guerra Giovanni Della Rovere combatté nell’esercito pontificio dalla parte opposta del suocero. Nel corso della campagna, funestata anche da una epidemia tra le truppe, Federico trovò asilo presso il convento ferrarese dove, assistito dalla sorella Violante, morì il 10 settembre 1482. Nel 1483 anche Giovanni Della Rovere si ammalò; era ancora malato quando Sisto IV morì e tornò a Roma solo dopo l’elezione di Innocenzo VIII, un papa con il quale egli e suo fratello, il cardinal Giuliano, ancora potente e influente, mantennero buoni rapporti. Infatti alla fine di novembre Giovanni fu nominato dal nuovo papa capitano delle milizie pontificie. Combatté poi, sotto il comando di Roberto Sanseverino, nella guerra contro Ferdinando d’Aragona scatenata dalla ribellione dei baroni napoletani. Alla conclusione del conflitto, nel 1486, Giovanni dovette rientrare in possesso del Ducato di Sora che gli era stato confiscato dall’Aragona. Dall’estate del 1488 ottenne una remunerativa condotta dalla Serenissima. L’elezione del nuovo papa, Alessandro VI Borgia, nel 1492, non sarebbe stata altrettanto proficua ai Della Rovere. La contrapposizione tra Giuliano Della Rovere, filofrancese, e il nuovo papa fu manifesta e duratura.
Come già era avvenuto a Urbino quando era bambina, Giovanna assistette alla realizzazione di imponenti opere architettoniche a Senigallia, in una città che godette dei benefici di una sempre più fiorente attività commerciale. Negli anni Novanta il marito fu al servizio di Venezia, ma trascorse sicuramente lunghi periodi a Senigallia, dove fece redigere il catasto dei possedimenti dei privati e delle chiese della città.
Nel 1482 Giovanna diede alla luce Maria (promessa alla nascita a Ottaviano Riario, ma poi sposa di Venanzio da Varano) e un anno dopo Geronima, morta nel 1501. Ci furono sicuramente altre due figlie, di cui non è possibile stabilire la data di nascita: Deodata, che visse e morì nel monastero di S. Chiara a Urbino, e Costanza, che morì in occasione di una visita a Roma a papa Giulio II, quindi tra il 1503 e il 1513. Il 7 luglio 1484 la coppia perse un bambino, a cui era stato imposto il nome di Federico. Infine il 25 marzo 1490 nacque Francesco Maria, l’unico maschio che giunse all’età adulta e che diventò duca d’Urbino. Per ringraziare Dio della nascita di questo figlio, Giovanni Della Rovere fece costruire la chiesa e il convento di S. Maria delle Grazie.
Nel 1498 Venezia aveva ripreso le trattative per riavere Giovanni Della Rovere al suo soldo: nel maggio di quell’anno Giovanna, insieme con la sorellastra Gentile, vedova di Agostino Fregoso, si recò a Padova e a Venezia. Nel 1499 Luigi XII propose Giovanni come capitano generale dei Fiorentini. Egli tuttavia cominciava a non godere di perfetta salute e trascorreva sempre più tempo a Senigallia, dove morì il 6 novembre 1501.
Secondo il testamento redatto da Giovanni il 20 gennaio 1495, se Giovanna avesse conservato «l’abito vedovile» avrebbe retto i vicariati fino al compimento del sedicesimo anno di Francesco Maria. Già nei lunghi periodi di assenza del marito, ella aveva potuto contare sul sostegno di Angelo Orlandi, cui Giovanni affidava lo Stato in sua assenza. ora, alla morte del marito, resse con mano salda Senigallia, assistita da Andrea Doria che era uno dei tutori di Francesco Maria. Al figlio trasmise quella trama di influenza politica che aveva tessuto nel concreto esercizio di governo dello Stato. Per il bambino, che allora aveva undici anni, si decise però una formazione presso lo zio Guidubaldo, alla corte di Urbino. La scelta di trasferire qui Francesco Maria non era casuale: Giovanni e Giovanna avevano mantenuto i contatti culturali con la corte urbinate.
Giovanna aveva commissionato a Giovanni Santi, allora a Urbino, un quadro con l’Annunciazione (M. Giannatiempo Lopez, in Raffaello e Urbino…, 2009, p. 126) e in seguito conservò i rapporti con il più celebre figlio, Raffaello, come testimonia la lettera del 1° ottobre 1504, con la quale lo presentò a Piero Soderini, gonfaloniere di Firenze (Mochi onori, ibid., p. 23). Poco prima gli aveva probabilmente ordinato un dipinto su tavola con S. Michele per celebrare l’elezione di Francesco Maria all’ordine sovrano francese di San Michele (D. Diotallevi, ibid., p. 178). Nel 1508 Raffaello eseguì ancora su commissione di Giovanna un dipinto della Madonna per un altare della chiesa di S. Maria delle Grazie a Senigallia. Forse fece anche un ritratto della sua mecenate: secondo alcuni critici, la fisionomia del suo volto si dovrebbe rintracciare nel quadro La muta, realizzato tra il 1507 e il 1508 (Dussler, 1971).
Nell’estate del 1502 Cesare Borgia si diresse con le sue armate contro il Ducato di Urbino, costringendo alla fuga Guidubaldo e Francesco Maria, dopo aver preso Camerino. Il giovane Della Rovere ebbe asilo presso lo zio paterno, il cardinale Giuliano. Giovanna, invece, si trovava a Senigallia quando il Valentino, occupata la città il 31 dicembre, scatenò la rappresaglia per vendicarsi della congiura di Magione. Coll’elezione al soglio pontificio di Giulio II, Francesco Maria fece rientro dalla Francia, dove aveva nel frattempo riparato, e, come già era accaduto per suo padre con Sisto IV, fu rapidamente impiegato dal papa nella politica roveresca volta ad allargare le aree di influenza presso le altre dinastie della penisola. Guidubaldo, inoltre, privo di prole e impossibilitato ad averne perché impotente, decise di adottare il nipote il 18 settembre 1504. Di lì a quattro anni la morte di Guidubaldo a Fossombrone, l’11 aprile 1508, rese Francesco Maria duca di Urbino e, nello stesso tempo, signore di Senigallia, con il controllo di un consistente territorio e per di più con uno zio papa.
Giovanna era tornata a ricoprire un ruolo pubblico a Roma già dopo la morte del Borgia. Nel 1510 presenziò alle celebrazioni per le nozze del figlio con Eleonora Gonzaga, figlia del marchese di Mantova, concluse per procura nel 1505. I festeggiamenti, che coincisero anche con il carnevale, la videro assistere ai giochi pubblici di Agone accompagnata dalla cognata e zia della sposa Elisabetta Gonzaga, mentre Eleonora Gonzaga intervenne insieme con la gentildonna romana Laura Orsini. Venne poi organizzato un banchetto al palazzo apostolico con il papa, otto cardinali e alcuni tra i più illustri esponenti dell’antica aristocrazia capitolina.
Pochi mesi dopo i festeggiamenti per le nozze, Francesco Maria ripartì per la guerra contro la Francia e Alfonso d’Este. I gravi dissidi tra Della Rovere e il cardinale Francesco Alidosi aprirono le porte ai francesi. L’ira del papa per l’esito della guerra non sopì le divergenze tra i due, tanto che, il 24 maggio 1511, Francesco Maria uccise l’Alidosi. Dopo l’omicidio si rifugiò nelle sue terre a Urbino. Chiamato in giudizio nell’estate successiva a Roma, fu assolto e reintegrato nella titolarità ducale che gli era stata nel frattempo sottratta. A quest’assoluzione non fu estranea Giovanna, la quale aveva intercesso per il figlio presso il papa. Prima di morire, il 20 febbraio 1513, Giulio II riuscì a concedere al nipote la signoria di Pesaro.
Giovanna morì a Urbino nel 1514.
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