VERRUA, Giovanna Battista Scaglia
di. – Jeanne Baptiste d’Albert de Luynes nacque a Parigi il 18 gennaio 1670, figlia del duca Louis-Charles (1620-1690), grand fauconnier de France, e della sua seconda moglie Anne de Rohan-Montbazon (1640-1684). Fu battezzata il 21 gennaio nella chiesa di S. Sulpice, avendo come padrino di battesimo Jean-Baptiste Colbert, da cui prese il nome, e come madrina Anne-Julie de Rohan-Chabot, principessa di Soubise.
Educata a Port-Royal, fece il suo debutto alla corte di Luigi XIV, da poco trasferitosi a Versailles, nella primavera del 1683. Qui conobbe il sedicenne conte Augusto Manfredi Scaglia di Verrua (1667-1704), unico figlio maschio del conte Alessandro Gherardo, primo scudiero del duca di Savoia, e di Marie Angélique de Disimieux (m. 1695), dama d’onore della duchessa, sposatisi nel 1664. Egli era inoltre nipote dell’allora ambasciatore sabaudo in Francia, l’abate Augusto Filiberto. Nonostante fosse appena tredicenne, i due si sposarono il 25 agosto 1683. Le nozze furono subito consumate e il 3 maggio 1684 nacque a Chambéry Maria Anna (morta nel1745).
Giunta nella capitale sabauda il 5 ottobre, alla fine del mese fu presentata a Vittorio Amedeo II, al castello di Moncalieri. L’ingresso ufficiale a corte avvenne due mesi dopo al Palazzo Reale di Torino. Fra il 1684 e il 1688 la vita della giovane coppia trascorse tranquilla, segnata dalla nascita di due nuovi figli: Maria Angelica (1685-1754) e Giuseppe Vittorio Amedeo (1686-1707). Mentre Verrua viveva nel palazzo di famiglia, sotto la tutela della suocera, rigida e autoritaria, con cui i rapporti si rivelarono subito difficili, il conte, gentiluomo di Camera del duca e colonnello dei dragoni blu di Savoia, era impegnato nelle campagne contro i valdesi.
La svolta nella vita della coppia avvenne nel gennaio del 1688. Il duca, infatti, si era invaghito della diciottenne contessa, iniziando a chiamarla sempre più spesso a corte, con l’evidente intenzione di farne la sua nuova amante. Verrua si oppose a tali avances, cercando l’appoggio della suocera e dell’abate Augusto Filiberto. La reazione degli Scaglia, però, fu ambigua. Pur mettendola in guardia, infatti, essi non vollero allontanarla dal duca. Per l’abate, in fondo, se Verrua avesse saputo muoversi con la discrezione del caso, la situazione sarebbe potuta risultare meno negativa di quanto sembrasse.
Nel maggio del 1688, non è chiaro se per sua volontà o su spinta dello stesso duca, il conte Manfredi andò in Ungheria per partecipare alla guerra contro i Turchi. Verrua, incinta del quarto figlio, era intenzionata a resistere. Si rivolse, allora, al padre. In estate si recò a Bourbonne-les-Bains, in Francia, con la scusa di sfruttarne le acque termali. Qui raccontò al padre cosa stava capitando, lamentando il comportamento dell’abate e della suocera, e chiedendo di poter tornare con lui a Parigi, dove sarebbe stata poi raggiunta dal marito e dai figli. Il duca di Luynes era d’accordo, ma l’abate, che l’aveva accompagnata, si oppose. Dietro a tale atteggiamento era sia la paura per la reazione del duca sia la sua stessa ambizione verso la giovane nipote.
Intorno al 20 novembre anche il conte di Verrua rientrò dall’Ungheria, in tempo per assistere alla nascita del suo quarto figlio: Carlo Augusto (1688-1706). Influenzato dallo zio, il conte rifiutò di vedere quanto stava accadendo. Lasciata sola, la contessa Verrua decise allora di cedere. Louis de Rouvroy de Saint-Simon (1829) scrisse che, tornata a Torino, ella «souffrit encore quelque temps, mais la vertu cèdant enfin à la démence et aux mauvais traitements domestiques, elle écouta enfin Mr. de Savoie, et se livra à lui pour se délivrer de persécutions» (II, p. 482).
Nella primavera del 1689, Vittorio Amedeo II organizzò un viaggio a Nizza per sé e per la duchessa Anna. Nominò quindi Verrua dama d’onore della moglie, così che potesse seguirli nel viaggio. Il conte, anch’egli invitato, si diede inizialmente malato. La raggiunse successivamente, ma solo per far presto rientro a Torino. Gli Scaglia cercarono allora di convincere l’ambasciatore di Francia a intervenire presso Vittorio Amedeo II, ma senza successo. Al suo ritorno in città, all’inizio di agosto, Verrua era incinta del duca. La notte fra il 9 e il 10 agosto lasciò palazzo Scaglia e si trasferì in un convento. La rottura con gli Scaglia era consumata, ufficialmente per il comportamento del marito verso di lei. Il duca giunse a imporre a questi di darle una cospicua pensione annua come risarcimento per i suoi maltrattamenti. All’inizio del 1690 (Avogadro di Vigliano, 1954, scrive il 29 gennaio; Litta, 1844, il 9 febbraio) Verrua partorì Vittoria Francesca (m. 1766). Per gli Scaglia la situazione era ormai intollerabile. In novembre il conte, con i figli e la madre, lasciavano Torino e si trasferivano a Parigi. Qui, grazie all’intervento del cognato, Charles Honoré d’Albert de Luynes, duca di Chevreuse, il conte fu accolto nell’esercito francese, come colonnello dei dragoni del re.
Il 21 gennaio 1691 il duca nominò Verrua dame d’atours della duchessa di Savoia, consentendole così di vivere a corte. A Versailles ciò fu letto come una mortification della duchessa (de Courcillon de Dangeau, 1830, II, p. 368). Quello stesso anno, la giovane s’ammalò seriamente. Si diffuse la voce che fosse stata avvelenata, ma in realtà si trattava di una forma di vaiolo. Nonostante il rischio, il duca passò gran parte del tempo della malattia accanto a lei, attestando così la forza del legame che in quel momento li univa. Nel 1692 nacque una seconda figlia, morta poco dopo, e il 10 dicembre 1694 Vittorio Francesco (m. 1762), unico loro figlio maschio. Il 5 marzo 1695 il duca fece battezzare i due figli avuti con Verrua.
La cerimonia fu officiata dall’arcivescovo di Torino Michele Antonio Vibò. Padrino e madrina di Vittorio Francesco furono il marchese Carlo Giuseppe Carron di San Tomaso, primo segretario di Stato, e la marchesa di Dronero, Teresa Mesmes de Marolles (che in giovinezza era stata amante di Carlo Emanuele II); per Vittoria Francesca, invece, furono Filiberto d’Este, marchese di Dronero, gran ciambellano (sua madre era Margherita di Savoia, figlia naturale di Carlo Emanuele I), e la marchesa di San Tommaso, Paola Roero di Guarene, dama d’onore della duchessa.
Poco dopo, il duca decise di permettere a Verrua un viaggio a St. Moritz, le cui acque si sperava potessero far bene alla sua salute. A tal scopo le approntò una vera e propria corte, guidata dal conte Maurizio Robbio di Montemarzo, maggiordomo del duca (che informava puntualmente di quanto accadeva). Il viaggio fu ripetuto nel 1696. Terminata la guerra, Verrua e il marito regolarono i loro rapporti, così il loro primogenito poté tornare in patria e servire nelle armate del duca.
Con il passare degli anni, Verrua sentiva sempre più la permanenza a Torino come una gabbia dorata. In una lettera del 1697 confessava di scrivere dalla sua «chaise percée», tanto era osservata (de Léris, 1881, p. 126). Iniziò, quindi, a pensare di tornare in Francia. Per farlo, però, avrebbe dovuto riprendere buoni rapporti con Versailles. Si legò quindi a René de Froulay, conte di Tessé, tramite il quale dal febbraio del 1697 iniziò un carteggio segreto con Luigi XIV. Fu solo nell’ottobre del 1700, comunque, che grazie all’aiuto del fratello, Verrua poté lasciare di nascosto Torino, dopo aver inviato in Francia, nelle settimane precedenti, parte delle sue ricchezze. A Vittorio Amedeo II non restò che fare buon viso a cattivo gioco, scrivendo al conte Carlo Emanuele Balbis di Vernone, suo ambasciatore in Francia, di raccomandarla presso Luigi XIV e di offrirle l’assistenza di cui avesse avuto bisogno. Egli decise inoltre di legittimare i figli nati dalla loro relazione, cosa che avvenne il 14 luglio 1701, quando diede loro i titoli di marchese e marchesa di Susa e un appannaggio di 50.000 lire di Piemonte ciascuno.
Nel frattempo, Verrua, stabilitasi inizialmente al castello di Dampierre, abitazione del fratello, dopo meno di un mese si era trasferita, per volontà della famiglia, nel convento di Poissy, a Saint-Germain, vicino a Parigi. Avrebbe voluto fissare la sua abitazione nella capitale, ma il conte di Verrua, che era restato al servizio francese, non era disponibile ad averla nei pressi di Parigi, se non a prezzo di un accordo che avrebbe impedito alla moglie di presentarsi in società. Si sarebbe trattato, in pratica, di vivere quasi da reclusa. Nel 1701 i de Luynes riuscirono a farla trasferire in un convento di monache benedettine della capitale, Notre-Dame de Consolation, in rue du Cherche-Midi. Qui Verrua poté disporre di un vero e proprio palazzo, interno al convento, ma aperto anche sulla strada. Il conte accettò, ma chiese che le finestre sulla strada fossero chiuse da un’inferriata. Nel maggio del 1702 i conti di Verrua trovarono finalmente un accordo economico.
Il 7 luglio 1703 il conte di Verrua acquistò per 20.000 lire dal maresciallo Claude-Louis-Hector de Villars la carica di commissario generale della cavalleria, insieme al titolo di brigadiere di cavalleria. Egli andò quindi a servire nelle Fiandre, con l’armata del maresciallo François de Neufville duca di Villeroy. Il 13 agosto 1704, a trentasette anni, fu ucciso nella battaglia di Hochstadt. La trentaquattrenne Verrua era così libera ormai da ogni legame. Le restavano certo i figli avuti con marito, ma le figlie erano monache, mentre i figli maschi morirono presto.
A Parigi viveva Carlo Augusto, il secondogenito, che usava il nome di Mr. de Desimieux e alla fine del 1704 ottenne dal re una pensione di 1000 scudi. Aveva appena iniziato a farsi notare nel mestiere delle armi, quando morì nel luglio del 1706 per una malattia. Il primogenito morì, invece, l’anno dopo, nel 1707, per una caduta da cavallo mentre era accanto a Vittorio Amedeo II, al cui servizio era rimasto con la speranza di restaurare in Piemonte le sorti della casa.
Verrua, che già nel 1703 aveva acquistato una villa a Meudon, fece del suo palazzo di rue du Cherche-Midi (ormai senza più inferriate alle finestre) la sede di un salotto, in cui riunì scrittori, artisti e filosofi. Nel 1719 fu raggiunta a Parigi dalla figlia Vittoria Francesca, divenuta nel frattempo principessa di Carignano, e dalla sua famiglia.
Il 7 novembre 1714 Vittoria Francesca aveva sposato Vittorio di Savoia, terzo principe di Carignano (1690-1741). Uomo intelligente, ma dedito al gioco, nel giugno del 1718 era scappato a Parigi per gli ingenti debiti. Nella capitale francese fu raggiunto dalla moglie e dalla figlia Anna Teresa (1717-1745). Nel 1720 riaprì l’Hotel de Soissons, antico palazzo di famiglia, e qui nacque Luigi Vittorio (1721-1778), suo unico figlio maschio e IV principe di Carignano.
Nel 1721 Verrua acquistò un palazzo accanto a quello in cui viveva. Raffinata collezionista, vi raccolse una vasta biblioteca e una quadreria che divenne presto una delle più celebri e importanti di Francia, soprattutto per le opere di scuola fiamminga.
Morì a Parigi il 18 novembre 1736 e fu sepolta a Saint-Sulpice.
Dei quattro figli avuti dal marito, scomparsi i maschi, restavano le due figlie monache. Maria Angelica era dal 1730 badessa nel convento di S. Chiara a Vienne, nel Delfinato. Nel 1736 si trasferì a Parigi, dove divenne badessa del convento aux bois, in rue de Sevres. Alla sua morte, la carica passò alla sorella minore Maria Anna (che dal 1725 era stata badessa di un convento di clarisse a Cäen). Il marchese di Susa ebbe una vita nel complesso di secondo piano e, sposatosi in tarda età, morì senza discendenti. Vittoria Francesca continuò a vivere a Parigi e, grazie alle sue nozze, il sangue di Verrua continuò a scorrere nei principi di Carignano, dal 1861 re d’Italia.
Fonti e Bibl.: R. Tessé de Froulay, Mémoires et lettres, I, Paris 1806, pp. 78-111; L. de Rouvroy de Saint-Simon, Mémoires complets et authentiques du duc de Sain Simon sur le siècle de Louis XIV et la Regence, Paris 1829, II, pp. 480-484, III, p. 457, IV, p. 233; Ph. de Courcillon de Dangeau, Mémoires et journal, Paris 1830, II, pp. 360, 368, III, pp. 35 s.; P. de Musset, Madame de Verrue, Bruxelles 1841; P. Litta, Famiglie celebri d’Italia, Milano 1844, f. 46, Savoia, tav. XVIII; Ph. de Courcillon de Dangeau, Journal de marquis de Dangeau avec les additions inédites du duc de Saint Simon, III (1689-1691), Paris 1854, pp. 256, 258 s., 276, 443 s., IV (1692-1694), 1855, p. 101, V (1694-1696), 1856, p. 181, VI (1696-1698), 1856, p. 418, VII (1699-1700), 1856, pp. 256, 398 s., VIII (1701-1702), 1857, p. 159, IX (1702-1704), 1857, pp. 176, 290, 459 s., X (1704-1705), 1857, pp. 104, 107, 183, XI (1706-1707), 1857, pp. 148 s.; C. Blanc, Un mot sur la comtesse de Verrue, in Le trésor de la curiosité tiré des catalogues de vente, Paris 1857; G. Claretta, Sui principali storici piemontesi e particolarmente sugli storiografi della Real Casa di Savoia, Torino 1878, pp. 289-294; G. de Léris, La comtesse de Verrue et la cour de Victor-Amédée de Savoie, Paris 1881; P. Chazarain, Au temps de la dame de volupté, in Bulletin de la société des amis de Meudon-Bellevue, 1945-1946, 39-43, pp. 747-763; F. Avogadro di Vigliano, Gli Scaglia e G.B. d’Albert de Luynes, VI contessa di V., in Rivista biellese, VIII (1954), 4, pp. 41-48, 5, pp. 24-41, 6, pp. 19-38; L. Lami, La signora di V. L’amante del re, Milano 1985; T. Vialardi di Sandigliano, Dama di voluttà, spia al servizio del Re Sole, grande collezionista: Jeanne Baptiste S. di V. d’Albert de Luynes, in Studi piemontesi, XXXVIII (2008), pp. 3-30; Le raccolte del principe Eugenio condottiero e intellettuale, a cura di C.E. Spantigati, Cinisello Balsamo 2012 (in partic. S. Piretta, Da Torino a Parigi. Le collezioni della contessa di V., pp. 107-124; V. Spenlé, Torino-Parigi-Dresda. Le collezioni V. e Carignano nella Pinacoteca di Dresda, pp. 145-157). La vita di Verrua è stata oggetto anche di diversi romanzi, il più celebre dei quali è A. Dumas, La Dame de volupté. Mémoires de M.lle de Luynes, I-II, Paris 1864, da cui il regista austriaco Axel Corti ha tratto nel 1990 il film La putain du roi.