RAZZANI, Giovanbattista
RAZZANI, Giovanbattista. – Nacque a Cesena l’8 dicembre 1603 da Giulio, commerciante di legnami, e da Pasqua, parrocchiani della cattedrale. Nulla si sa della sua prima formazione; in ambito cesenate l’unico pittore accreditato di qualche fama, le cui opere superstiti autorizzino un probabile alunnato presso di lui, era Ascanio Foschi (1586-post 1647): da lui Razzani poté derivare quella sua attitudine ingenua a creare un’umanità di santi e uomini tutti assimilati da occhi grandi, espressioni svagate, lontane, lunghe articolazioni affusolate, differenziati solo dalle barbe e dai viluppi arricciolati delle vesti.
Era un’educazione stabile, su cui Razzani venne innestando suggestioni occasionali di frequentazioni o di occhiate a quanto si faceva fuori di Cesena dove, contemporaneamente a lui, con una natura ben più ruvida e impetuosa, stava emergendo Cristoforo Serra (1600-1689).
Il 4 luglio 1624 Razzani sposò Tisbe Salimbucci; da loro nacquero Giulio (4 febbraio 1627), Antonio (18 agosto 1628), Antonia (2 ottobre 1629), un nuovo Giulio (6 giugno 1632), Giuseppe (11 luglio 1633), un terzo Giulio (23 settembre 1634), Francesco Antonio (17 gennaio 1637), un’altra Antonia (3 ottobre 1640), Giulio Cesare (19 febbraio 1642), Severo (4 luglio 1643) (Cesena, Archivio diocesano, Battesimi Cattedrale, ad annos).
A tanti figli faceva riscontro un’operosità continua, testimoniata dalle fonti, che riguardava non solo pale d’altare, ritratti, affreschi, ma anche decorazioni perdute di impegno più modesto, come armi per giostre, festoni, apparati, ‘macchine’ per allegrezze, prospettive, stendardi, catafalchi funebri.
Notizie più precise su di lui, di mano di un suo contemporaneo, il cesenate don Mauro Verdoni (morto a Cesena nel 1695 a 55 anni), aiutano a precisare il suo profilo: «Vive hoggi il sig. Gio. Battista Razzani egreggio pittore, come da molte opere sue si puol vedere, massimamente dall’ancona degl’Innocenti in Sant’Agostino di Cesena, pittura di enestimabile valore; questo è il più eccellente pittore che conoschi il naturale, imperoché in far ritratti non trova pari. Hoggi giorno vive in Milano in grand’onore» (Cronologia di Cesena (XVII sec.), in Cesena, Biblioteca comunale, Fondo manoscritti, 164.47).
La provincia emiliano-romagnola della prima metà del Seicento era solita cercare ispirazione e spunti alla propria arte per lo più lungo l’asse Bologna-Roma, come per Cesena testimonia Cristoforo Serra, addirittura ospite dozzinante del Guercino a Roma. Per Razzani la scelta settentrionale, costante nella sua vita, non dovette essere solo frutto di antagonismo nei confronti di Serra. A ben vedere, qualcosa di più intimo probabilmente motivò il pittore: della resa ‘statuina’ dei suoi personaggi si è accennato, ma è anche forte in lui l’istanza di accompagnarli con connotazioni realistiche di brani di paesaggio, di ambienti domestici, così come di particolari indagati diligentemente. Che sia, questa, l’adesione sua, la sua risposta al senso di concretezza tipico della pittura lombarda? È comunque un accostarsi morbido, discorsivo, lontano dallo spirito di religiosità severa dei teleri di s. Carlo Borromeo e della peste nel Duomo di Milano, lontano da quei climi di coinvolgimento emotivo di volta in volta religioso, persino sensuale. Al contrario la pittura di Razzani si risolve in un amalgama di maniera, anche di natura, e in un linguaggio popolare.
I Procaccini, il Cerano, il Morazzone, Daniele Crespi, massimi esponenti di questo primo Seicento milanese, erano al di fuori della portata, delle corde di Razzani: costui pare essersi sentito più a suo agio a contatto con personaggi minori quali il Duchino e Melchiorre Gherardini.
In ogni caso le prime sue opere documentate, opere di prestigio, dato che si tratta di due pale d’altare per importanti chiese cesenati, sono omaggi a Guido Reni. Lo è innanzitutto la Strage degli Innocenti (1627) per l’altare Masini in S. Agostino che, nell’atmosfera bloccata e nei tipi, sciorina tutto il bagaglio di Razzani (vi è compresa la curiosa citazione lombarda del soldato ghignante, utilizzato anche in una Strage degli Innocenti di Gherardini, genero di Cerano). Nel 1628 il pittore realizzò per i padri lateranensi di S. Croce, sempre a Cesena, La consegna delle chiavi a s. Pietro, oggi in S. Domenico; eseguita in controparte, forse per il tramite di un’incisione, essa rivela nell’impianto la nobile discendenza reniana, per discostarsene «in un dialetto un po’ goffo, ma solido, colorito, non propriamente sgradevole; e, nei particolari dell’agnello interito e del paesaggio pulitamente costruito pezzo a pezzo, quasi “naïf”» (Arcangeli, 1964).
Un vuoto di presenze e di nascite di figli nel biennio 1630-31 porterebbe a pensare a un viaggio lombardo di aggiornamento di Razzani: in effetti appartengono agli anni Trenta opere datate o stilisticamente affini, accomunate da figure dal disegno sottile, gli occhi grandi e ispirati, le articolazioni lunghe, che si stagliano su un basso paesaggio abitato.
Si tratta di scelte più convinte, volte a interpretare suggerimenti da Morazzone come dal Duchino, senz’altro per lo più dai minori lombardi, alla ricerca di particolari di contorno rialzati, come con l’intento di dare loro la stessa evidenza delle figure.
Fa parte di questo nucleo il S. Isidoro agricola (1633) di S. Pietro a Cesena; gli sono affini i Ss. Giovanni, Andrea, Bartolomeo, superstiti di una serie di apostoli guidati dalla Vergine, che Razzani eseguì nel 1635 per i pilastri della cattedrale della stessa città, su commissione della Compagnia del Santissimo Sacramento.
I restanti apostoli, guidati da Cristo, erano stati affidati a Cristoforo Serra, nonostante le inevitabili distanze stilistiche, a motivo anche delle frequentazioni lombarde e romane dei due.
Appartengono agli stessi anni l’Estasi di s. Guarino, lenticolare nella definizione dei particolari, ivi compresi i numerosi strumenti musicali (Cesena, Pinacoteca comunale), la Sacra Famiglia e santi (1637) di S. Giuseppe in Borgo di Cesena, la Sacra Famiglia e l’angelo o Madonna del Cucito, già nell’oratorio di S. Giuseppe dei Falegnami, oggi nella parrocchiale di Villa Chiaviche di Cesena; in quest’ultima, più che sulle sue solite figure dai tratti corsivi, si direbbe che Razzani abbia puntato sulla domesticità dei dettagli, il canestro di mele offerto dall’angelo, i panni, le pianelle, il plinto ligneo scolpito. Tale predilezione trovò ancora maggior spazio nell’Annunciazione di S. Domenico: i protagonisti occupano il primo piano, ma l’attenzione viene catturata dalla scansione spaziale e dalla prospettiva lontanante oltre il vano al centro.
Nel 1642 Razzani eseguì per S. Cristina di Cesena, su commissione del cavaliere Berto Berti, una propria interpretazione della Beata Vergine di Costantinopoli, al di sopra dei Ss. Francesco Saverio, Ignazio di Loyola e un angelo, il tutto caratterizzato dalle dolcezze e dai ritmi arrotondati a lui propri. Gli stessi stilemi tornano nel S. Demetrio martire della parrocchiale omonima, all’Acquarola di Cesena.
Ancora lo spazio, stavolta aperto e con precise indicazioni topografiche, dà senso alle figure nelle due tele con Le apparizioni della Vergine alla pastora Chiarina Candoli, oggi nella parrocchiale di Lizzano di Bertinoro: la narrazione popolare dei tre momenti acquisisce maggiore credibilità nella prima tela, con l’inserimento a mo’ di quinta dei due fratelli di Chiarina, che assistono non visti all’apparizione (senz’altro memori dell’Et in Arcadia ego e dell’Apollo e Marsia del Guercino), e poi della fedele veduta di Cesena. Nella seconda tela le due apparizioni sono separate nello sfondo dal prospetto del tempio, oggi scomparso, sorto su quel luogo; il tutto, come sempre, contornato da fronde e da animali.
Anche quando è costretto ad affollare di figure le superfici, Razzani lo fa per lo più in modo che a ognuna di esse spetti una porzione di primo piano: è così nell’Immacolata e i ss. Giuseppe, Nicola da Tolentino, Marco evangelista, Antonio da Padova, Francesco d’Assisi (1656 circa), dove il lontano, oltre la quinta marmorea e dietro il putto danzante sul cherubino, è occupato dal fuoco e dalle anime purganti; il gradino ha la sua brava grappa e sostiene il libretto e il giglio di s. Antonio.
Naturale che la produzione di Razzani, di quadrature, stendardi, decorazioni di sepolcri o per allegrezze, festoni, apparati per la venuta di personalità, oggi perduta ma attestata da fonti e cronisti, sia stata copiosa. A essi si aggiungono, ugualmente perduti, gli affreschi nei due pennacchi di sinistra del cappellone della distrutta chiesa di S. Severo (1639; gli altri due vennero eseguiti, come pare si costumasse a Cesena, da Cristoforo Serra), nella volta della basilica di S. Maria del Monte (1640), nel primo chiostro del convento di S. Agostino, in quello dei Servi di Maria e nel loro refettorio (1643), prospettive nell’orto dei padri celestini (1660), altre pitture in S. Severo (1663-64).
Si è detto che don Mauro Verdoni affermava che Razzani «è il più eccellente pittore che conoschi il naturale, imperoché in far ritratti non trova pari». A favorire, presso la committenza cesenate, questo aspetto dell’attività del pittore può avere contribuito la sua preferenza per le opere di piccolo formato, su sfondo scuro, a risparmio di colori e di particolari accessori, senza pompa ma di sostanza, alla lombarda (in particolare con richiami a Carlo Ceresa), fatta eccezione per pochi piccoli oggetti utili a far meglio riconoscere le prerogative dell’effigiato. Potrebbero definirsi quasi come ‘fototessere’ di quel tempo; vi è la preoccupazione di ottenere un’identità precisa, spesso anche attraverso una precisa indicazione onomastica, soprattutto trattandosi di antenati: numerosi ritratti di appartenenti alla famiglia Chiaramonti, fra cui il nitido Scipione, come pure I coniugi Scipione e Virginia Abati con i quattro figli frati cappuccini, bloccati attorno alla tavola imbandita di dolci, con il largo bacile di rame dove le bottiglie e due ciliegie stanno in fresco (opere ambedue a Cesena, di proprietà privata), il Fra Tommaso da Caltagirone, predicatore-trascinatore cappuccino, famoso per una missione affollatissima da lui tenuta nel 1642 nella cattedrale di Cesena, e la Recalida Gennari (1643), vecchia monaca senza denti (ambedue a Cesena, Pinacoteca comunale), e ancora un Cavalier Simone Ugolini, passato da Cesena a Bagnacavallo (di proprietà privata) in seguito a divisioni ereditarie.
Razzani ha lasciato memoria diretta di almeno uno dei suoi soggiorni milanesi: il 3 febbraio 1662, facendo una dichiarazione riguardante lo stato libero di Giovanni del quondam maestro Gasparo Farnedi, che conosceva da una decina d’anni, quando «lo avviavo a dissignare per far il pittore», affermava che loro due erano stati a Milano «per spatio di 18 mesi […] cioè del mese di giugno, alli 28 in circa, dell’anno 1660 sino al principio di novembre [1661] prossimo passato […] e ritornassimo da Milano a Cesena insieme» (Cesena, Archivio diocesano, Matrimonialia 1661-1662, b. 49, cc.n.n.).
Dell’attività degli ultimi anni restano due pale: un S. Ivo protettore delle vedove e dei poveri (già in S. Severo, oggi nel seminario di Cesena), riconoscibile per le presenze di tipi razzaniani, commissionato per l’altare dei suoi dal padre Cristoforo Fioravanti filippino, morto nel 1661, e un’Annunciazione con i ss. Carlo Borromeo e Aldebrando Faberi (1660), già nella distrutta chiesa di S. Salvatore, in Savignano sul Rubicone, e oggi nella collegiata di Verucchio. La soluzione scenica, del tutto insolita, vi è data da un’architettura di sguincio, quasi a comprimere ai lati l’angelo e la Vergine, sistemati su una specie di proscenio al di sopra dei due santi.
Testimoniano dell’attitudine di Razzani al disegno preciso, propenso ai ritmi arricciolati, due piccole pergamene del 1664, contenenti i voti di due neomonaci benedettini di S. Maria del Monte.
Morì a Cesena, operoso fino alla fine, il 26 luglio 1666. Fu sepolto nella chiesa di S. Francesco, oggi non più esistente.
Fonti e Bibl.: Cesena, Biblioteca comunale, Fondo manoscritti, 164.47: M. Verdoni, Cronologia di Cesena (XVII sec.), p. 114; 164.42c: A. Cantoni, Memorie dell’illustre città di Cesena [...] anno 1779, c. 75v; 164.33: C.A. Andreini, Cesena sacra (XIX sec.), t. 11, pp. 246 s.; 164.70.9: G. Sassi, Reliquie le più insigni che esistono in questa cattedrale… (XIX sec.), parte II, pp. 30, 170; Forlì, Biblioteca comunale, Fondo Piancastelli, Sala O, mss. IV/25: F. Zarletti, Monumenti cesenati, p. 198.
U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXVIII, Leipzig 1934, p. 59; F. Arcangeli, La chiesa di San Martino in San Domenico in Cesena e i suoi dipinti, Bologna 1964, pp. 52-55; M. Cellini - M. Pulini, Per l’attardata maniera di Giambattista Razzani, in Romagna arte e storia, VII (1987), 19, pp. 45-54; G. Savini, Un dignitoso comprimario del Seicento cesenate, ibid., pp. 31-44; Id., Cristoforo Serra, capitano di milizie e pittore, ibid., IX (1989), 25, pp. 29-54; P.G. Pasini - G. Savini, Fra naturalismo e barocco. Le arti figurative nel Seicento, in Storia di Cesena, V, Le arti, a cura di P.G. Pasini, Rimini 1998, pp. 71-96; C. Riva - G. Savini, Il Suffragio di Cesena, Cesena 1998, pp. 86-88; G. Savini, Arte e decorazione nelle pale d’altare, in Storia della Chiesa di Cesena, II, a cura di M. Mengozzi, Cesena 1998, pp. 251-350 (in partic. pp. 293-296); M. Cellini - R. Vitali, schede su G. R., in Storie barocche... (catal., Cesena), a cura di M. Cellini, Bologna 2004, pp. 195-201; G. Savini, Regesto della vita di G. R., ibid., pp. 326 s.