DRAGONCINO, Giovanbattista
Grazie ad alcuni riferimenti autobiografici sparsi nelle sue opere si può determinare con certezza che la nascita del D. avvenne a Fano (prov. Pesaro-Urbino) nel 1497.
Per il resto veramente scarse sono le notizie che lo riguardano. Da un elenco del 1558, custodito alla Sezione di Archivio di Stato di Fano, relativo agli iscritti della Santa Unione degli artisti fanesi, dove appare il nome di un Giovan Vincentio Dragontino, si apprende che la sua famiglia viveva a Fano e doveva esercitare un'arte. Nulla si sa della sua giovinezza trascorsa nella città nativa, dalla quale dovette allontanarsi per un motivo che egli lamenta, senza tuttavia indicarne le ragioni (Marfisa bizarra, canto XIV, stanze 32-33). Quello che è certo è che da Fano il D. approdò fin dal 1521 nel Veneto, dove dimorerà a lungo, soggiornando soprattutto a Venezia con brevi permanenze a Vicenza, nel 1521 e nel 1524. e a Schio nel 1526, godendo della protezione di famiglie nobili ed influenti. Nel 1526, in particolare, il D. si trovava presso il vicario di Schio, Vincenzo da Schio, svolgendo non solo mansioni di segretario ma anche supplendolo nei periodi di assenza. Rimase a Schio fino al 28 marzo 1526; nell'aprile dello stesso anno era già a Venezia, come si ricava dalla lettera dedicatoria al celebre giureconsulto PietroAttendo da Cesena premessa alla raccolta di Rime in morte di Polissena Attendo, la giovane moglie prematuramente scomparsa.
Dal 1526 al 1547 il D. fu attivo a Venezia, dove si svolse la fase più importante della sua attività poetica, bene introdotto negli ambienti gentilizi della città. Dopo il 1547, anno in cui lo ritroviamo a Bologna, ospite del senatore Ulisse Gozadino, non si hanno più sue notizie. Data l'età non certo avanzata, è da supporre che le vicende della sua vita lo abbiano portato altrove (il Paluani suppone a Ravenna e a Pesaro). Non si hanno dati certi sulla sua morte; al D. sopravvissero i suoi poemi dei quali si conoscono varie edizioni nei sec. XVI e XVII.
Compose quasi tutte le sue opere in ambiente veneto. La prima prova poetica risale al 1516, quando, giovanissimo, a testimoniare la precoce vocazione cavalleresca, compose il poema L'innamoramento di Guidon Selvaggio, che venne stampato a Milano da "Ioanne de Castione". Di questo poema giovanile tuttavia, nonostante le ristampe secentesche, si conosce soltanto il titolo. Dobbiamo spingerci fino al 1525 per incontrare una nuova opera del D., ormai attivo in territorio veneto: si tratta del poemetto Nobiltà di Vicenza, stampato a Venezia ad opera di Francesco Bindoni e Mafeo Pasini.
Il poemetto (di cui esiste una copia assai rara alla British Library) costituisce la cronaca, suddivisa originalmente in due "viaggi", rispettivamente di 87 e 32 ottave, che si riferiscono ai due soggiorni vicentini del D., ospite di Marco Antonio Valmarana. L'operetta, dedicata a Francesco Porto (da identificare nel famoso Francesco di Giovanni, capitano d'armata), è riconducibile ad un clima conviviale, come conferma la disposizione del testo preceduto e seguito da brevi carmi in italiano e in latino di amici del D., in gara nel celebrare le lodi della città di Vicenza e del suo cantore. La struttura dell'opera, originale, a metà tra la cronaca di viaggio e la descrizione turistica, non consente di farla rientrare in alcuno dei generi letterari tradizionali. Si avverte quasi l'intenzione, da parte dell'autore, di fondere generi diversi: il racconto, l'encomio, la descrizione e la vicenda personale. Quanto allo stile, sono stati messi in risalto evidenti prestiti e riecheggiamenti tratti soprattutto dalle Stanze per la giostra dei Poliziano.
Posteriore di appena un anno è l'altro poemetto Lode di Schio, diviso in due canti di 52 e 38 ottave, giuntoci attraverso una ristampa ottocentesca pubblicata in occasione delle nozze di Almerico da Schio e Lavinia Thiene nel 1869. Quest'opera non è la continuazione della precedente, come farebbe supporre l'annuncio di un "terzo viaggio" contenuto nella dedica della Nobilità di Vicenza. Nel poemetto infatti è quasi del tutto trascurata la parte descrittiva, mentre si è fatto più ampio l'intento celebrativo: vi figurano lunghi elenchi di nobiluomini e gentildonne scledensi, tra i quali risalta il nome di Bartolomeo Alanaro, a cui l'operetta è indirizzata. Anche in questo caso al poemetto seguono alcuni elogi in lingua latina, diretti a celebrare l'autore della Lode di Schio.
Sempre del 1526 è la già citata raccolta di Rime in morte di Polissena Attendo, stampata a Venezia da Matteo Vitale. Questa raccolta, poco conosciuta, che contiene quaranta componimenti, in prevalenza sonetti e madrigali (ma vi figurano anche canzoni, sestine e ballate), è di evidente ispirazione petrarchesca.
Dal 1526 il D. è a Venezia, dove, tra il 1527 e il 1528, attende alla composizione dell'opera più impegnativa e fortunata: il poema in 14 canti, Marfisa bizarra, rimasto incompiuto al primo libro e dedicato a Federico Gonzaga, primo duca di Mantova. Pur avendo avuto la licenza di stamparlo il 9 ag. 1531, la prima edizione della Marfisa uscì il 15 settembre, per opera di Bernardino Viano vercellese.
Il tema principale ruota intorno alle vicende amorose di Marfisa, figlia di Ruggero di Pisa e Galaciella, personaggio d'invenzione boiardesca che già tanto spazio aveva avuto nel poema dell'Ariosto. "La materia del Furioso così varia e multiforme, lasciata a volte in tronco dall'Autore ... pareva invitare ad essere ripresa" (Fumagalli, p. 126). Il D. non fu il solo a riprendere le gesta dell'indomita guerriera; la sua opera infatti inaugura un ciclo che comprende il poema rimasto incompiuto ai primi tre canti dell'Aretino (1537), la Marfisa innamorata (1550) del veneto Marco Bandarini e si conclude nel 1562 con l'Amor di Marfisa di Danese Cattaneo. Questi poemi presentano ciascuno un'importanza particolare per la trasformazione che subì il carattere della protagonista, a differenza di altri personaggi tratti dal Furioso, di cui in genere fu ampliato qualche aspetto della loro indole. La Marfisa del D. seguì le orme di Orlando e come "quel d'Aglante / ... in questo amor... / ... tenuta fu bizzarra" (canto I, stanza IX). Il D., che pure non nomina l'Ariosto, affermando di aver tratto la storia direttamente dalla letteratura francese, ne segue da vicino invece modi e stilemi: "L'arme e l'amor d'una Regina io canto, / l'inclite cortesie, l'ire e le paci..." (canto I, stanza I).
Benché l'autore avesse promesso una seconda parte della Marfisa, l'opera resta incompiuta al primo libro. Tra le opere degli epigoni dell'Ariosto, la Marfisa bizarra godrà di una certa fortuna; infatti verrà ristampata più volte: se ne conoscono varie edizioni cinquecentesche e secentesche (Venezia 1532 e 1545; Verona 1622; Venezia 1678). Nel Settecento se ne ricorderà Carlo Gozzi prendendone a prestito proprio il titolo per il suo poema giocoso La Marfisa bizarra (Venezia 1772), nonostante il suo giudizio negativo sull'opera del Dragoncino.
Alla materia del Pulci sembra ricollegarsi invece il D. con il poemetto burlesco in ottave Vita del solazzevole Buracchio figliolo di Margutte e di Tanunago suo compagno. Il Melzi che lo definisce "rarissimo" cita un'edizione datata 1547, rimasta incompiuta al primo canto. Alla Biblioteca naz. Marciana è disponibile un esemplare datato 1557, stampato "ad Instancia di Domenego de Franceschi", in cui il poemetto privo di frontespizio risulta completo di 87 stanze.
Il poemetto racconta le gesta burlesche di Buracchio che consistono nelle pantagrueliche imprese culinarie e nelle beffe ordite ai danni degli osti marchigiani. L'opera è dedicata a Zaccaria Dolfin, il nobile veneziano destinatario anche delle Stanze in lode delle nobil donne vinitiane del secolo moderno, che furono pubblicate nello stesso anno 1547, termine ultimo per datare le opere dell'autore. L'opuscolo, di sedici carte non numerate, è preceduto da quattro brevi componimenti latini e consta di 49 stanze. Più dei versi interessano i nomi delle gentildonne annoverate che sono quarantasei e appartengono alla più eletta nobiltà veneziana. Sul verso dell'ultima carta è impresso il ritratto del D. in tutto simile a quello che compare sul frontespizio della seconda edizione della Marfisa bizarra (1532).
Franco Barbieri attribuisce al D. anche la Novella di frate Battenoce (1525). È di data successiva al 1528 il rimaneggiamento del Lamento del Reame di Napoli, poema popolare dell'inizio del sec. XVI che rievoca i danni subiti dal Regno ad opera degli Spagnoli e dei Francesi; il D. avrebbe integrato il testo originale con 19 ottave "composte all'improvviso". Inoltre i bibliografi (Melzi, Graesse, Brunet) citano un'edizione di un breve poema in ottave, Amoroso ardore, databile 1536. Il D. risulta annoverato tra i più celebri poeti del suo tempo nei Trionfi di Francesco de Ludovici, Venezia 1535 (canto LXXXVII); inoltre due lettere di Niccolò Franco indirizzate al D. e datate entrambe 12 febbr. 1538 ci danno notizia di due componimenti sconosciuti: un capitolo e un sonetto in lode dei Franco che però non ci sono giunti (Pistole vulgari di Niccolò Franco, 1539., carta 54); infine l'Amoroso ardore gli valse una preziosa citazione dell'Aretino in una lettera del 7 ott. 1539 a Ludovico Dolce (Pietro Aretino, Il secondo libro delle Lettere, a cura di F. Nicolini, Bari 1916, p. 180).
L'unica opera del D. di cui esiste un'edizione moderna è la Nobilità di Vicenza, pubblicata nel 1981, presso l'editore Neri Pozza, a cura di Franco Barbieri e Flavio Fiorese.
Bibl.: F. Vecchietti-T. Moro, Biblioteca picena, Osimo 1795, IV, p. 19; G. Melzi-P. A. Tosi, Bibliografia dei romanzi di cavalleria italiana, Milano 1837, pp. 215, 250, 263; A. Medin-L. Frati, Lamenti storici dei secoli XIV, XV e XVI, Bologna 1894, IV, pp. 1-19; G. L. Paluani, Due poemi poco noti del secolo XVI, Padova 1899; F. Flamini, Il Cinquecento, Milano 1901, pp. 143, 542; G. Castellani, Un opuscolo sconosciuto di Gianbattista D. da Fano, in La Bibliofilia, VII (1905-1906), pp. 177-191; G. Fumagalli, La fortuna dell'Orlando furioso in Italia nel secolo XVI, Ferrara 1912, pp. 152-154; J. C. Brunet, Manuel du libraire et de l'amateur de livres, Berlin 1922, II, pp. 833-834; J. C. Graesse, Trésor de livres rares et precieux, Berlin 1922, II, p. 431; G. Natali, Idee, costums, uomini del Settecento, Torino 1926 p. 275; C. Previtera, La poesia giocosa e l'umorismo, Milano 1942, p. 149.