BOLGENI, Giovan Vincenzo
Nato a Bergamo il 22 genn. 1733, il 31 ott. 1747 fu accolto come novizio nella provincia romana dei gesuiti. Studiò teologia a Roma, ove ebbe per maestro G. B. Faure, uno dei maggiori teologi del tempo. Il 2 febbr. 1766 pronunciò i voti solenni. Fu quindi per vari anni a Macerata, ove insegnò filosofia e teologia. Nonostante la soppressione della Compagnia di Gesù, il B. percorse una brillante carriera ecclesiastica. Chiamato nel 1787 a Roma, godè della personale stima di Pio VI (che gli affidò incarichi riservati, come, nel 1789, quello di preparare una confutazione di quanto si veniva scrivendo nel Regno di Napoli "sopra il potersi fare i Vescovi indipendentemente dal Papa") e ricoprì vari uffici, sia al Collegio Romano (di cui fu prefetto della biblioteca) sia alla Penitenzieria apostolica, della quale nel 1795 fu nominato teologo. Dotato di una vasta conoscenza, oltre che della teologia medievale e moderna, delle fonti patristiche e della storia della Chiesa primitiva, di una robusta (e, talvolta, sin eccessiva) vis polemica e di una notevole sensibilità "politica", non disgiunte da una certa curiosità e comprensione per alcune manifestazioni di religiosità mistico-millenenaristica abbastanza diffuse tra gli ex gesuiti ispano-americani rifugiatisi nello Stato della Chiesa (significativa è a questo proposito la sua attività di traduttore e di annotatore della Venida del Mesias engloria ymagestad del cileno Manuel de Lacunza), il B. si affermò soprattutto come uno dei maggiori teologi italiani del tempo, sino a diventare l'esponente più in vista della "scuola romana" (E. D. Cristianopulo, T. M. Mamachi, F. A. Zaccaria, G. Marchetti, ecc.) e il più coerente sistematore e difensore della più rigorosa tradizione ortodossa cattolica, soprattutto per quanto concerneva la difesa delle prerogative del pontefice, la sua primazia e la sua infallibilità. A questo proposito, "non si saprebbe immaginare quasi un secolo avanti il Concilio vaticano I un insegnamento altrettanto immune da ogni infiltrazione conciliarista o gallicana e altrettanto convinto, per usare una formula dei canonisti postvaticani, de plenitudinepotestatis uni Petro concessa" (Alberigo, p. 330).
Le opere del B. furono numerose (varie ebbero più edizioni, talvolta con notevoli accrescimenti, e furono anche tradotte in altre lingue). Pressoché tutte suscitarono reazioni e polemiche vivacissime, in qualche caso (per esempio Della carità o Amor di Dio) anche in ambienti non pregiudizialmente avversi al loro autore e alla "scuola romana". I grandi avversari del B. furono però soprattutto i giansenisti in particolare e gli ambienti novatori cattolici in genere, da lui attaccati senza esclusione di colpi e con una sistematicità rara anche in un periodo di accese polemiche. Nelle loro altrettanto violente repliche e nelle loro corrispondenze private, costoro arrivarono sino a negare ogni valore alla teologia del B. (questo ingiusto giudizio traspare talvolta anche negli scritti di qualcuno dei moderni storici del giansenismo) e a considerarlo una sorta di simbolo della "reazione molinista".
Le prime opere del B. videro la luce a Macerata (Esame dellavera idea della Santa Sede, 1785; Il critico corretto, 1786; Risposta al quesito:Cosa è un appellante?, 1787; Stato de' bambini mortisenza battesimo, 1787); salvo per alcuni aspetti marginali l'ultima, esse avevano solo un valore polemico (contro il giansenismo in generale e alcune tesi di P. Tamburini e di G. B. Guadagnini in particolare); la loro eco fu però vasta (a Roma il Giornale ecclesiastico del 23 sett. 1786, 3 sett. 1787 e 12 luglio 1788 ne parlò ampiamente) e servirono a rendere noto il nome del loro autore.
Nel 1788-89 il B. pubblicò altre tre opere, una di mera polemica antigiansenista (Specchio istorico da servire di preservativocontro gli errori correnti, s.l. 1789), due di maggior valore e che offrono vari elementi per comprendere la posizione del loro autore. Della carità o Amor di Dio, Roma 1788, impostava una questione che il B. avrebbe sviluppato successivamente in polemica con i suoi numerosi contraddittori (Schiarimenti... in confermazione edifesa della sua dissertazione sopra lacarità o Amor di Dio, Foligno 1790, e Apologia dell'Amor diDio detto di concupiscenza, Foligno 1792), quella, cioè, della motivazione dell'amore degli uomini verso Dio.
Mentre la dottrina prevalente sosteneva che Dio era amato per "benevolenza" (come sommo bene in sé) e per "concupiscenza" (per l'eterna mercede), il B. (e sulla sua scia altri teologi, e in particolare L. Hervás) sostenne la tesi del solo "amore per concupiscenza"; una tesi significativa, sia per comprendere come il B. non fosse un mero ripetitore di posizioni tradizionali e risentisse anche lui in qualche misura di certe suggestioni utilitaristiche e pessimistiche, sia per la sua assonanza con quella di N. Spedalieri (per il quale l'unica molla che spinge l'uomo ad operare era l'"amor proprio").
Più importante del Della carità o Amor di Dio è però l'altra opera pubblicata quasi contemporaneamente dal B.: Fatti dommatici ossia della infallibilità della Chiesa nel decidere della dottrinabuona o cattiva de' libri, Brescia 1788. Anche questo scritto (nato, al solito, in funzione della lotta antigiansenista) ebbe un seguito e un importante sviluppo in due altre opere, pubblicate dal B. negli anni successivi, L'Episcopato,ossia la potestà di governarela Chiesa, s.l. (ma Roma) 1789, e Analisi e difesa del libro intitolatol'Episcopato, Roma 1791, nonché in una seconda edizione notevolmente accresciuta edita a Roma nel 1795-96; sicché è opportuno vedere questo complesso di scritti come un tutto unico, tanto più che essi e specialmente L'Episcopato (secondo l'Alberigo, p. 320, "un'opera di portata non comune, destinata a costituire il capolavoro del teologo bergamasco") rappresentano l'apporto teologico e soprattutto ecclesiologico più importante e duraturo del Bolgeni.
In particolare, nei Fatti dommatici e soprattutto nell'Episcopato (per il Marchetti nel Giornale ecclesiastico di Roma, 27 febbraio e 6 marzo 1790, "un'opera magistrale e veramente vittoriosa") il B. sviluppa la teoria dell'unità della Chiesa, della "monarchia" del pontefice come unica garanzia di tale unità, del carattere e dei poteri dell'episcopato e del rapporto tra primazia del pontefice ed episcopato. Per lui, "l'episcopato è uno solo in tutta la molteplicità de' vescovi, come una sola è l'essenza divina nella Trinità delle persone divine. L'essenza divina è una sola, perché uno solo è il principio, l'origine, la fonte della medesima, che la comunica al Figliuolo e allo Spirito Santo. Dunque uno solo altresì deve essere il principio, l'origine, la fonte dell'episcopato che lo comunichi agli altri vescovi. E questo principio deve sempre essere visibile fra noi, perché si abbia nell'episcopato e nel governo della Chiesa l'unità visibile. Questo principio visibile e sussistente nella successione de' secoli, è il capo della Chiesa, il pontefice romano successor di S. Pietro primo vescovo istituito da Cristo medesimo. Dal pontefice romano dunque è necessario che emani l'episcopato e che ogni vescovo da lui proprietates suasducat tamquama radice frutex,et a fonte fluvius,et a sole radius,ut nihil a matrice alienetur, come parla Tertulliano. Bisogna che ogni vescovo nella Chiesa unica, e cattolica, non aliunde quamex ipsouno principio nascatur: altrimenti non si avrà un solo episcopato, ma due, e più episcopati et diversitasinducet dyarchiamet polyarchiam, come parla S. Atanasio" (L'Episcopato, I, p. 146).
Le prime manifestazioni e l'affermarsi della rivoluzione in Francia determinarono nella vita e nell'attività del B. una svolta. Sotto lo stimolo di questi avvenimenti e della necessità sempre più impellente di cercare di porre un argine alle loro conseguenze per il cattolicesimo e per la Chiesa, il B. negli anni Novanta non solo si impegnò sempre di più nella polemica, contro i "nemici della religione, della Chiesa e del papato" ma finì per dedicare quasi tutte le sue energie ad organizzare la lotta contro ogni sorta di "novatori", rivelando una duttilità politica insospettata (e che molti contemporanei fraintesero completamente). A parte la rielaborazione di scritti anteriori, l'unica sua opera di questo periodo che abbia un certo interesse non contingente è Il possesso,principio morale fondamentale perdecidere i casi morali, Brescia 1796. Eco vastissima ebbe invece un suo violentissimo pamphlet antigiansenista e antirivoluzionario, Problema se i Giansenisti siano Giacobini, Roma 1794, volto a confutare le Lettere teologico-politiche del Tamburini e a sostenere la tesi che, "per riguardo al principato temporale", i giansenisti erano dei giacobini e che essi, non solo avevano insegnato e sostenuto "massime perniciosissime all'autorità de' Sovrani e all'ubbidienza de' popoli", ma erano stati "i principali autori" della rivoluzione e tentavano "di propagarne l'imitazione dappertutto".
Nel 1791 il B. fu anche al centro della controversa vicenda della pubblicazione De' diritti dell'uomo di N. Spedalieri. Molti ritennero quest'opera non lontana dal sostenere "massime rivoluzionarie", e da più parti il B. (che ne era stato il censore che ne aveva autorizzato la stampa, sembra su esplicito incarico di Pio VI) ne fu considerato l'ispiratore (da qui i ricorrenti accenni ad una nuova "scuola bolgeniana e spedalieriana"), se non addirittura (come riteneva per esempio anche un uomo serio e ben informato come l'ambasciatore spagnolo a Roma J. N. de Azara) "el verdadero autor". Una simile tesi è certo eccessiva (tra l'altro più di uno dei concetti cardine De' diritti dell'uomo era in nuce in precedenti scritti dello Spedalieri); non è invece strano che il B. abbia visto con simpatia e aiutato la pubblicazione di un'opera che sosteneva la necessità che i principi tornassero a far fronte comune con la Chiesa e che, soprattutto, ambiva offrire alla Chiesa una piattaforma teorico-politica dalla quale tentare una operazione di incanalamento e di riassorbimento moderato in prima persona di alcune delle tesi che sul piano culturale e ideologico più avevano contribuito a dare uno sbocco rivoluzionario al desiderio di autoaffermazione della borghesia.
Con lo stesso metro politico si deve giudicare l'atteggiamento del B. nel 1798-99, quando Roma fu occupata dai Francesi e fu instaurata la Repubblica romana. In questi frangenti il B. si preoccupò soprattutto di salvare il potere spirituale e il prestigio della Chiesa e di impedire che questa venisse scalzata nelle sue istituzioni fondamentali. Significativa è in questo senso la sua azione per dissuadere alcuni teologi che, attorno al marzo '98, non sarebbero stati alieni dall'aderire al progetto di C. Della Valle di fare eleggere dai parroci di Roma e dai canonici di S. Giovanni in Laterano un nuovo vescovo-papa. E, pur di salvare queste istituzioni fondamentali ed evitare sia "scandali" troppo clamorosi sia pretesti per una "reazione" da parte dei Francesi e dei giacobini più accesi, si mostrò disposto a distinguere la potestà ecclesiastica da quella secolare ("le potestà ecclesiastica e secolare sono sovrane e indipendenti l'una dall'altra, ciascuna nell'ordine suo": Sentimenti, p. XXXII) e a fare alcune concessioni sul piano temporale. Conseguenza di questo suo atteggiamento furono una serie di scritti che - sia pure con alcune riserve formali - autorizzavano sia il giuramento civico richiesto dal governo repubblicano sia la vendita di una parte dei beni ecclesiastici. Questi scritti (Giuramento prescritto ai funzionari della Repubblica Romana. Parere, Roma s.d., Parere d'un teologo romano sul giuramento civico, Macerata a. VII rep.; Sentimenti... sul Giuramento Civico prescritto dalla Repubblica Romana agli istruttori e funzionari pubblici, Roma a. VII rep.; Parere... sull'alienazione dei beni ecclesiastici, Roma s.d.; Schiarimenti... in difesa e conferma del suo parere sopra l'alienazione de' Beni ecclesiastici, Roma s.d.) suscitarono però contro il B. la reazione di numerosi zelanti sostenitori dei diritti del papa (tra i più accesi furono G. Marchetti, L. I. Thiulen. G. B. Gentilini, L. M. Buchetti) e, caduta la Repubblica romana, gli costarono il posto di teologo della Penitenzieria apostolica, nonostante egli si fosse affrettato prima a pubblicare una Ritrattazione... diretta a Mons. Ill.mo e Rev.mo Vicegerente diRoma, Roma s.d. (ma 1799) e poi a cercare di spiegare il suo operato in uno scritto in polemica con le accuse del Marchetti: Metamorfosi del dott. Giovanni Marchetti da penitenziere mutato in penitente, s.l. 1800.
Dopo questa triste esperienza, il B. trascorse i suoi ultimi anni conducendo una vita ritirata e dedicandosi soprattutto allo studio della teologia della grazia e della teologia morale. Morì a Roma il 3 maggio del 1811.
Nel 1836 a Orvieto fu annunciata la pubblicazione in venti volumi delle Opere del B.; i primi volumi (tra i quali una nuova edizione dell'Episcopato, quasi completamente rifatto negli ultimi anni della sua vita dal B.) uscirono nel 1837-38. Nel 1849 a Firenze, a cura di L. M. Rezzi, vide infine la luce Dei limiti delle due potestà ecclesiastica e secolare (secondo alcuni scritta in periodo repubblicano), che il 19 dic. 1850 fu posta all'Indice. Nonostante questo nuovo grave provvedimento (secondo la Civiltà cattolica, II [1850], pp. 451 ss. lo scritto condannato sarebbe stato solo parzialmente opera del B.), la fama del B. come teologo durò ancora per parecchi anni sino al Concilio vaticano I e attorno ai suoi scritti continuarono ancora le polemiche (si veda, per esempio, G. Trinch, Il bolgenismo confutato, Foligno 1853).
Fonti e Bibl.: Per le opere del B. cfr. C. Sommervogel, Bibl.de la Compagnie de Jésus, Paris-Bruxelles 1890, I, coll. 1611-22; inediti sono nella Bibl. Apost. Vaticana, nella Nazionale Centr. di Roma e in quelle dell'Ateneo Lateranense e dell'Univ. Gregoriana. Notizie di un inedito in E. Valentini, Un ined. di B.sulla grazia, in Salesianum, II (1940), pp. 179-203. Sul B. manca qualsiasi studio d'insieme; si veda: A. Quacquarelli, Saggi distoria del Cristianesimo, Bari 1947, pp. 33-87, rifuso e ampliato in Id., La teologia antigiansentista di G. V. B.(1733-1811), Mazara s. d. (ma 1950); G. Alberigo, Lo sviluppo della dottrina suipoteri nella Chiesa universale, Roma 1904, passim e specie pp. 307-48; nonché L. Rini, La giurisdizione universale dei vescovi secondo G.V. B., Maglie 1952. Per la polemica antigiansenista cfr. E. Codignola, Carteggi dei giansenisti liguri, Firenze 1941-42, ad Indicem; Id., Il giansenismo toscano, Firenze 1944, ad Indicem; A. C. Jemolo, Il giansenismo in Italia prima della rivoluzione, Bari 1928, ad Indicem; G. Cacciatore, S. Alfonso de' Liguori ilgiansenismo, Firenze 1944, ad Indicem; E. Appolis, Le "tiers parti" catholique au XVIII siècle, Paris 1960, ad Indicem. Per i Diritti dell'uomo cfr. (oltre ai carteggi dei giansenisti liguri e toscani) C. E. Corona Baratech, Jósé Nicolás De Azara, Zaragoza 1948, pp. 149-150, 323-325. Per il periodo repubblicano 1798-99 cfr. R. De Felice, La vendita dei Beni nazionali nella Repubblica romana del 1798-99, Roma 1960, adIndicem; Id., Italia giacobina, Napoli 1965, ad Indicem. Per i rapporti con M. de Lacunza cfr. A. F. Vaucher, Une célebrité oubliée: le p. Manuel de Lacunza y DiazS. J. (1731-1801), Collongessous-Salève 1941, pp. 32, 37, 50-52; Id., Lacunziana. Essais sur les prophétiesbibliques, ibid. 1949, p. 84; R. De Felice, Note e ricerche sugli "illuminati" e ilmisticismo rivoluzionario (1789-1800), Roma 1960, p. 122.