CRIVELLI, Giovan Pietro
Nacque a Milano nel 1463, Come si ricava dalla lapide in S. Lucia del Gonfalone a Roma, da una famiglia di orefici alla quale apparteneva Maffeo, console degli orefici nel 1445 (M. Caffi, Arte antica lombarda, Oreficeria, in Arch. stor. lomb., VII [1880]., p. 597).
Un Crivelli con questo nome risulta come "cavaliere confiscato" della nobile famiglia lombarda dei Crivelli, marchesi di Agliate, il cui stemma reca l'aquila coronata. Si tratta di un figlio di Enea Crivelli. Non è possibile stabilire sé si tratti dello stesso personaggio, tuttavia è interessante notare che sulla lapide del C. compare l'emblema dell'aquila (E. Casanova, Nobiltà lombarda. Genealogie, Milano 1930. tav. 39).
Il C. soggiornò a Roma durante tutta la prima metà del sec. XVI, svolgendovi attività di orefice presso la corte papale.
La prima notizia certa relativa al suo soggiorno a Roma risale al 1504 (due "istromenti", uno del 20 maggio, l'altro del 20 novembre), quando il C. e la moglie Elisabetta ricevettero in enfiteusi dall'ospedale dei Boemi due case nel rione Ponte, di fronte alla chiesa di S. Lucia del Gonfalone (Tosi, 1937, pp. 34 s.). L'11 apr. 1507 un maestro orafo milanese di nome Giovan Pietro, abitante di fronte a S. Lucia (quasi certamente da identificare col C.), ricevette la commissione di un calice (Bertolotti, 1881, I, p. 271).
Il 13 giugno 1508 il C. era presente alla prima riunione dei maestri orefici fondatori dell'Università di S. Eligio, svoltasi nell'oratorio dei SS. Pietro e Paolo, e nel 1509 figurava come ventitreesimo nella lista degli iscritti; il 4 sett. dello stesso anno compròuna casa nel rione Colonna (Bulgari, 1958, p. 337). Mallevadore di L. Lotto, il 18 sett. 1509, per i lavori che il pittore doveva compiere in Vaticano, a questa data il C. doveva già godere grande stima da parte della corte papale (Zocca, 1953, pp. 338, 342 n. 14). Di questi stessi anni è il Ritratto di orefice, del Lotto (Malibu, Cal., J. Getty Museum) riconosciuto come ritratto del Crivelli. L'orefice vi è raffigurato in atto di mostrare alcuni gioielli, fatto che metterebbe in risalto l'attività di mercante che il C. doveva svolgere insieme con quella di orefice. Il 6 ott. 1509 comprò una casa situata nel rione Ponte, di lato ai beni di S. Giacomo degli Spagnoli (Bulgari, 1958, p. 337).
Sotto il pontificato di Leone X, secondo il censimento redatto fra il 1511 ed il 1518, il C. viveva in una casa nel rione Parione, presso S. Stefano in Piscinula (A. Armellini, Un censimento della città di Roma sotto il pontificato di Leone X, Roma 1882, p. 72). Il 2 maggio 1512, assente la moglie Elisabetta, acquistò due case con orticello per 70 ducati (Bulgari, 1958) p. 337); quattro anni dopo, il 25 giugno, era fra gli artisti orefici che decidevano di vendere un terreno della congregazione (A. Bertolotti, Artisti modenesi... a Roma..., Modena 1882, p. 68). Il 5 ott. 1517 dava in locazione a Martino, orefice francese, una casa di fronte alla chiesa dei SS. Cosma e Damiano (Bulgari, 1958, p. 337); un anno dopo (3 luglio) fu concessa al C., per la sua sepoltura, la cappella di S. Maria Maddalena, nella chiesa di S. Lucia del Gonfalone (L. Ruggeri, L'Arciconfraternita del Gonfalone, Roma 1866, pp. 157 s.).
Fu console degli orefici nel 1520-21 (Bulgari, 1958, p. 337). Secondo Bertolotti (1881, I, p. 255), dal 1523 entrò in società con Gian Maria da Camerino, ma dopo il Sacco di Roma del 1527 nacque una lite fra i due: era stato querelato dal socio per essersi impossessato di una cassetta contenente denaro e gioie che entrambi avevano sotterrato prima del Sacco. In questa occasione era stato presente l'orefice novarese Andrea di Giorgio Desideti, chiamato a testimoniare davanti al governatore di Roma il 2 genn. 1536 (A. Bertolotti, Artisti subalpini a Roma, Mantova 1884, pp. 117 s.). Secondo Gnoli (1891, pp. 240 s.), il C. sarebbe da identificare con quel Giovan Pietro della Tacca milanese che nel 1524 ospitò nella sua bottega Cellini, il quale peraltro, nella sua Vita, non nomina mai il C., pur assai noto, in quanto tale. Risulta documentata nel 1524 l'attività di un orefice "de Mediolano" di nome Giovan Pietro (Müntz, 1888, p. 39); il C. risulta abitante nel rione Ponte con "tre bocche da sfamare" nel censimento di Roma redatto tra la fine del 1526 e il gennaio 1527 (1). Gnoli, Descriptio Urbis, Romae 1894, p. 58); nel 1526 fu tra i testimoni al testamento del Caradosso (Bertolotti, 1881, I, pp. 279 s.).
Nel 1528-29 e nel 1533-34 il C. fu cameriengo e nel 1536-37 fu nominato console degli orefici; in quest'anno fu decano della Zecca (Bulgari, 1958, p. 337; Bertolotti, 1875, p. 86). Prima del 1539 veniva edificata in via dei Banchi Vecchi la casa del C. tuttora esistente, chiamata appunto casa Crivelli o palazzo dei Pupazzi, per la ricca decorazione in stucco della facciata: lo Gnoli (1891, p. 238), per fissare la data approssimativa della costruzione, cita un documento relativo all'erezione nel 1539 di casa Acceptis-Muti, dalla quale si vedeva la casa Crivelli, da poco costruita.
La scritta sopra il bugnato dei pianterreno nomina l'orefice come committente: "Jo Petrus Cribellus Mediolanen. sibi ac suis a fundamenti erexit". La decorazione in stucco comprende tre stemmi, ora abrasi, uno di Giulio II, un altro di Urbano III, papa nel 1185, di origine milanese, il cui nome, Lamberto Crivelli, suggerisce un legame di parentela con il C.; nel terzo stemma si trovava probabilmente l'emblema di Paolo III, data la presenza di due bassorilievi nel terzo piano relativi ad avvenimenti del suo pontificato: in uno è raffigurato L'imperatore Carlo V, giunto a Roma in atto di baciare il piede di Paolo III (aprile 1536), nell'altro Il papa a Nizza riconcilia l'imperatore conFrancesco I (maggio-giugno 1538). Lo Gnoli (1891, p. 242) ipotizza che il disegno della decorazione in stucco del palazzo sia stato eseguito dal C., fatta eccezione per i bassorilievi di fattura qualitativamente inferiore; secondo A. Venturi,, invece, l'autore dovrebbe essere Giulio Mazzoni (Storiadell'arteitaliana, XI, 2, Milano 1939, p. 992).
II C., che era dedito alle opere di carità, nel 1539 partecipò attivamente al progetto di Giovanni da Calvi, commissario dell'Ordine di S. Francesco, di istituire a Roma il Monte di pietà: il 2 aprile dello stesso anno iniziarono i prestiti nella sua bottega ed il 3 giugno l'orefice cedette al Monte i diritti e l'uso della bottega e della casa sovrastante, mentre la bolla di Paolo III del 9 settembre sancì ufficialmente l'istituzione del Monte di pietà. A quell'epoca il C. era già vedovo, come dimostra il documento di concessione al Monte (Tamilia, 1900, pp. 115 s.). Malgrado la sua avanzata età. la sua bottega continuava egualmente a ottenere commissioni.
Il 14 luglio 1545 ricevette 196,80 scudi "per molte manifature et dorature de diversi argenti" (Arch. di Stato di Roma, Camerale I, Tesoreria segreta, 1293, f. 58r); il 3 marzo 1546 scudi 47,80 "per lavorj di argento" (ibid., f. 81v); il 14 maggio 1546 gli venne commissionato un Apostolo in argento per S. Pietro secondo la "maniera" di Raffaello da Montelupo (Arch. di Stato di Roma, Arch. notarile d. Rev. CameraApostolica, 456, f. 421v), statua che sarebbe andata perduta all'epoca della Repubblica romana (Gnoli, 1891, p. 240 n. 8). L'11 ag. 1547 ricevette scudi 240,76 per la fattura e l'argento di un S. Tommasoapostolo (Arch. di Stato di Roma, Camerale I. Tesoreriasegreta, 1293, f. 143v). La somma venne ritirata da Giovanni da Prato, che aveva assunto nel 546 la direzione della bottega del C. dopo esservi entrato come lavorante nel 1540 (Bulgari, 1958, p. 338).
Il 5 febbr. 1546 il C. aveva fatto testamento: chiedeva di essere sepolto accanto alla moglie e al fratello, nella chiesa di S. Lucia del Gonfalone.
Due anni dopo, il 12 sett., rifece testamento precisando che i beni lasciati al figlio naturale Giovan Francesco ed al nipote dovevano essere inalienabili; assicurava alla seconda moglie Onesta da Bracciano una pensione e faceva dono di otto case alle vergini orfane (i doc. cit. si trovano nell'Arch. capitolino, con la stessa collocazione riportata dallo Gnoli, 1891, pp. 287-90). Il 14 febbr. 1549 il C. donava in vita le case alle orfane (Acc. naz. dei Lincei, Arch. di S. Maria in Aquiro, D23/45, tomo 317, f. 2r): si tratta probabilmente delle case acquistate dal C. nel 1512 e nel 1544 (cfr. Portoghesi, 1972, p. 577). A questa donazione si riferisce la lapide un tempo esistente nella sala delle congregazioni dell'Arciconfraternita degli orfani (Forcella, II, 1873, p. 438).
Non restano opere a testimonianza della sua vasta attività di orafo. Il C. fu probabilmente anche medaglista: da Heiss (1887) in poi si attribuisce al C. una medaglia in bronzo con ritratto (un autoritratto?), conservata presso la Collezioni reale dei Museo civico di Torino (Medagliere, nn. 72, 74), dove, tuttavia, è catalogata fra le opere anonime.
Il C. morì a Roma l'8 giugno 1552 e venne sepolto nella chiesa di S. Lucia del Gonfalone, dove la lapide (ora in via delle Carceri, n. 9), scritta dal nipote Giovanni Angelo, lo ricorda cavaliere paolino, uomo religioso dedito alle opere di beneficenza; fu anche confratello della Compagnia della Grazia (P. Tacchi Venturi, Storia della Compagnia di Gesù, I, Roma-Milano 1910, p. 655).
GiovanFrancesco, figlio naturale legittimato dei C., nacque dopo il 1504, anno in cui il C. e sua moglie Elisabetta, avendo preso in enfiteusi una casa dall'ospedale dei Boemi fino alla terza generazione, dichiararono di non aver figli né legittimi, né naturali (Tamilia, 1900, p. 15).
Èforse identificabile con Giovan Francesco della Tacca (Gnoli, 1891, pp. 240 s.), citato dal Cellini (p. 252) come orefice milanese nel 1538 e che figura sui registri della corporazione dal 1534 al 1538 (Müntz, 1888, p. 22). Bertolotti (1881, I, p. 255) menziona un "Francesco Crivelli allievo orefice" che avrebbe assistito al processo tra Giovan Pietro Crivelli e Gian Maria da Camerino; non cita né la data né il documento relativo; ma altrove (Artisti subalpiniinRoma, Mantova 1884, pp. 117 s.), senza nominare Francesco, indica per questa causa la data 1536 e fa riferimento a un documento, peraltro non reperito, dell'Arch. di Stato di Roma.
Nel 1546 e nel 1548 Giovan Francesco viene nominato erede universale dal padre Giovan Pietro, tuttavia non si sa se a questa data egli si trovasse ancora a Roma, poiché in un passo dei secondo testamento viene nominato dal padre facendo seguire le parole "sin aut quatenus mortuus fuerit vel sit". Lo Gnoli (1891, p. 240) ipotizza che addirittura premorisse al padre, la cui lapide in S. Lucia del Gonfalone è firmata dal nipote Giovanni Angelo. Un ulteriore motivo che potrebbe rafforzare l'ipotesi dell'assenza di Giovan Francesco da Roma, o della sua morte, è che la direzione della bottega dell'ormai anziano padre passava nel 1546 al fiammingo Giovanni da Prato (Bulgari, 1958, p. 338).
Fonti e Bibl.: B. Cellini, Vita, a cura di G. Davico Bonino, Torino 1973, I, pp. 43, 252e n. (anche per Giov. Franc.); P. Morigia, Nobiltà di Milano [1615], Bologna 1979, cap. XII, libro V, p. 488; S. Imperi, Della chiesa di S. Maria in Aquiro in Roma, Roma 1866, p. 163; A. Bertolotti, in Arch. artist. archeol. e letter. d. città e prov. di Roma, Roma, 1875, I, pp. 85 s.; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese ... di Roma, II, Roma 1873, p. 438; VII, ibid. 1876, p. 432; A. Bertolotti, Artisti tombardi a Roma …, I-II Milano 1881, ad Indicem (anche per Giovan Francesco); Id., Artisti veneti a Roma..., Venezia 1884, p. 15; A. Armand, Les médailleurs italiens, Paris 1887, III, p. 61; A. Heiss, Le médailleurs de la Renaissance. Venise et les Vénitiens ...., Paris 1887, p. 199; V. Müntz, L'oreficeria a Roma sotto Clemente VII, in Arch. stor. d. arte, I(1888), pp. 14, 22(anche per Giovan Francesco). 36, 39 s., 133 s.; D. Gnoli, La casa dell'orefice Giampietro C., in Roma, ibid., IV (1891), pp. 236-42; Id., Testamento ed altri atti relativi all'orefice Giampietro C., ibid., pp. 287-90(anche per Giovan Francesco); D. Tamilia, Il Sacro Monte di Pietà. Roma 1900, pp. 15(per Giov. Franc.), 25, 101, 115 s., 117; C. von Fabriczy, Medaillen, Leipzig 1903, pp. 85 s.; A. Pettorelli, Giulio Mazzoni da Piacenza, Roma 1922, p. 24; B. Blasi, Stradario romano [1923], Milano 1971, p. 60; G. Morelli, Le corporaz. romane di arti e mestieri, Roma 1937, pp. 202 s.; M. Tosi, Il Sacro Monte di pietà e le sue amministrazioni, Roma 1937, pp. 30-36, 38doc. n. 8, 365; E. Zocca, La decoraz. d. stanza di Eliodoro, in Riv. d. Istituto naz. di archeol. e stor. d. arte, n.s., II (1953), pp. 337 s., 340, 342 n. 14, 343 n. 18; C. G. Bulgari, Argentieri, gemmari e orafi d'Italia, I, 1, Roma 1958, pp. 337s. (anche per Giovan Francesco); L. Grazzi, Medaglisti parmensi, in Parma nell'arte, IV (1972), p. 47; P. Portoghesi, Architettura del Rinascimento a Roma, Milano 1972, II, pp. 171, 466, 577, 579; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VIII, pp. 133 s. (ad voces).