CAVALLI, Giovan Pietro
Di famiglia appartenente all'ordine cittadino e solita a fornire personale ai quadri cancellereschi della Serenissima, il C. nacque, nel 1632, a Venezia da Francesco.
Non sappiamo, purtroppo, quanto sia esatta l'identificazione, suggerita dal Tassini, di questo con quel Francesco Maria, figlio, a sua volta, del mercante di lana Marchio, che sarebbe stato primicerio dell'Avogaria e addetto al consolato d'Aleppo e dal cui matrimonio con Cecilia Cardinal sarebbero nati - sempre secondo il Tassini -, oltre al C., Giustiniano, Marchio, Girolamo e Domenico.
Certo, ad ogni modo, che il C., divenuto straordinario della Cancelleria ducale il 24 luglio 1651, abbia dapprima - così un lusinghiero riconoscimento dei Pregadi - data prova di fede "incontaminata e diligenza essemplare... supplendo a' registri e portandosi in armata" col capitano generale da Mar Lazzaro Mocenigo nel 1656-1657. Fu poi scelto dal futuro cardinale Pietro Basadonna "a servire nella segretaria" nel corso della sua ambasciata, del maggio 1661 - novembre 1663, a Roma, con sua piena soddisfazione: nella relazione del 18 maggio 1664 egli infatti non esitava ad affermare, a proposito del C., che "con applicatione, sufficienza et buoni costumi ha esercitato così bene il suo carico che, per opera sua, sono comparse meno le imperfetioni del mio". Destinato, sul finire del 1666, dal Consiglio dei dieci ad accompagnare il segretario Girolamo Giavarina inviato ad avviare trattative di pace col primo visir Ahmed Köprülu che dirigeva l'assedio di Candia, il C. non si sottrae alla disposizione; fa, tuttavia, presenti, in una supplica del 9 dicembre, la sua difficile situazione familiare e la sua posizione, di carriera e di retribuzione, tutt'altro che brillante.
In effetti, anche se non va escluso abbia un po'caricato il tono e incupite le tinte, aveva di che lamentarsi: dopo sedici anni di "indefessa applicatione" la "provisione" mensile non superava i 7 ducati e la qualifica era sempre quella iniziale di "straordinario di cancelleria ducale"; doveva mantenere "un fratello carico di figliuoli e la madre decrepita",mentre "la casa" era "esausta per la naturale povertà e per li dispendi" provocati dai suoi "impieghi passati". Favorevolmente impressionato dalla pronta disponibilità del C. a "intraprendere il presente nuovo gravissimo impiego",commosso dall'accorato richiamo alle sue precarie condizioni finanziarie, il Senato - volendo partisse "animato dalle publiche gratie" - dispose, il 18, a testimonianza, appunto, "del publico gradimento",la "espettativa di ducati 10... al mese... dopo l'altre concesse che restano 7 in circa" e raccomandò, nel contempo, da parte del Consiglio dei dieci, la concessione d'un "avanzamento" di grado; e il 19, con immediata adesione, i Dieci lo promossero ordinario di cancelleria.
Imbarcatosi col Giavarina e il seguito sulla nave "Speranza" il 27 genn. 1667, affronta i trentasette giorni di viaggio sino a Zante, estenuanti per la lentezza della navigazione, contrastata ora dalla bonaccia ora dagli scirocchi contrari, e funestati da un'epidemia che miete ben trentaquattro vittime a bordo.
Segue, resa pesante dalla forzata inattività e dalla "penuria estrema d'ogni cosa",accompagnata da una spropositata crescita dei prezzi, una prolungata attesa, nell'isola, della possibilità di guadagnare Candia. Solo il 7 luglio è possibile partire con una nave della squadra di Faustino da Riva; preceduto da trattative coi sospettosissimi Turchi, c'è, il 24, lo sbarco dopo il quale il Giavarina, il C. e il resto della "famiglia",accolti da un pascià dalla "maestosa presenza",vengono alloggiati nella "casa" del kyāhyā del primo visir, "sorta di quartiere per le milizie" prossimo al mare e, ancor più, al "campo turchesco". Qui sono sottoposti ad una sorveglianza talmente rigida - "impedita ad ogn'uno... l'uscita, vietata totalmente la prattica con chi si sia" - che il Giavarina non esagera, come scrive in una delle poche sue lettere pervenute al Senato, a parlare di "prigione" inasprita dallo spettacolo quotidiano del "tormento inferito alla povera città di Candia" dall'esercito ottomano.
Il 18 novembre muore il Giavarina e poco dopo scompare anche Giovan Battista Padavino, un altro segretario giunto a Candia per sondarvi una qualche eventualità di pace; e a entrambi il primo visir - poiché le loro commissioni non autorizzavano che il solo avvio di trattative - aveva negato l'udienza. Non resta che il C., il quale, anche se nominato, il 22 febbr. 1668, segretario del Senato (e lo saprà solo un anno dopo), è di loro assai meno autorevole e, per di più, impossibilitato a mantenere i contatti ("le guardie molto accurate che tengono turchi" impediscono "di farli capitar lettere",lamenta il capitano generale dell'armata Francesco Morosini), e privo delle necessarie istruzioni.
E la "clausura" si fa ancor più "rigorosa",quando, nell'estate, è trasferito, col seguito di sedici "persone" (due dragomanni, il medico, il "raggionato",il cappellano, il "cerugico" e i "servitori"), a Retimno, "luogo habitato solo da' turchi": la "custodia" vi è infatti tale - riferiscono il 23 luglio due confidenti al provveditor generale da Mar Caterino Comaro - che è impossibile, essendo vietato "passar alcuno da quella contrata dove alloggia",scambiar parola col Cavalli. Né a questo, durante la "dimora infruttuosa",riuscì di rompere il soffocante isolamento garantito da due āghā, un chiaus con giannizzeri "di natura fiera ed indiscretti": atterriti, i "confidenti" desistettero dal "continuare" i tentativi di contatto; il naufragio del "messo" che tentava il collegamento tra lui e il capitano generale fa capitare nelle mani del pascià di Canea le sue lettere, quelle dei "rappresentanti di Candia" e una del visir al doge. La quale ultima "divolgata, fu incolpato il visir stesso" di segrete intese con Venezia, sicché questo, a testimonianza dei suoi immutati sentimenti antiveneti, dovette far arrestare sette turchi coinvolti nelle avances di pace ed accondiscendere a un ulteriore irrigidimento della reclusione del Cavalli.
Spiegabile il Senato ritenga, in questa situazione, inutile la sua permanenza e scriva, il 15 settembre, ad Alvise Molin (il "gentiluomo inviato" per ulteriori tentativi di pace), che, in merito al C., dato il "dispendio" arrecato dal "suo sostenimento" e da quello delle "famiglie dei... deffonti ministri" Giavarina e Padavino "sarebbe conferente... poter non solo sgravarsene, ma dar adito ancora di prevalersi di quei publici capitali" che il C. "ha seco di danaro e provisioni". Obbediente, il Molin - mentre non ha possibilità d'accelerare la conclusione del conflitto esigendo il visir la preventiva cessione della "piazza" assediata - s'adopera per liberare il C. dalla "prigionia strettissima" e costosissima (è costretto, infatti, a continui donativi alle "guardie") imposta dal bey di Retimno. L'esito è positivo: "dopo 16 mesi di "angustie" - scrive il 15 aprile il C. stesso al Senato - il Molin "mi levò... da Rettimo... e seco mi condusse qui in Canea con un solo servitore",presto raggiunto dalle "robbe e genti".
Il C. provvede a consegnargli "quasi tutto il denaro... di publica ragione",circa 5.000 "reali",assieme a "pani d'oro seta e lana",del valore complessivo di 5.000 ducati, salvati dall'ingordigia dei custodi. Scomodissima - il C. e il Molin, coi rispettivi seguiti (quarantasette persone circa in tutto) sono stipati in "angustissimo loco",- carissima ("un'occa di carne che a Costantinopoli nelle estreme strettezze val 5 aspri... qui costa 48",lamenta il Molin) e rischiosa per la salute (il C., reduce da "due malattie gravissime" che a Retimno l'avevano ridotto "a gl'ultimi estremi",ha una ricaduta) la successiva permanenza alla Canea sino al 10 giugno, quando il C. può finalmente partire, preceduto dal minuziosissimo rendiconto, spedito l'8, delle spese sostenute dal 18 nov. 1667 al 18 apr. 1669.
Una volta a Venezia, il C. prega, il 14 novembre, il Senato d'accettare anche le spese sostenute tra il 10 giugno e il 26 ottobre, "giorno che fui licentiato dalla contumacia". E i Pregadi, il 16, con la "bonificatione delle spese fatte, ne' quali apparisce il risparmio con publica soddisfattione essatamente praticato" deliberarono il concreto riconoscimento dei "copiosi meriti" adornanti "l'animo del circospetto" C. assegnandogli il "salario medesimo" stabilito a suo tempo per lo scomparso Padavino; sì che il suo stipendio sale a "scudi 170, da lire 7 l'uno, al mese". A questo punto si fermano le notizie sul C.; probabilinente il suo servizio non dovette proseguire molto.
Le "tante angustie",le "iatture afflitioni e martirii continui" subiti a Candia aggravati dal cruccio, che in lui s'avverte sincero, di una "dimora... di poco frutto" - la "colpa",insiste, "non è mia, ma di una tirannica potenza che non ha altro per base che di far procurare rigori e bestialità" -, esasperati dall'angoscia per le "ben povere e miserabili fortune" e pel "total sconcerto delle cose mie" dovevano averne precocemente minato il fisico e il morale.
Il fatto che Girolamo Venier, nelle relazioni delle sue ambasciate in Francia e presso l'Impero, rispettivamente del 1689 e del 1692 - laddove elogia, nella prima, il coadiutore e, nella seconda, il segretario Giovanni Pietro Cavalli, sicuramente figlio d'un fratello del C. - non faccia il benché minimo cenno a lui induce a supporre sia ormai scomparso da vari anni; né gli è sopravvissuto il ricordo della sua coraggiosa abnegazione.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Senato. Dispacci Costantinopoli, filze 152, 153 (in questa anche due lettere del C., del 5 apr. e 8 giugno 1669), passim;Ibid., Senato. Lettere provveditori da terra e da mar, filza 1114 (cenni sul C. in lettere di Francesco Morosini del 5 febbr., 1º marzo, 8 ag. 1668 e in lettera a lui inviata il 22 genn. 1668 e in lett. del 23 luglio 1668, a Caterino Cornaro); Ibid., Senato. Deliberaz. Costantinopoli, regg. 31, cc. 161v-162r e 32, cc. 26v-27r, 34r, 47r-48r; filze 37 (alla data 18 dic. 1666) e 38 (alla data 16 nov. 1669); Ibid., Consiglio dei Dieci. Diario 1666-1668, alla lettera G. alla data 19 dic. 1666; Ibid., Misc. Cod. I, St. Ven. 5: T. Toderini, Genealogia delle fam. ven. ascritte alla citt. …, sub voce Cavalli; Ibid., St. ven. 11: G. Tassini, Cittadini ven. …, sub voce Cavalli; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It.,VII, 1608 ( = 7514), I: [C. Paganino], Diario della speditione dell'ill.mo Molin... alla corte del Gran Signore, pp. 75-78 passim;Ibid., Mss. It., VII, 847 (= 8926): Raccolta dei consegi, XXXV, c. 136v; Ibid., Mss. It., VII, 1667 (= 8459): Elenco degli ord., straord., segr. di Pregadi e cancellieri grandi...,c. 12v; Le relazioni... lette al Senato dagli amb. Ven. …, a cura di N. Barozzi-G. Berchet, s. 3, II, Venezia 1878, p. 289 (cenno sul nipote omonimo del C., ibid., s. 2, III, Venezia 1863, p. 490; altro cenno sullo stesso in Fontes Rerum Austriacarum, s. 2, XXVII, a cura di J. Fiedler, Wien 1867, p. 343e in Relazioni…, a cura di L.Firpo, IV, Torino 1968, p. 377); Dispacci degli amb. al Senato. Indice, Roma 1959, p. 23;B. Nani, Historia della Repubblica ven.,in Degl'istorici delle cose ven. .... IX,Venezia 1720, p. 546; T.Bertelè, Il palazzo degli amb. di Venezia a Costantinopoli...,Bologna 1932, pp. 208,418; S. Carbone, Note... ai dispacci... dei rappresentanti... ven. …, Roma 1974, p. 20.