CINICO, Giovan Marco (Giovan Marco da Parma)
Nato a Parma verso il 1430, giovanissimo dimorò per qualche tempo a Firenze, dove apprese l'arte del calligrafo alla scuola di Pietro Strozzi.
Il soggiorno fiorentino deve collocarsi intomo alla metà del secolo, perché nella dedica a Diomede Carafa, premessa alla stampa del Confessionale di s. Antonino, il C. scrive di essere stato "familiare" del santo "Per alquanto tempo nel MCCCCLXII" (Fava-Bresciano, II, p. 120): ma la data 1462 è un errore per 1442, o piuttosto 1452, essendo s. Antonino Pierozzi morto nel 1459.
Nel 1458 si stabilì a Napoli: nella sottoscrizione all'Astronomia di Arato (cod. n. 12 dell'elenco compilato dal De Marinis, I, pp. 46-51) per Andrea Matteo Acquaviva, del 1469, dice che l'anno è l'undicesimo della sua dimora napoletana. E a Napoli, forse, prima dei giugno, del '58 trascrisse per Alfonso il Magnanimo il codice (n. 64) del De evitandis venenis et - eorum remediis libellus di Giovanni Martino de Ferrariis. Nell'estate del 1465 era a Palermo, dove il 31 luglio terminò la trascrizione della Naturalis historia di Plinio (n. 2). Tornò a Napoli nel corso dello stesso anno, se l'"Eutropio" della Vaticana (n. 3) per Antonello Petrucci, datato Napoli 1461 fu copiato dopo il "Plinio". Comunque, il 13 ag. 1466, a Napoli, sottoscriveva la copia per la duchessa d'Andria dell'Etica di Aristotele nel volgarizzamento di Niccolò Anglico (n. 4). Forse già dal 1469 scrittore regio, il C. ricevette per questo ufficio, ininterrottamente dall'11 luglio 1471 al settembre 1497, un assegno mensile di 10 ducati, accompagnato da frequenti donativi di stoffe per i suoi abiti. Dal marzo 1488 ebbe al suo servizio un garzone stipendiato dalla corte e dall'8 novembre dello stesso. anno beneficiò di una certa quantità di candele. Fu anche regio bibliotecario, come fanno supporre le numerose cedole della Tesoreria aragonese attestanti frequenti rimesse di somme a suo nome per l'acquisto di codici o per la miniatura e legatura di altri, e alcuni volumi, manoscritti e a stampa, appartenuti alla Biblioteca Aragonese, recanti in calce la sua firma.
Ancora celibe nel 1472, se nella sottoscrizione al "Francesco Barbaro, De re uxoria" (n. 28), di quell'anno, si dichiara "uxoris nescius", sposò in seguito, per interessamento di Diomede Carafa, la nobile Giovanna Ferrillo.
Intorno al 1487 il C. strinse una società per l'esercizio dell'arte tipografica con Mattia. Moravo e Pietro Molino: se ne trova notizia nelle dediche a Diomede Carafa e a Beatrice d'Aragona che sono premesse alle edizioni del Confessionale di s. Antonino (Indice generale degli incunaboli delle Biblioteche d'Italia, I, n. 684), senza anno (ma anteriore al 17 maggio, 1487, data di morte del Carafa), e dei Sermones de laudibus sanctorum di Roberto Caracciolo, del 31 genn. 1489 (ibid., II, n. 2458). Alla società deve assegnarsi anche la stampa senza data, ma del 1489 circa, del Trattato dell'ottimo cortegiano di Diomede Carafa con dedica dei C. a Beatrice d'Ungheria (ibid., II, n. 2508; Fava-Bresciano, II, nn. 139, 141, 142). Per i Sermones di fra' Roberto, di cui furono stampate duemila copie, il Moravo e il C. ottennero dal re con bando del 22. ag. 1489 che nessun'altra edizione dell'opera potesse essere venduta nel Regno sino all'esaurimento dei volumi della società.
Nel 1487 citò in giudizio Francesco Del Tuppo, che non aveva rispettato certi patti per la stampa di un manuale, e ne fece sequestrare gli esemplari. La controversia durò sino al 1493, quando un "arbitrium boni viri" assegnò al Del Tuppo 94 ducati. Precedentemente i rapporti tra i due erano stati amichevoli: fu il C. che procurò al Del Tuppo l'esemplare del Novellino di Masuccio per la stampa del 1476, come si legge nella dedica a Ippolita Sforza (cfr. Masuccio Salersnitano, Il Novellino, a cura di L. Settembrini, Napoli 1874, pp. XXXIII-XXXV).
Dalla sottoscrizione alle Decades dì Flavio Biondo (n. .51) del 1494 si apprende che in quell'anno dimorava in Castel Nuovo. Il C., menzionato per l'ultima volta in una cedola della Tesoreria aragonese del 31 marzo 1498 (De Marinis, II, doc. 955), morì dopo il 1503.
Nel ms. 1706 della Biblioteca Casanatense a c. 24v, in calce alle epistole di Ippocrate nella versione latina di Rinuccio d'Arezzo per Niccolò V, si legge: "Ioannes Marcus Parmensis Cynicus Cristi coclea Parthenope exaravit MDIII"; segue della stessa mano dei C. l'epistola del Petrarca a Niccolò Acciaiuoli (Fam., XII, 2) senza sottoscrizione. Il codice sfuggito al De Marinis (cfr., invece, I codici petrarcheschi..., Roma 1874, n. 326; Kristeller, Iter Italicum, II, p. 95), non ha dedica e probabilmente fu trascritto, caduti gli Aragonesi, per conto di qualche privato o per uso personale.
Il soprannome "Cinico", piuttosto che traduzione dell'altro appellativo "Velox", è da. interpretarsi "seguace dell'antica scuola filosofica e tale è ricordato nel sonetto LX di Giannantonio Petrucci (E. Perito, La congiura dei baroni..., Bari 1926, p. 255), nell'epistola indirizzatagli dal musico fiammingo Jean Tinctor (De Marinis, I, p. 80, nota 76), nelle Institutiones grammatice del Musefilo (Napoli, Bibl. naz., ms. V.C.12); tale parrebbe dalle sottoscrizioni di alcuni suoi codici, nelle quali "quasi come a correzione del vocabolo pagano" (Percopo, p. 125) Si dichiara "Cynico Christianissimo" (nn. 39, 62) e "Cynico Coclea Christianissimo" (n. 65), "Cynicus Christi et honestatis famulus" (n. 52), "Cynico Coclea pernicie delli blasphemi, de Christo" (n. 61) "Cynicus Christi coclea" (n. 64; cod. Casan. 1706), e "Cynico Coclea servo de Christo" (dedica alla stampa del Trattato citato dei Carafa). Anche l'appellativo "Coclea", pertanto, deve intendersi come correttivo di "Cinico" ("Christi coclea") oppure come rafforzativo ("chiocciola"), allusione alla vita riservata e parca del C., tanto elogiata dal Calenzio (si vedano le lettere a cc. 52v, 60v, 71rv degli Opuscula, Romae 1503). giudicata, invece, bizzarra dal Brancati nel suo Memoriale a Ferrante (De Marinis, I, p. 252). Il C. fu amanuense eccellente, anche se spesso più elegante che accurato. I numerosi codici da lui trascritti subirono la sorte della Biblioteca Aragonese, e sono sparsi un po' dovunque; molti probabilmente sono ancora da rintracciare e da attribuirgli. L'elenco più completo resta, con tutti i suoi limiti, quello offerto dal De Marinis.
Il C. è noto anche come modesto compilatore e volgarizzatore. Raccolse un Catalogo de li sancti martiri, perduto (ne trascrisse una copia Francesco da Pavia tra la fine del 1491 ed il febbraio 1493); un Libro della observantia delli re e delli subditi (cod. Vat. Chig. L VII 269) dedicato a Ferrante, centone di esempi di clemenza e di obbedienza tratti da "peregrini et varii auctori", scritto, pare, prima del 1487; un Elencho historico et cosmographo (cod. Vat. Chig. M VIII 159), compendio di storia letteraria ad uso di re Ferrante (edito in De Marinis, I, pp. 231-243). L'opera è databile tra il 1482 e l'89, dal momento che si dice già morto Ludovico Carbone (1482) e che "Aristotele de la Historia de li animali non è in libraria" (il codice aragonese fu trascritto nell'89); ma potrebbe essere stata iniziata prima dell'81, se si identifica il volume di Aristotele con il manoscritto del De animalibus, oggi perduto, che Baldassarre Scariglia consegnò rilegato il 31 luglio 1481 (De Marinis, II, doc. 638). La compilazione, velocissima, non rivela- rpbusta cultura e non è esente da sviste grossolane. Fa scrivere, infatti, al Valla una biografia di Ferrante, confondendola con quella del padre di Alfonso il Magnanimo (Gesta Ferdinandi regis Aragonum), che il Valla scrisse a Napoli intorno al 1445-46 con un proemio sulla utilità della storia, cui il C. allude. Attribuisce, inoltre, ad Arnaldo di Bruxelles il Libellus de mirabilibus Puteolorum di G. B. Elisio, medico e filosofo napoletano, ed al tipografo tedesco attivo a Venezia Erhard Ratdolt, il Fasciculus temporum di W. Rolewinck.
Ridusse in volgare per Ferrante il Libro de' falconi et altri uccelli di rapina di Moamyn Arabico (cod. Ashburn. 1249 della Laurenziana: De Marinis, I, n. 65, e II, pp. 111 s.) nella versione latina di Teodoro Antiocheno, e l'Epithoma del sito del mondo et delle mirabile cose in ipso sono di Solino (cod. Ital. 84 della Nazionale di Parigi: De Marinis, I, n. 60, e II, p. 152).
Avrebbe anche scritto un libro "intitulato lo Exiciale al quale sono notati tucti li Ri et signuri sonno morti de violente morte dal principio. del mundo fin al presente" (De Marinis, II, doc. 785, del 27 apr. 1491).
Fonti e Bibl.: Mem. d. scritt. e lett. parmigiani, a cura di I. Affò, continuate da A. Pezzana, VI, 2, Parma 1827, pp. 267-70, 418 s., 950, 986; A. Marsand, I manoscritti della Regia Bibl. Parigina, I, Parigi 1835, pp. 16 s.; G. B. Jannelli, Dizion. biogr. dei Parmigiani..., Genova 1877, pp. 113 s.; G. Filangieri, Docc. per la storia, le arti e le industrie delle prov. napol., I, Napoli 1883, pp. XXII; N. Barone, Le cedole della Tesoreria arag. dell'Arch. di Stato di Napoli..., Napoli 1885, ad Indicem; G. Mazzatinti, La Bibl. dei re d'Aragona in Napoli, Rocca San Casciano 1897, pp. LVIII-LXIII, XCVII s. e passim (rec. di E. Percopo, in Rass. crit. della lett. ital., II[1897], pp. 120-32); M. Fava-G. Bresciano, La stampa a Napoli nel XV sec., I, Leipzig 1911, pp. 64-74; II, ibid. 1912, nn. 139, 141 s.; A. de Hevesy, La bibliothèque du roi Matthias Corvin, Paris 1923, pp. 19 s.; A. Mauro, Francesco del Tuppo e il suo "Esopo", Città di Castello 1926, pp. 44, 54 (e docc. XXVII-XXX); B. Croce, Icarmi e le epistole dell'umanista E. Calenzio, in Arch. stor. perle prov. napol., n.s., XIX (1933), pp. 270-273 (poi in Varietà di storia letter. e civile, I, Bari 1949, pp. 23-26); E. Mayer, Un opuscolo dedicato aBeatrice d'Aragona, in Studi e docc. italo-ungheresi della R. Accad. d'Ungheria a Roma, I(1936), pp. 207 ss.; A. Altamura, La Bibl. Aragon. e i manoscritti inediti di G. M. C., in La Bibliofilia, XLI (1939), pp. 418-26; Id., Per alcuni codici del C., ibid., XLII (1940), p. 120; T. De Marinis, Labibl. napol. dei re d'Aragona, Milano-Verona 1947-1969, I-II e Suppl. I, ad Indices; V. Branca, Un codice aragon. scritto dal C., in Studi non. di T. De Marinis, I, Roma-Verona 1964, pp. 163-215; L. Monti Sabia, L'humanitas di Elisio Calenzio alla, luce del suo Epistolario. in Ann. della Fac. di lett. di Napoli, XI(1964-68), pp. 175-251; M. Fuiano, Insegnamento e cultura a Napoli nel Rinascim., Napoli 1973, pp. 33-738 passim; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I-II, ad Indices.