Trissino, Giovan Giorgio
, Letterato (Vicenza 1478 - Roma 1550). A lui si deve il recupero del De vulg. Eloquentia, ignorato o negletto per due secoli. Umanista provetto, il T. non ritenne che il testo di D. potesse vincere l'impazienza di lettori ormai assuefatti a un latino tutt'altro: già si stentava in Italia a leggere il latino del Petrarca; quello di D. doveva considerarsi illeggibile da un umanista (non naturalmente dal frate Moncetti, editore della Quaestio).
Pertanto il T. allestì e pubblicò un volgarizzamento (Vicenza 1529), premettendo una lettera dedicatoria al cardinale Ippolito de' Medici, da lui senza dubbio scritta ma firmata da un suo giovane amico, Giovan Battista Doria, forse figlio di quell'Arrigo Doria che compare in altra opera del T., il Castellano. È probabile che il T. stimasse compito indegno di un letterato del suo rango il volgarizzamento di un'opera, che per il contenuto era importante, ossia utile, ma che non si prestava a un uso retorico: onde l'anonimato del volgarizzamento e l'attribuzione ad altra persona della dedica. Comunque sulla responsabilità e proprietà del T. non poteva sorgere dubbio, perché il volume faceva corpo con quelli delle altre sue opere, stampate via via in quello stesso anno a Vicenza dal suo stampatore domestico, Tolomeo Ianicolo.
La finzione tuttavia bastò perché un qualche dubbio sorgesse sull'autenticità dell'opera attribuita a D.; mancando il riscontro dell'originale, era possibile, se non lecito, supporre che il T. lo avesse, volgarizzando, rimanipolato a suo modo, o che addirittura avesse perpetrato un falso. Era una supposizione assurda, ma che faceva comodo a quelli che nella scottante questione della lingua repugnavano alla tesi del T. e che, facendosi essi stessi forti dell'autorità di D., volevano a ogni costo impedire che questa, inaspettatamente, risultasse favorevole alla parte avversa. Si spiega così che non soltanto in Toscana, dove l'interesse e la passione erano più forti, ma anche altrove la riesumazione del De vulg. Eloq. non riuscisse a mutare i termini del dibattito, e che finalmente a Parigi, non in Italia, sia pure a opera di un geniale filologo fiorentino, apparisse il testo originale del De vulg. Eloq., poco meno di quarant'anni dopo la stampa del volgarizzamento. Questo fu ristampato a Ferrara nel 1583, luogo e data notevoli, quando si pensi al Tasso e ai rapporti dell'opera di lui con quella di D. da un lato, del T. dall'altro. Il dibattito che si appuntò sul T., sulle sue idee e proposte linguistiche, piuttosto che su D. e sul De vulg. Eloq., indirettamente però contribuì, come nel Tasso per l'appunto si vede, a rinvigorire l'influsso dell'opera maggiore di D. sulla nuova letteratura.
Il T. fu indotto a riesumare il De vulg. Eloq. perché ne risultava autorevolmente confermata, con un sorprendente anticipo di due secoli, quella dottrina di una lingua e letteratura volgare, ma non dialettale, aristocratica e aulica, comune all'aristocrazia e alle corti di tutta Italia, che da più parti era stata proposta fra Quattro e Cinquecento e alla quale il T. stesso era propenso.
Nell'ambito di questa dottrina o scuola, comunemente detta cortigiana, si era da ultimo aperta una frattura a opera del Bembo, le cui Prose della volgar lingua, stampate a Venezia nel 1525, ma offerte in esemplare di dedica al papa l'anno prima e senza dubbio già allora note e discusse a Roma, dove il T. si trovava, includevano un violento attacco polemico alla dottrina cortigiana e la proposta di una letteratura rigorosamente fedele, nella lingua e nello stile, ai modelli toscani del Trecento, con assoluta preferenza per il Petrarca e per il Boccaccio e con forti riserve su Dante. Per più motivi il T. era risolutamente, se anche rispettosamente, avverso al Bembo. A Roma, in quello stesso anno 1524, con altre sue opere in verso e in prosa, egli pubblicò una proposta di riforma ortografica da cui risultava la sua adesione alla scuola cortigiana e il proposito, esemplificato da altra sua opera (la tragedia Sofonisba) di battere una via diametralmente opposta a quella raccomandata dal Bembo. Al tempo stesso, come risulta dalle reazioni che la sua proposta ebbe, egli dovette nella discussione orale addurre l'autorità del De vulg. Eloq. e in genere di Dante. Si spiega che poco dopo il dibattito letterario fosse interrotto dalla tragica crisi politica abbattutasi su Roma e conseguentemente su Firenze, e che, riaprendolo nel 1529 con la stampa o ristampa a Vicenza delle sue opere, il T. attenuasse la sua adesione alla scuola cortigiana e insistesse invece nel dialogo Il Castellano sul carattere italiano della sua tesi linguistica e sulla conferma che il De vulg. Eloq. gli forniva.
Allora e poi sempre, come risulta dal poema L'Italia liberata (1547-48) e dalle ultime due parti della Poetica, apparse postume (1562), il T. perseguì con scarso successo poetico ma con eccezionale vigore e rigore critico il miraggio di una letteratura italiana che, pur sviluppandosi secondo i modelli classici raccomandati dalla nuova scuola umanistica, riconoscesse in D., non nell'amoroso Petrarca e nel lascivo Boccaccio, il suo primo e maggiore maestro di lingua e di poesia: D. che, com'è detto nei Dubbi grammaticali (ediz. Maffei, p. 217), " per dottrina, ingegno et arte ottiene ne la nostra lingua il principato " e che, come è conclusivamente detto nella Poetica (p. 112), sta nel novero degli " eccellentissimi poeti di ogni lingua " con Omero e Virgilio. Il rapporto fra D. e Omero, al di sopra dell'intermedio Virgilio, torna e si precisa e giustifica nella Poetica del T., che erede in ciò dell'umanistica riscoperta di Omero nel tardo Trecento (e per quanto attiene D., del commento di Benvenuto), in ciò anche anticipa la successiva riscoperta dell'uno e dell'altro poeta nel tardo Settecento.
Bibl.-Ancora fondamentale, benché invecchiata, la monografia di B. Morsolin, Firenze 1894. Fondamentale l'edizione a c. di Scipione Maffei di Tutte le opere del T., Verona 1729. Utile per le note che l'accompagnano la ristampa della Poetica nella raccolta di Trattati di poetica e retorica del '500, a c. di B. Weinberg, Bari 1970. Per il volgarizzamento del De vulg. Eloq. e per le discussioni che ne precedettero e seguirono la stampa, la fondamentale introduzione di P. Rajna alla sua edizione del trattato, Firenze 1896 (rist. ibid. 1965), dev'essere in parte corretta a seguito dell'articolo di C. Grayson, Machiavelli e Dante. Per la data e l'attribuzione del Dialogo intorno alla lingua, in " Studi e Problemi di Critica Testuale " II (1971) 5-28: né per il dialogo, né per la discussione suscitata a Firenze e Roma dal T. con la sua riesumazione del De vulg. Eloq., è accettabile oggi la data anteriore al 1516 proposta dal Rajna. Ciò non toglie che già a quella data il T. fosse studioso e ammiratore di D.: notevole la citazione di Rime L in una lettera a Isabella d'Este del 25 nov. 1515 (in " Giorn. stor. " XXXVII [1901] 234-235).