ALBERTI, Giovan Giorgio
Nacque a Firenze da Braccio Andrea il 15 sett. 1712. Abbracciato lo stato ecclesiastico, studiò a Pisa scienze e diritto canonico e si addottorò poi a Firenze in teologia. Nel 1732 divenne canonico della Metropolitana; insegnò per qualche tempo istituzioni canoniche nel seminario fiorentino. Fondò con altri a Firenze nel 1742 il Giornale de' letterati (in cui si conservano anonimi alcuni suoi scritti), e una Accademia letteraria ed ecclesiastica che si riuniva in via del Cocomero. Fu membro dell'Accademia Fiorentina e di quelle della Crusca e degli Apatisti. Morì proposto della cattedrale di Prato il 30 marzo 1772.
Varie sue composizioni d'occasione sono legate alla sua attività più propriamente ecclesiastica: quali l'orazione per il sinodo fiorentino del 1732 dell'arcivescovo G. Martelli, inserita nella raccolta dei decreti (Florentiae 1733) e l'orazione funebre per Francesco Stefano di Lorena, Delle lodi della Sacra Cesarea Maestà di Francesco primo Imperadore de' Romani... Granduca di Toscana, Firenze 1766; una sua Epistola ad amicum de Divinae Scripturae literali sensu explicando a canonico interprete in Cathedralibus, Luteciae Paris.
(Firenze?) 1740, riassume le lezioni da lui tenute nella cattedrale fiorentina ed è una difesa della interpretazione letterale della Scrittura contro quella mistica.
Ma buon conoscitore del francese e dell'inglese e appassionato di cose teatrali, l'A. si dedicò alla traduzione di alcune tragedie di P. J. Crébillon (la traduzione della Semiramide, uscita in seconda edizione a Pisa nel 1786, per opera di un "accademico fiorentino" potrebbe facilmente attribuirsi a lui) e compose egli stesso, con intenti moraleggianti, tre "tragici drammi",il Decemvirato, il Maometto IV e Gli Americani.
Quest'ultimo, apparso anonimo a Firenze nel 1768, si distacca dagli altri per taluni motivi che è dato d'incontrare di rado nelle tendenze sostanzialmente moderate dell'illuminismo toscano: in esso l'A., sulle orme di Rousseau, ma in più cauta elaborazione letteraria, che riveste e attutisce i concetti rivoluzionari deI modello, intese esaltare l'uomo di natura, la "felice libertà" delle foreste e più che l'eguaglianza, concetto troppo precisamente politico, la fratellanza degli uomini.
Bibl.: Novelle letterarie, Firenze 1768, coll. 513-514; Firenze 1772, coll. 289-291 (necrologio); D. Moreni, Bibliografia stor. ragionata della Toscana, I, Firenze 1805, p. 18; L. Passerini, Gli Alberti di Firenze. Genealogia, storia e documenti, I, Firenze 1869, tav. IX e pp. 234-236;R. Mori, J. J. Rousseau ed il pensiero politico toscano del '700, in Arch. stor. ital., CII (1944), p. 104; L. Caetani, Saggio di un Diz. bio-bibliogr. ital., n. 5692; G. Mazzatinti, Inventari dei manoscritti delle Bibl. d'Italia, LXVII, p. 64.