SEMENTI, Giovan Giacomo
– Nacque a Bologna il 27 agosto 1583 da Vincenzo Sementi.
La sua formazione professionale si svolse nella città emiliana nelle botteghe del fiammingo Denys Calvaert e di Guido Reni, che accompagnò a Roma durante il soggiorno tra il 1609 e il 1612 (Pellicciari, 1984, p. 25; Negro, 1992, pp. 327 s.). Verso il 1610 collaborò forse con Francesco Albani alla decorazione del palazzo Giustiniani Odescalchi a Bassano Romano (Spear, 1982, pp. 157 s.). Nei primi anni del secolo, insieme con il collega Francesco Gessi, Sementi avrebbe avviato una proficua collaborazione con il maestro Reni, dedicandosi alla «realizzazione» – come è stato scritto – «di numerose opere di destinazione pubblica e segnatamente chiesastica» incentrate su un «classicismo di marca più spiccatamente reniana nel panorama artistico bolognese del secondo decennio» (Pellicciari, 1992, pp. 187 s.). Risalgono a questa fase il Martirio di s. Eugenia e il Martirio di s. Orsola, dipinti verso il 1610-15 per la chiesa di S. Martino (il primo nella Pinacoteca nazionale di Bologna, il secondo ancora in situ), e il S. Francesco in estasi di S. Caterina in strada Maggiore, quadri in cui Sementi appare vicino alla fase caravaggesca di Reni e in cui non mancano riferimenti al tardomanierismo romano apprezzato durante il viaggio nella città papale (Negro, 1992, p. 328; Pellicciari, 1993, pp. 337 s.). Nel 1615-20 collaborò con Gessi e Bartolomeo Marescotti sotto la direzione di Reni, che fornì i disegni preparatori, agli affreschi della cappella del Sacramento nel duomo di Ravenna, commissionata dal cardinale Pietro Aldobrandini, partecipando alla decorazione della cupola (gli si attribuiscono i putti a sinistra di Cristo), dei pennacchi (David, Isaia, Salomone, Zaccaria) e dei pilastri (Santi; Pellicciari, 1984, p. 26; Negro, 1992, pp. 328, 333). Soddisfatto del risultato, nel 1618 Reni inviò la collaudata équipe formata da Sementi, Gessi e Marescotti ad affrescare per il duca Ferdinando Gonzaga la villa Favorita a Mantova, la cui decorazione risulta perduta, ma fu progettata e realizzata in autonomia dai tre artisti e completata da Francesco Albani (Negro, 1992, pp. 328, 331 s.; Pellicciari, 1993, p. 340). Databile al 1620 e affine alle due pale per S. Martino e al Martirio di s. Caterina d’Alessandria, già sull’altare della cappella Marescalchi in S. Francesco e attualmente nella Pinacoteca nazionale, il Cristo portacroce tra i ss. Sebastiano, Francesco d’Assisi e Michele arcangelo, eseguito per la cappella Fioravanti nella chiesa dei Ss. Gregorio e Siro e oggi nella Pinacoteca nazionale, è stato definito l’«opera più filoreniana del panorama artistico bolognese» (Pellicciari, 1992, p. 188).
Al 1621 risale il viaggio di Sementi a Napoli, al seguito di Reni e in compagnia di Gessi, per collaborare alla decorazione della cappella del Tesoro nel duomo, tentativo poi fallito a causa dell’ostilità dei colleghi partenopei, come ricordato da Carlo Cesare Malvasia nella Felsina pittrice (1678, 1841, pp. 246 s.). A partire dal 1624 il pittore risulta al servizio del cardinale Maurizio di Savoia, la cui protezione lo avrebbe indotto a trasferirsi a Roma nel 1626, anno in cui partecipò alla congregazione generale dell’Accademia di S. Luca e vendette la sua casa bolognese (Negro, 1992, p. 329; Francucci, 2015, pp. 25 s.; Serafinelli, 2015, p. 300). Prima fece però in tempo a copiare o imitare alcune opere di Reni, come dimostrano l’Allegoria del Disegno e della Pittura (Bologna, Pinacoteca nazionale) o la Cleopatra (Torino, Galleria Sabauda), e a dipingere il S. Sebastiano della chiesa di S. Michele dei Leprosetti a Bologna e il Martirio di s. Vittoria (Milano, Pinacoteca di Brera; Pellicciari, 1984, pp. 29, 33, 39).
A Roma, nella parrocchia di S. Biagio della Pagnotta, Sementi sposò il 4 febbraio 1627 Cecilia Cavalloni, dalla quale ebbe un figlio, Maurizio, così chiamato in onore del cardinale che lo aveva al suo servizio (Negro, 1992, p. 329). Intorno allo stesso anno avviò la decorazione a fresco del lanternino di S. Carlo ai Catinari, un Dio padre tra gli angeli che doveva preludere alla decorazione dell’intera cupola: ma questa, a causa della morte del committente, il cardinale Giovan Battista Leni, fu interrotta e affidata dal suo esecutore testamentario, il cardinale Scipione Borghese, al Domenichino. Nell’Urbe Sementi avrebbe contribuito alla diffusione del linguaggio di Reni, pur essendo a sua volta influenzato dal colorismo neoveneto di Nicolas Poussin e Pier Francesco Mola e dal classicismo di Andrea Sacchi.
A ridosso della metà del secolo il pittore e storiografo Giovanni Baglione, primo biografo dell’artista, avrebbe ricordato come Sementi, in virtù di una «buona maniera di colorire et imitando quella del suo maestro, dava gusto ai professori», aggiungendo che «ciò ch’egli lavorava, con amore e con diligenza grande a perfettione conduceva» (1649, 1924, p. 344): il che costituisce una preziosa testimonianza, in considerazione della precocità e dell’autorevolezza del giudizio, di come il pittore bolognese, inserito nel solco tracciato dai Carracci e da Reni, portasse i suoi dipinti a un tale livello di compiutezza da rasentare la perfezione formale. Molte delle opere eseguite durante il soggiorno romano non sono a oggi identificabili, anche perché destinate a «non esser pubbliche» (ibid.). Ancora Baglione avrebbe citato tra i lavori capitolini di Sementi, nella basilica di S. Maria Maggiore, «sotto il tabernacolo delle Reliquie dal lato della cappella Sista, due quadri a olio sopra l’altare: verso la tribuna dipinse s. Giovanni evangelista e s. Gioseppe et in aria la Madonna, e nella facciata verso la nave grande la Concettione della Beata Vergine Maria, s. Gioacchino e s. Anna, con amore e con diligenza figurati» (ibid.). I due quadri, rintracciati nella Pinacoteca Vaticana, appaiono caratterizzati da uno stile ancora in debito nei confronti di Reni per la resa algida e la gestualità dei personaggi (Negro, 1992, p. 330; Francucci, 2015, p. 29).
A Sementi spettano diversi altri quadri dipinti a Roma e nel Lazio. Si citano in particolare, per la città pontificia: una Sacra Famiglia, proveniente da Amandola e oggi in collezione privata (Ferriani, 1992); un’Allegoria della Liberalità (Torino, Galleria Sabauda), eseguita per il suo benefattore Maurizio di Savoia; una Flora (Modena, collezione del Banco S. Geminiano e S. Prospero); un Duello tra donne, per il ciclo di episodi di storia romana dipinto da Domenichino, Poussin, Ribera e altri maestri per il palazzo del Buen Retiro a Madrid (Pierguidi, 2010, pp. 88 s.), e un’Offerta per la costruzione del tempio (entrambi al Prado); una perduta Allegoria della Fama con la lupa che allatta i gemelli vista da Baglione (1649, 1924, p. 344) presso l’Accademia degli Umoristi, per la cui sala delle riunioni era stata dipinta nel 1625 in occasione della cerimonia funebre per il poeta Giovan Battista Marino, e forse simile iconograficamente all’Allegoria della Fama in collezione privata (Pellicciari, 2012, pp. 348 s.); Cristo e il giovane ricco, transitato sul mercato antiquario nel 2010 (Francucci, 2012): tutte opere di notevole raffinatezza, non immuni dall’influsso di Pietro da Cortona e Giacinto Gimignani, nate nel clima culturale gravitante attorno all’Accademia di S. Luca, cui Sementi fu ascritto nel 1635 (Negro, 1992, p. 330). Quanto ai territori del Frusinate e del Viterbese, si ricordano: un’Assunzione della Vergine e una Madonna con il Bambino e i ss. Pietro e Carlo Borromeo, eseguite per le chiese di S. Maria Salome e S. Agostino a Veroli e dipendenti da modelli del Passignano e di Giovanni Lanfranco; una Madonna con il Bambino, s. Elisabetta e s. Giovannino della cattedrale di Frosinone, ispirata per la tavolozza cupa alla maniera di Simone Cantarini; e una S. Lucia, custodita nell’omonima chiesa di Tarquinia (Pellicciari, 1984, pp. 34 s.; Negro, 1992, pp. 330, 333). Altre due opere romane, un Angelo in S. Maria in Via e una Madonna in gloria tra i ss. Gregorio Magno e Francesco d’Assisi nella cappella Cavalieri in S. Maria in Aracoeli, sono ricordate da Baglione (1649, 1924, p. 344), mentre ad alcune opere bolognesi citate da Malvasia (1678, 1841, p. 250) va aggiunto un gruppo di dipinti attribuiti a Sementi in un contributo recente (Francucci, 2015).
Al mestiere di pittore Sementi affiancò la pratica assidua di disegnatore, ispirandosi alla concezione accademica di Reni, che considerava il disegno «il fondamento dell’arte, vero e proprio banco di prova, rispetto al quale si poteva misurare l’abilità del pittore, il cui accrescimento era legato al costante sforzo di studio ed esercizio disegnativo» (Pellicciari, 1993, p. 341). I disegni di Reni erano utilizzati come modelli dai suoi allievi, e Sementi non di rado sfruttò invenzioni grafiche del maestro all’interno dei suoi dipinti, come dimostra il Martirio di s. Caterina a Bologna, in cui la figura del carnefice è copiata da uno studio preparatorio per il san Floriano della Pala dei Mendicanti (ibid., pp. 341 s., 347).
Secondo il racconto di Baglione, il pittore «mentre andava tuttavia operando, d’improviso gli cadde la goccia et andò a risico di morire; poi per qualche tempo si rihebbe; ma ultimamente di nuovo gli tornò il male e l’atterrò e l’estinse di fresca età; et in questa città di virtù e d’honore le spoglie della sua mortalità depose, et hora nel mondo vive alla fama» (1649, 1924, pp. 344 s.).
La morte giunse l’8 settembre 1636, come documenta il rinvenimento dell’atto nel libro dei defunti di S. Andrea delle Fratte, secondo cui Sementi «si morse di male di goccia» (Serafinelli, 2015, pp. 303, 307).
Fonti e Bibl.: G. Baglione, Le vite de’ pittori, scultori et architettori dal pontificato di Gregorio XIII fino a tutto quello d’Urbano VIII (1649), Indice degli oggetti, dei luoghi e dei nomi per cura di C. Gradara Pesci, Velletri 1924, pp. 344 s.; C.C. Malvasia, Felsina pittrice. Vite de’ pittori bolognesi del conte Carlo Cesare Malvasia con aggiunte, correzioni e note inedite del medesimo autore, di Giampietro Zanotti e di altri scrittori viventi (1678), Bologna 1841, pp. 245-250; R.E. Spear, Domenichino, I, New Haven 1982, pp. 157 s.; A. Pellicciari, G.G. S., allievo di Guido Reni, in Bollettino d’arte, LXIX (1984), 24, pp. 25-40; D. Ferriani, Una aggiunta a G.G. S., in Notizie da Palazzo Albani, XXI (1992), 2, pp. 23-26; E. Negro, G.G. S., in La scuola di Guido Reni, a cura di E. Negro - M. Pirondini, Modena 1992, pp. 327-342; A. Pellicciari, L’eredità di Guido Reni, in La pittura in Emilia e in Romagna. Il Seicento, a cura di A. Emiliani, I, Milano 1992, pp. 185-206; Ead., La pratica del disegno all’interno della scuola reniana, attraverso l’esperienza grafica di Sementi e Gessi, in Il classicismo. Medioevo, Rinascimento, Barocco, Atti del Colloquio Cesare Gnudi... 1986, a cura di E. De Luca, Bologna 1993, pp. 337-366; S. Pierguidi, Il ciclo dei costumi de’ Romani antichi del Buen Retiro di Madrid, in Storia dell’arte, n.s., 2010, n. 25-26, pp. 79-93; M. Francucci, G.G. S.: un dipinto di soggetto insolito, in Arte cristiana, C (2012), 869, pp. 143-148; A. Pellicciari, Il carattere cosmopolita della scuola di Guido Reni: alcuni inediti di S., Gessi e Desubleo, in Crocevia e capitale della migrazione artistica: forestieri a Bologna e bolognesi nel mondo (secolo XVII), a cura di S. Frommel, Bologna 2012, pp. 347-369; M. Francucci, G. G. S. tra Bologna e Roma, in Paragone. Arte, s. 3, LXVI (2015), 123-124, pp. 21-35; G. Serafinelli, L’ultimo soggiorno romano di G.G. S., collaboratore di Guido Reni: alcune novità e una conferma documentaria sulla sua data di morte, in Valori tattili, 2015, n. 5-6, pp. 298-307.