CONFORTO, Giovan Giacomo
Non si conosce il luogo della nascita di questo architetto, che dovrebbe essere avvenuta attorno al 1569 (Strazzullo, 1969, p. 89; Blunt, 1975, p. 48). Appare a Napoli nel 1595, citato come "maestro di muro", alle dipendenze di C. Quaranta, per i lavori del monastero di S. Gaudioso (Filangieri, 1891, V, p. 135; VI, p. 322). Tra il 1605 e il 1607, per due volte, egli appare tra i firmatari di un memoriale inoltrato al viceré dalla corporazione napoletana dei "fabbricatori, pipernieri e tagliamonti", per ottenere il "Reale Assenso" ad una nuova regolamentazione dell'associazione (Strazzullo, 1964, p. 28). Sempre nello stesso periodo e menzionato come autore, insieme con l'ingegnere carrarese Ceccardo Bernucci, dei disegni redatti per il progetto di delimitazione dell'area necessaria alla costruzione della cappella del Tesoro Nuovo di S. Gennaro (Strazzullo, 1969, p. 31). Nel documento relativo il C. è menzionatocome "compare" del Bernucci e questa definizione lascia supporre un rapporto, se non di parentela, almeno di stretta collaborazione tra i due. In ogni caso l'indicazione, anche considerando il dato di un grande afflusso di artisti e artigiani carraresi a Napoli, tra il Cinquecento e il Seicento (Strazzullo, 1967, p. 25), non è sufficiente a ipotizzare una provenienza toscana anche per il Conforto. Morì a Napoli tra il 7 e il 16 giugno 1630, e dovrebbe essere stato sepolto in S. Maria delle Grazie a Caponapoli, come suggerisce la notizia che nel 1602 preparasse, con Cesare Quaranta, in quella chiesa, la tomba per sé e per i suoi eredi (Strazzuflo, 1969, p. 93).
Nel testamento sono menzionati come eredi la moglie Antonia Dianora con i figli Giuseppe e Anna Maria e il fratello Silvestro che era padre di Dorothea e di Meneca (Strazzullo, 1969, pp. 96 s.). Questo smentisce la notizia fornita dal Celano di un C. appartenente all'Ordine dei teatini (Celano, 1792, p. 303), errore che conferma una tradizionale associazione del C. all'attività svolta dall'architetto napoletano Francesco Grimaldi, teatino, di cui realizzò il progetto della chiesa dei SS. Apostoli. La pubblicazione di una quantità consistente di documenti (Filangieri, 1885 e 1891; Borrelli, 1967; Strazzullo, 1969; Pietrini, 1972) mette in luce un'ampia attività del C. nel primo trentennio del Seicento, a Napoli, ampliando le attribuzioni delle fonti più antiche e precisando gli specifici interventi dell'archiettto.
All'inizio del XVII secolo (1603-1612) progettò e diresse i lavori della chiesa di S. Teresa agli Studi, di cui la cupola, su alto tamburo, fu sostituita nel 1835 da una scodella ornata a cassettoni ottagonali (Pane, 1939, p. 71). Anche la facciata dovrebbe essere molto più tarda se il Caylus, nel 1715, notava che la chiesa ne era priva (Blunt, 1975, p. 48). Sopravvissuta nello stato originale è la chiesa di S. Maria della Verità (nota anche come S. Agostino degli Scalzi), iniziata nel 1612; il C. ne fu nominato architetto nel 1613 e lo rimase fino alla morte. Alle decorazioni in stucco delle pareti laterali e delle cappelle, che spettano al progetto originale dei C., si sono sovrapposte quelle settecentesche della cupola e quelle dei pennacchi del tamburo, dovute al restauro del 1850 (Pietrini, 1972, p. 11). A partire dal 1606, per molti anni, diresse la costruzione del nuovo monastero della Trinità delle Monache. Ancora nel 1618, infatti, il C. è menzionato come architetto nella registrazione di un pagamento da parte del convento ad alcuni "tagliamonti" (Strazzullo, 1969, p. 91). Il suo nome appare anche in alcuni documenti in data 1612, relativi alla costruzione di un pozzo nel chiostro di S. Maria delle Grazie a Caponapoli e alla progettazione del palazzo del Monte, del marchese Giambattista Manso, al Mercato Vecchio. Diresse, inoltre, i lavori nella casa del Monte di Giambattista da Ponte della Scala (Strazzullo, 1969, p. 91). Nel libro dei conti del Pio Monte della misericordia sono registrati due pagamenti in data 1607 "per le fatiche e i disegni fatti come ingegnere di detta opera del nostro Monte della Misericordia". L'attuale chiesa, però, è quella ricostruita nel 1658 da Antonio Picchiatti che compare come architetto nei documenti posteriori (Ruggero, 1902, pp. 7 s.). Nel 1615 progettò il campanile del Carmine Maggiore che, sul suo disegno, fu realizzato fino ai piani ottagonali nel 1622, mentre la guglia fu aggiunta, nel 1631, dall'architetto domenicano Giuseppe Donzelli, detto fra' Nuvolo (Di Giacomo, 1892, p. 97). Al C. già il Sigismondo attribuiva il chiostro maggiore o "quarto chiostro" dei convento di Monteoliveto (Sigismondo, II, 1788, p. 241), iniziato nel 1613 e finito di costruire da Muzio Nauclerio dopo il 1630.
Nel 1619 i frati di S. Agostino, che avevano ottenuto la proprietà del palazzo di Scipione de Curtis, ne affidarono al C. i lavori di riadattamento; ma tutto il complesso, con la chiesa di S. Nicola da Tolentino, fu ristrutturato dopo l'eruzione del 1631 (Pietrini, 1972, p. 14; Blunt, 1975, p. 49). Fu opera del C. anche la chiesa di S. Severo al Pendino (Pietrini, 1972, pp. 16 s.). La facciata fu ricostruita dopo l'apertura di via Duomo, e delle undici cappelle originali, ne rimangono nove; possono forse attribuirsi al C. gli stucchi della volta e dell'intradosso della cupola (Pietrini, 1972, p. 17).
Tra il secondo e il terzo decennio del XVII secolo il C. fu architetto della certosa di S. Martino, subentrando al Dosio del quale realizzò il progetto in collaborazione con il Fanzago (Strazzullo, 1969, p. 91; Causa, 1973, pp. 343 99 n. 68). In quest'ultimo decennio di intensa attività fu più volte invitato dalla Deputazione dei Tesoro di S. Gennaro a fornire consigli e disegni relativi alla fabbrica, ma un suo disegno dell'anno 1628 per il cancello della cappella fu sostituito, nel 1630, da uno del Fanzago (Borrelli, 1967, p. 119; Strazzullo, 1969, p. 91). Contemporaneamente fu architetto della chiesa dei SS. Marcellino e Festo, dove, dopo i restauri del Vanvitelli del 1759, rimasero immutati la facciata con il portale di ingresso e l'interno (Strazzullo, 1956, pp. 20-22). Ancora, tra il 1626 e il 1630 soprintendeva ai lavori nella chiesa dei SS. Apostoli, progettata dal Grimaldi (Strazzullo, 1969, p. 93); e allo stesso periodo appartiene un disegno dei C. per la chiesa dedicata a S. Francesco Savio, oggi intitolata a S. Ferdinando, che fu poi realizzata dal Fanzago tra il 1628 e il 1660 con poche variazioni (Pane, 1939, p. 96; Blunt, 1975, p. 48). In due documenti del gennaio e del maggio 1630, immediatamente prima della sua morte, il C. appare come architetto dei lavori per il monastero di Donnaregina e di quelli per la chiesa di S. Maria della Sapienza (Strazzullo, 1969, p. 94). Di questa vasta attività rimangono, ancora relativamente integre, solamente le chiese di S. Teresa, di S. Agostino, dei SS. Marcellino e Festo e di S. Ferdinando, insieme con il chiostro di Monteoliveto e il campanile del Carmine. Delle altre opere, alcune sono scomparse, altre completamente trasformate (Pietrini, 1972, pp. 9-20).
Il C. si formò nella fase di trapasso dell'architettura napoletana dal Rinascimento al Barocco, quando cominciava a svilupparsi una scuola locale di architetti (Blunt, 1975, p. 39). La sua attività ricalca, con pochi elementi autonomi la teniatica architettonica di Francesco Grimaldi, che aveva lavorato a Roma a S. Andrea della Valle e che, insieme con Giuseppe Valeriano, architetto del Gesù Nuovo di Napoli, e al Guarino, architetto di Donnaregina, codifica anche a Napoli, sugli esempi romani, il modello di chiesa controriformata, costituita da un'unica vasta navata, con pianta a croce latina, braccia del transetto ridotte e cappelle laterali poco profonde. Questo schema, introdotto a Napoli, alla fine dei Cinquecento, con il Dosio e Domenico Fontana, si basa ancora sul classicismo desunto dall'Alberti e dal Vignola, ma si sviluppa con una nuova attenzione alla continuità plastica, più che proporzionale, tra pareti e strutture portanti, realizzata anche attraverso l'uso, tradizionale a Napoli, delle decorazioni in stucco e piperno (Serra, 1921, pp. 35-39; Pane, 1939, pp. 70-71; Blunt, 1975, pp. 33-46).
In tutte le sue chiese il C. applica la croce latina con volte a botte e cupola all'incrocio fra navata e transetto, sviluppando all'interno una caratteristica decorazione in stucco a rosoni, putti e cartigli sfrangiati che, mentre nella tradizione napoletana e anche nelle opere contemporanee si limitava ad alcune zone, alternate alle aree affrescate, nella chiesa di S. Agostino fu progettata per ricoprire tutta la superficie delle cappelle e delle pareti laterali (Pietrini, 1972, p. 11; Blunt, 1975, p. 48). Qui il motivo della coppia di paraste, utilizzato in tutti i progetti del C. per scandire lo spazio tra una cappella e l'altra, è arricchito dall'inserzione di piccole nicchie con sculture in stucco. Questo gusto decorativo, sviluppato forse durante la collaborazione con il Fanzago a S. Martino, tra il 1623 e il 1630 (a S. Agostino lavorava ancora poco prima di morire), affiora anche nella facciata, dove, su un'organizzazione ancora cinquecentesca dei partiti, si innesta il rilievo di volute e putti in piperno che media i trapassi da una superficie all'altra e realizza, come all'interno, una parete articolata e plastica. La stessa sensibilità per la modulazione delle superfici appare nel campanile del Carmine, dove le coppie di lesene agli angoli chiudono nel mezzo le finestre dei primi quattro ordini e una serie di volute raccordano questi, quadrangolari, agli ultimi piani ottagoni la cui base va restringendosi; mentre la decorazione di arcatelle in marmo e balaustre, la mescolanza dei materiali (mattoni, marmo e piperno) creano effetti cromatici (Pane, 1939, p. 71). Il chiostro di Monteoliveto, come molti altri a Napoli all'inizio dei Seicento, appartiene più alla tradizione cinquecentesca che al tipo barocco (Blunt, 1975, p. 56), strutturandosi su pianta rettangolare, con volte a crociera, forte rilievo della cornice dell'arco e ripetizione della chiave a voluta (Pietrini, 1972, p. 13). Ma su due lati, tre campate al centro del secondo ordine sono aperte anche verso l'esterno. Questo elemento, inquadrando nell'architettura il verde dei giardini che un tempo circondavano il chiostro, sembra rivelare un'attenzione al rapporto tra edifici e paesaggio naturale già parzialmente barocca (Blunt, 1975, p. 56).
Fonti e Bibl.: G. Sigismondo, Descriz. della città di Napoli e suoi borghi... Napoli 1788, I, p. 29; II, pp. 78, 80, 105, 241; C. Celano, Notizie del bello, dell'antico e del curioso della città di Napoli... [1792], a cura di A. Mazzillo-A. Profeta-F. P. Macchia, Napoli 1970, ad Indicem; B. De' Dominici, Vite de' pittori, scultori, ed architetti napoletani, III, Napoli 1743, p. 250 (erroneamente come Giovan Battista); G. A. Galante, Guida sacra della città di Napoli [1872] a cura di E. Fiore, Napoli 1967, pp. 288, 398, 400, 412; G. Filangieri, Documenti per la storia, ... delle province napoletane, III, Napoli 1885, pp. 424, 428 s.; V. ibid. 1891, p. 135; VI, ibid. 1891, p. 322; S. Di Giacomo, Le chiese di Napoli, S. Maria del Carmine Maggiore, in Napoli nobilissima, I (1892), pp. 97 s.; G. Ceci, La chiesa di S. Teresa agli Studi, ibid., V (1896), pp. 71 ss.; M. Ruggero, Il Monte della Misericordia, ibid., XI (1902), pp. 7 s.; V. Spinazzola, La certosa di S. Martino, ibid., pp. 101 s., 169; Id., L'arte e il Seicento in Napoli alla certosa di S. Martino, Napoli 1905, p. 30; L. Serra, Note sullo svolgimento dell'architettura barocca a Napoli, in Napoli nobilissima, n. s., II (1921), pp. 35-39; R. Pane, Architettura dell'età barocca in Napoli, Napoli 1939, pp. 23, 70 s., 77, 96, 117; F. Strazzullo, La chiesa universit. dei SS. Marcellino e Festo, Napoli 1956; Id. La chiesa dei SS. Apostoli, Napoli 1959, pp. 27 s.; Id., La Corporazione napol. dei fabbricatori, pipernieri e tagliamonti, in Palladio, XIV (1964), p. 28; M. Borrelli, L'architetto Dionisio di Bartolomeo (1559-1638), Napoli 1967, pp. 119-122; F. Strazzullo, Scultori e marmorari carraresi a Napoli. I Marasi, in Napoli nobiliss., VI (1967), pp. 25, 30; Id., Architetti e ingegneri napol. dal '500 al '700, Napoli 1969, pp. 31, 89-98, 241, 243, 250, 265; P. Pietrini, L'opera di G.G.C., architetto napoletano del '600, Napoli 1972; R. Wittkower, Arte e arch. in Italia (1600-1750), Torino 1972, p. 107; R. Causa, L'arte nella certosa di S. Martino a Napoli, Napoli 1973, pp. 34, 38 s., 41, 49, 99 n. 68; A. Blunt, Neapolitan Baroque and Rococo Architecture, London 1975, ad Indicem;F. Strazzullo, La Real Cappella del Tesoro di S. Gennaro, Napoli 1978, pp. 157 ss.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VII, pp. 296 s.