PALLAVICINO, Giovan Francesco
PALLAVICINO (Pallavicini), Giovan Francesco. – Nacque a Genova il 10 aprile 1710 dal marchese Paolo Girolamo II e da Giovanna di Luciano Serra. Sulla base della primogenitura fu numerato come III per distinguerlo dagli omonimi dell’albero genealogico pressoché coetanei di altro ramo della famiglia.
Dopo di lui nacquero Luciano (1714, morto bambino), Lazzaro Opizio (1719) e i gemelli Gian Carlo e Bruno. Bruno morì adolescente e Gian Carlo, cui Giovan Francesco cedette la primogenitura nel 1755, fu uno dei patrizi più ricchi e influenti del secondo Settecento, doge di Genova tra il 1785 e il 1787. I quattro fratelli furono ascritti alla nobiltà contemporaneamente il 18 dicembre 1783.
Come i fratelli, Pallavicino ricevette una accurata educazione a Genova, probabilmente presso il Collegio dei gesuiti (delle cui chiese e scuole i Pallavicino erano munifici protettori), e nelle capitali europee, specie Parigi e Londra, dove l’attività diplomatica del padre conduceva la famiglia (a Parigi, Paolo Girolamo si fece ritrarre dal ricercatissimo Hyacinthe Rigaud: il bel disegno è tuttora conservato al Louvre), consentendo ai figlioli la pratica delle lingue straniere e precoci legami con gli esponenti della politica e della cultura europea.
Dopo una breve esperienza militare nel 1731, Pallavicino si indirizzò alla carriera diplomatica. Tra il 1742 e il 1745, nel corso del conflitto europeo per la successione d’Austria, mentre la Repubblica si trincerava dietro la dichiarazione di neutralità, fu inviato ambasciatore straordinario alla corte di Vienna. Passò per Magonza, Francoforte, Augusta e Monaco; nel 1744, tra l’agosto e il settembre, fu per breve tempo anche inviato straordinario al re di Francia a Metz: ufficialmente per complimentarsi col sovrano per la rapida guarigione da una malattia, in realtà per coadiuvare l’inviato genovese Francesco Maria Doria, che aveva seguito appunto a Metz Luigi XV, recatosi presso l’armata del Reno alla notizia dell’entrata dell‘esercito austriaco in Alsazia. Dal settembre 1745 al marzo 1746 fu ministro plenipotenziario all’Aia, dall’aprile 1746 all’aprile 1749 a Parigi, di nuovo ministro presso Luigi XV.
Erano anni cruciali per la Repubblica di Genova: prima la firma, nel settembre 1743, del trattato anglo-austro-sardo di Worms, che sanciva la cessione del Finale al Piemonte, poi la calata degli Austriaci a Genova e l’insurrezione popolare del 5-10 dicembre 1746. Sul primo punto Pallavicino aveva preannunciato il pericolo già un anno prima della sottoscrizione: all’inizio del 1742, Maria Teresa aveva stipulato con Carlo Emanuele III di Savoia un trattato equivoco, con cui accordava ampliamenti territoriali e un porto mediterraneo non specificato. Ma i diplomatici genovesi presso le corti europee – Francesco Maria Doria da Parigi, Giambattista Gastaldi da Londra e Pallavicino, allora a Magonza – avvertirono concordemente che si trattava del porto di Finale e sottolinearono la pericolosità del sostegno inglese al progetto; anzi, Pallavicino temeva soprattutto il re d’Inghilterra per i suoi rapporti con il re di Sardegna, e dimostrò insieme timore e disgusto per i modi villani e da lui giudicati poco inglesi del suo ministro lord John Carteret. Nonostante gli accorati appelli di Pallavicino affinché «ognuno, dimentico di sé e dei propri interessi, abbia presente soltanto la salvezza della Repubblica» (Pandiani, 1926, p. 210) , a Genova si tergiversava, nell’illusione di essere protetti dalla dichiarazione di neutralità. Il trattato di Worms venne sottoscritto (Pallavicino dava la dolorosa notizia 3 giorni prima che fosse dichiarato) con la formula, proprio su consiglio inglese, che fosse l’Austria a cedere al re sabaudo i suoi presunti diritti sul Finale. Tuttavia la riluttanza del governo genovese a uscire dalla calpestata neutralità, fece tardare fino al trattato di Aranjuez del 1° maggio 1745 la decisione di allinearsi alle corti borboniche: e comunque la dichiarazione di guerra riguardò solo il re di Sardegna, mentre si mantenevano le rappresentanze diplomatiche a Vienna e a Londra.
Nell’aprile 1746 lo spostamento di sede rese più facile la vita di Pallavicino, che si fece raggiungere a Parigi dal fratello Lazzaro Opizio, desideroso di apprendere l’arte della diplomazia. Ma la situazione a Genova, fattasi più critica con l’avanzare dell’esercito austriaco, esplose con la sollevazione popolare del 5-10 dicembre (nota come la rivolta del Balilla). La relazione sugli eventi, inviata da Genova dall’ambasciatore francese Guymont, arrivò a Parigi fra il 18 e il 19 dicembre, ma Pallavicino ne era già stato informato ufficialmente dal governo (la lettera cifrata è dell’11 dicembre) e ufficiosamente dal fratello Gian Carlo, che in quei giorni, impegnato come ufficiale in città, aveva tentato di organizzare presidi nella zona periferica attorno a Rivarolo, dove i Pallavicino avevano una delle dimore preferite e dove il padre Paolo Gerolamo giaceva moribondo (morì il 9 dicembre).
Tuttavia la corrispondenza ufficiale di Pallavicino riprese dalla lettura in corte della relazione di Guymont e fu caratterizzata dalle insistite richieste francesi su come aiutare efficacemente Genova nella difficile congiuntura: per quanto egli sintetizzasse la risposta del governo di Genova in «denari armi gente» (Arch. di Stato di Genova, Lettere Ministri Francia, 20 dicembre 1746), il suo compito non fu facile. Nelle lettere del 21, 30 dicembre, 16 gennaio 1747 da Versailles – dove ebbe continui incontri col ministro della guerra, marchese D’Argenson (René-Louis de Voyer de Paulmy) e altri ministri francesi – Pallavicino insisteva sull’imbarazzo in cui veniva a trovarsi di fronte alle loro richieste di una decisa scelta di campo da parte del governo genovese, di cui egli stesso confessava di non capire le reali intenzioni (anche se difendeva la versione ufficiale che il governo genovese dovesse celarle per premunirsi nel caso di una ripresa dell’offensiva austriaca). Comunque, il generoso e intelligente lavoro diplomatico di Pallavicino a Parigi continuò fino alla pace di Aquisgrana dell’aprile 1748 e per tutto l’anno successivo, fino all’udienza di congedo, il 24 aprile 1749.
Prima della partenza, l’ultimo impegno, assunto a carattere personale, fu quello di difendere le strutture di governo della Repubblica da quelle che giudicava interpretazioni ingiuste e malevole. Avendo letto, nella seconda edizione dell’Esprit de lois, un giudizio sul Banco di S. Giorgio come vero arbitro della politica di Genova, Pallavicino chiese l’intervento delle sue amiche madame Claudine Guérin de Tencin e madame Marie-Thérèse Rodet Geoffrin presso Montesquieu per una modifica del testo. Alla lettera delle due amiche, del 2 aprile 1749, Montesquieu rispose prontamente, rassicurandole sul suo «respect infini» verso i marchesi Pallavicino e Lomellini. La Geoffrin infatti, che in precedente lettera a Montesquieu del 18 marzo 1749 aveva definito Pallavicino un «homme que a beacoup d’esprit et de droiture et qui est fort attaché à sa patrie» (Rotta, 1958, p. 320) era anche grande amica di Agostino Lomellini, esponente di punta del versante riformatore e illuminista della cultura e della politica genovese. A questa cultura Pallavicini fu collegato anche dal giudizio di Pier Paolo Celesia, che ne parlava come dell’«amatisimo e veneratissimo Checco Pallavicini» (ibid., 1958, p. 321), e dall’amicizia dell’abate Galiani per lui e per il fratello Lazzaro Opizio.
Meno entusiasta il giudizio di d’Argenson, che nelle sue Mémoires (ibid.) gli riconobbe sì grandi doti di eloquenza e «beaucoup plus d’esprit» di Doria, suo predecessore, ma, in proporzione, «plus de la malignité», cosa che, essendo riferita a come aveva saputo difendere la classe di governo in indifendibili circostanze, suonava come involontario elogio della sua abilità diplomatica. Del resto, anche Pallavicino, al di là della correttezza dei rapporti ufficiali, non nutrì simpatia per d’Argenson, che ritenne «imbevuto dell’errore generale di tutti i Cortigiani che si danno a intendere che i membri di un Governo Aristocratico vogliono ognuno nel loro particolare farla da Sovrani e da Re; sì che sentendo essi tutto giorno l’inconveniente di averne uno solo, non è meraviglia che credano miserabilissimi que popoli che ne hanno, secondo la loro opinione, più centinaia» (Pandiani, 1926, p. 127). In questa affermazione, del 30 dicembre 1746, Pallavicino sintetizzò l’orgoglio repubblicano di tutto quel settore dell’aristocrazia genovese che, seppur minoritario, e comunque realisticamente attento a salvaguardare la funzione direttiva tradizionale, cercava la ricostruzione del consenso anche attraverso progetti di riforma e di razionalizzazione delle strutture dello Stato: progetti di cui negli anni successivi furono estensori proprio i migliori amici di Pallavicino Celesia e Lomellini.
Tornato a Genova nel 1749, Pallavicino fu subito cooptato tra i Protettori del Banco di S.Giorgio, nella carica che già il padre aveva ricoperto a più riprese. Dalla fine del 1754 a tutto il 1757 risiedette invece a Napoli, questa volta lui al seguito del fratello Lazzaro Opizio, ivi nominato nunzio apostolico (e dove, da giovane, aveva risieduto il padre, dall’agosto 1705 al maggio 1708, come incaricato d’affari della Repubblica, ma probabilmente anche per curare i numerosi interessi che la famiglia aveva nel Regno di Napoli). A Napoli, il 28 settembre 1755, dichiarandosi «mai sentito inclinato a prendere lo stato coniugale» (Gli Archivi Pallavicini di Genova, 1994, p. 28), fece rogare l’atto di rinuncia alla primogenitura a favore del fratello Gian Carlo, prossimo alle nozze, affinché potesse «continuare la mia casa»: in effetti, la scelta, generosissima nella sostanza (tutti i beni e tutti i titoli ereditati dal padre come primogenito) e affettuosa nei termini, esprimeva un buon rapporto familiare d’ancien regime, nel dominante obiettivo della grandezza della stirpe. Comunque, stima politica e affetto sincero nei confronti del fratello emergono da tutto l’epistolario privato di Pallavicino, che si distingue dagli altri proprio per il carattere più sensibile e personale.
È probabile che anche nel decennio 1760-70 Pallavicino sia rimasto al seguito di Lazzaro Opizio, nunzio apostolico in Spagna dal 1759, e poi legato pontificio e cardinale a Bologna dal 1766. Quando il cardinale si trasferì a Roma, nominato segretario di Stato nel 1769 da Clemente XIV, Pallavicino fece ritorno a Genova. Fu eletto tra i senatori nel 1770, nel 1781 e nel 1788, e forse sostenne l’ascesa politica del fratello Gian Carlo; certo dovette curare numerose e intricate questioni familiari legate a fidecommissi ed eredità. Tra le altre, la disposizione del mantenimento, registrato tra il 1773 e il 1778, di Maria Giovanna Spinola, sorella del marchese Carlo Spinola, e una lunga causa, forse collegata, tra il 1778 e il 1785, con Giovanni Battista Grimaldi per la successione a Giovanni Francesco Centurione nel fidecommesso istituito da Lazzaro Grimaldi Cebà, che contestava il passaggio della primogenitura ‒ e di tutti i beni con essa ereditati ‒ a Gian Carlo Pallavicino (per capire la complessa questione è indispensabile consultare gli alberi genealogici comparati in Gli Archivi Pallavicini, 1994, p. 188).
Celibe e senza prole, Pallavicino morì a Genova il 6 marzo 1792.
Fonti e Bibl.: N. Battilana, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, III, Genova 1828, p. 27; P. Litta, Famiglie nobili d’Italia, VI, Milano 1819-83, c. XIII; E. Pandiani, La cacciata degli Austriaci da Genova l’anno 1746, Torino 1926, pp. 18 s., 125-128; V. Vitale, Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova, in Atti della Società ligure di storia patria, LXIII (1934), pp. 125, 152, 202 (con fonti nell’Arch. di Stato di Genova); A. Cappellini, Dizionario biografico di genovesi illustri e notabili, Genova 1936, p. 120; G.E. Broche, La République de Gênes et la France pendant la guerre de la succession d’Austriche, I, Paris 1936, pp. 7, 122-126; II, pp. 43 s., 115; V. Vitale, Breviario della storia di Genova, I, Genova 1955, pp. 339, 341, 360 s., 419 s. (nel testo indicato erroneamente come Giambattista, Gianfrancesco nell’indice); G. Oreste, Una lettera inedita dell’abate Galiani, in Convivium, n.s., IV (1956), p. 463; S. Rotta, Documenti per la storia dell’Illuminismo a Genova, in Miscellanea di storia ligure, I, Genova 1958, pp. 320 s.; G. Guelfi Camajani, Il Liber Nobilitatis Genuensis, Firenze 1965, p. 379; R. Ciasca, Istruzioni e relazioni degli ambasciatori genovesi, VI, Roma 1967, pp. 249, 416; Gli Archivi Pallavicini di Genova, inventariati a cura di M. Bologna, in Atti della Società ligure di storia patria, n.s., XXXIV (1994), pp. 28-30, 38, 43, 87, 96, 108, 115 s., 134, 139, 187 s.