MOROSINI, Giovan Francesco
– Nacque a Venezia il 30 settembre 1537, primogenito dei sei figli maschi di Pietro del ramo di S. Canciano dei Morosini detti dalla Sbarra, e di Cornelia Corner di Giovanni, figlio di Giorgio ‘cavalier procurator’ e fratello della regina di Cipro. Il padre, allora tra i capi del Consiglio dei dieci, si suicidò il 21 marzo 1570 nell’imminenza della guerra contro i turchi per il possesso di Cipro, «disperato d’esser fallito» (Arch. di Stato di Venezia, Misc. Codd., s. II, 23, Storia veneta: Marco Barbaro, Arbori de’ patritii veneti, V, p. 346).
Scarse sono le notizie sulla sua giovinezza e formazione. A 20 anni seguì in Spagna l’ambasciatore Federico Badoer, suo parente; a 25 fu savio agli Ordini. Dopo gli incarichi diplomatici presso Carlo arciduca d’Austria (ambasciata straordinaria) ed Emanuele Filiberto di Savoia (ambasciata ordinaria, maggio 1568-settembre 1570), fu per due volte savio di Terraferma. Nel 1573 fu inviato oratore straordinario a Parigi per congratularsi con Enrico di Valois appena eletto al trono di Polonia. Rientrato a Venezia a fine agosto, il 15 dicembre dello stesso anno fu nominato ambasciatore ordinario in Francia. All’inizio del luglio 1574 arrivò a Parigi, da cui si recò con la corte a Lione per accogliere, dopo la morte di Carlo IX, il nuovo re Enrico III.
Negli oltre tre anni trascorsi alla corte di Enrico III, assisté al ritorno al calvinismo di Enrico di Navarra; all’organizzarsi delle armate protestanti sostenute dai principi tedeschi e alla ripresa delle guerre; all’attribuzione di eccezionali concessioni agli ugonotti (1576, editto di Beaulieu); al crescere dell’opposizione cattolica fomentata dalla predicazione di frati e curati, rafforzata dal formarsi di leghe in tutto il paese. Di Enrico III descrisse l’indecisione, l’esagerata parzialità verso i favoriti, gli eccessi devozionali, mentre rispetto e ammirazione ispirarono i suoi rapporti con la regina madre. Nel quadro delle buone relazioni tra la Repubblica e la Francia, qualche difficoltà insorse quando dovette opporre il rifiuto di Venezia, colpita dalla peste, alla richiesta del re di un ulteriore prestito finanziario.
Lasciata la Francia (maggio 1577), fu ambasciatore in Spagna (7 febbraio 1578-luglio 1581), dove la morte senza eredi di Sebastiano I cui era subentrato il cardinale Enrico I, privo di discendenza, aprì il problema della successione al trono del Portogallo.
Nella questione portoghese Venezia adottò allora una cauta posizione suggerita dai difficili rapporti con Gregorio XIII esasperati dalla controversia sul feudo di Taiedo, per risolvere la quale Morosini ebbe l’incarico di procurare l’appoggio di Filippo II. Insieme con gli inviati straordinari di Venezia, Morosini presenziò nel 1581 a Lisbona alla cerimonia d’incoronazione dell’Asburgo a re di Portogallo.
Tornato a Venezia, il 6 maggio 1582 fu nominato bailo a Costantinopoli dove restò sino al giugno 1585. I rapporti con Murad III, impegnato nel conflitto con i persiani, erano allora improntati alla distensione, interrotta da incidenti circoscritti. Venezia si mostrava assai fredda verso le sollecitazioni di Gregorio XIII per la formazione di un’alleanza antiturca con la Spagna, e il bailo vigilava affinché non si spargessero voci di lega che potessero incrinare le relazioni tra la Serenissima e il Gran Signore. Ciononostante Morosini si fece apprezzare alla corte papale per la sua determinazione nel (fallito) tentativo di impedire l’insediamento di un ambasciatore inglese presso la Porta, premessa a suo parere della penetrazione della potenza protestante nel Mediterraneo, e per il suo ruolo di convinto fautore dell’unione tra la Chiesa cattolica e quella greca attraverso contatti con il patriarca di Costantinopoli.
Nel 1585 Gregorio XIII avviò una procedura insolita per scegliere il nuovo vescovo alla sede vacante di Brescia. In autonomia dalla Repubblica raccolse segretamente informazioni tra i regolari a Venezia: la convergenza degli interpellati sul nome di Morosini, allora savio al Consiglio, indusse il papa a nominarlo alla sede episcopale della città veneta, assegnatagli il 23 settembre 1585 da Sisto V. Ricevuti l’anno seguente a Roma gli ordini sacri e avviata l’8 aprile 1587 la visita pastorale poi continuata in sua assenza, il 13 maggio Morosini fu destinato nunzio apostolico in Francia, e in luglio era già a Parigi.
Nei primi dispacci al segretario di Stato cardinal Girolamo Rusticucci, Morosini sottolineava rispetto alla sua precedente esperienza diplomatica l’aggravarsi dei conflitti tra fazioni e il precipitare dell’autorità monarchica. Descriveva quindi l’ambigua situazione in cui si trovava Enrico III – in guerra contro lo scomunicato re di Navarra, Enrico di Borbone, ma nel contempo geloso e timoroso dei successi militari della Lega cattolica capeggiata dai Guisa – nonché le lotte tra i Grandi e le divisioni della corte, dove dominavano i favoriti Anne, duca di Joyeuse, e Jean-Louis de Nogaret, duca d’Épernon, odiati dai Guisa.
Morosini intraprese una complessa opera di mediazione volta a unire il re e i Guisa in un’offensiva comune contro i protestanti e a rappacificare i nobili cattolici appianandone i contrasti o sottraendoli all’influenza del re di Navarra. Lo appoggiavano la regina Caterina de’ Medici e il segretario di Stato Nicolas de Neufville, signore di Villeroy, ma soprattutto il vescovo di Parigi Pierre de Gondi (premiato dal papa con la porpora) e il fratello Albert, maresciallo di Retz.
Sisto V offrì inizialmente un cauto sostegno al re, condizionato all’impegno nella guerra contro i protestanti: accordò così a Enrico III un prestito e la bolla sull’alienazione dei beni ecclesiastici, per applicare la quale Morosini fu costretto a un’estenuante trattativa con i rappresentanti del clero francese che contestavano persino la facoltà del pontefice di deliberare sulla materia. Nessun risultato soddisfacente fu invece raggiunto sull’obbligo delle visitationes ad limina da parte dei vescovi francesi (stabilito dal concilio e da poco ribadito da Sisto V); sulla pubblicazione del concilio di Trento, costantemente sollecitata dal papa, il nunzio si scontrò con resistenze insormontabili fondate sugli assetti costituzionali e sui privilegi del Regno.
A poco a poco Morosini si rese conto che in curia non si comprendeva pienamente la reale situazione in Francia. Per mettere fine alla propaganda e alle false notizie che vantavano l’avallo del papa alla ribellione della Lega contro l’autorità monarchica, riteneva che Roma dovesse assumere una posizione di condanna più decisa, e nei primi mesi del 1588 cercò inutilmente di ottenere da Sisto V una dichiarazione ufficiale contro il duca Enrico di Guisa. Quando nel maggio 1588 Parigi si ribellò al sovrano innalzando le barricate, Morosini percorse la città in rivolta per recarsi al Louvre e dopo la fuga di Enrico III rimase con la regina madre, adoperandosi per la pace tra il re e i capi della Lega che controllavano la capitale. L’accordo (editto di Unione) fu infine siglato il 15 luglio 1588 grazie all’opera di mediazione del nunzio. Lo stesso giorno egli fu premiato con l’elevazione alla porpora e il 4 agosto ebbe l’incarico di legato a latere nonostante l’opposizione in concistoro del cardinale Giulio Antonio Santori, capo del S. Ufficio, per la presunta parzialità di Morosini verso la Francia. Il 21 agosto nella cattedrale di Chartres ricevette dal re la berretta cardinalizia e la croce di legato nel corso di una solenne cerimonia cui parteciparono la corte e 30 vescovi, ma le sue facoltà non furono mai approvate dal Parlamento di Parigi.
Il 16 ottobre 1588 gli Stati generali si aprirono a Blois dove Morosini aveva seguito la corte da oltre un mese. Dopo il fallimento dell’impresa navale spagnola contro l’Inghilterra, l’alleanza tra il re di Francia e la Spagna in passato propugnata da Roma era ormai un’ipotesi impercorribile; altrettanto inopportuno appariva il tentativo di ricondurre al cattolicesimo il Navarra, di cui gli Stati generali si avviavano a ribadire l’esclusione dalla successione. Ma se su questi punti il papa era disposto a convenire con Morosini, su altre questioni lo scontento di Sisto V verso il legato, accusato di comportarsi con il re più da politico veneziano che da cardinale, iniziò tra ottobre e novembre a manifestarsi con toni sempre più accesi.
Riguardo alla pubblicazione del concilio in Francia, Morosini non era arrivato ad alcun risultato soddisfacente malgrado i fitti negoziati con Enrico III, i Guisa e i rappresentanti degli ordini riuniti a Blois; il vicelegato Domenico Grimaldi da Avignone lo accusava di non adoperarsi a sufficienza per procurare all’enclave papale la protezione del re dalle armate ugonotte che la minacciavano; nel frattempo il conflitto solo apparentemente sopito tra Enrico III e il duca di Guisa ostacolava la ripresa della guerra contro i protestanti. Ma fu soprattutto l’occupazione del marchesato di Saluzzo da parte del duca Carlo Emanuele I di Savoia – non condannata ma al contrario valutata di buon occhio dal pontefice – a compromettere le relazioni tra il re e il papa mettendo in difficoltà Morosini.
In questo contesto maturarono gli assassini per ordine di Enrico III del duca di Guisa e del fratello cardinale Luigi tra il 23 e il 24 dicembre 1588, che sancirono il fallimento della politica del legato. Si aprì un periodo difficilissimo per Morosini: accusato da Sisto V di non aver immediatamente fulminato la scomunica davanti all’uccisione di un porporato, privo di istruzioni da Roma, nondimeno mantenne il dialogo con il re per evitare che questi si accanisse contro il cardinale Carlo di Borbone e l’arcivescovo di Lione ancora suoi prigionieri, e soprattutto per impedire che, abbandonato dal pontefice, Enrico III si alleasse con il Navarra contro i Guisa che controllavano Parigi e larga parte del Regno preparandosi alla guerra. Pur implorando Sisto V di richiamarlo a Roma, dove mandò un suo inviato, all’inizio di aprile di propria iniziativa Morosini lasciò la corte allora a Tours e, attraverso strade battute da uomini in armi, si diresse alla volta di Parigi per incontrarsi con Carlo di Lorena, duca di Mayenne e fratello del Guisa assassinato, allo scopo di convincerlo alla riconciliazione con il re. Fallito il negoziato e ancora privo di istruzioni da Roma, Morosini non poteva tornare a corte dove l’alleanza con Enrico di Navarra era intanto divenuta ufficiale: si rifugiò a Nevers, a Moulins e infine a Lione dove finalmente il 9 settembre lo raggiunse l’ordine di lasciare la Francia.
Giunto in Italia ai primi d’ottobre 1589, attese nella villa dello zio cardinale Federico Corner a Bagnaia (Viterbo) il permesso di entrare a Roma fino al 31 ottobre, quando fece il suo ingresso in città senza le consuete solennità e fu subito confinato in palazzo S. Marco con l’obbligo di non incontrare altri che il cardinal nepote Alessandro Damasceni Peretti. I cardinali Domenico Pinelli, inquisitore, e il cardinale Girolamo Mattei, membro della congregazione di Francia presieduta dal cardinale Santori, gli consegnarono uno scritto contenente vari capi d’imputazione. Assistito dall’avvocato concistoriale Pompeo Arrigoni, Morosini stese allora un sommario difensivo nel quale ribatteva punto per punto le accuse di non essersi attenuto alle disposizioni di Roma, di aver trasmesso false informazioni in curia e di non aver tenuto in considerazione l’autorità del papa. Quanto all’imputazione di non aver fulminato la scomunica all’indomani dell’assassinio del cardinale di Guisa, si difese sia con motivazioni di opportunità politica, sia adducendo l’impossibilità di far pubblicare il monitorio di scomunica in Francia.
Solo il 14 marzo 1590 Morosini fu ammesso in concistoro. Nel frattempo, in compagnia di Alessandro Luzzago e forse con la mediazione del cardinale Agostino Valier, si era legato a Filippo Neri e alla congregazione dell’Oratorio. Incaricato dal papa di occuparsi degli affari di Germania e Ungheria, preferì tornare alla sua diocesi dove fu accolto il 9 giugno 1590 con grandi festeggiamenti tra cui l’erezione di archi di trionfo celebranti i suoi incarichi diplomatici da Costantinopoli a Parigi.
A Brescia Morosini si dedicò al disciplinamento dei monasteri femminili riconfigurando la geografia monastica della diocesi; permise ai cappuccini – con i quali aveva allacciato stretti rapporti a Parigi – l’erezione della chiesa dell’Immacolata; promosse le scuole della dottrina cristiana; compose faide familiari che laceravano il ceto dirigente bresciano; profuse energie e risorse negli istituti assistenziali; regolò le manifestazioni teatrali, i balli e gli spettacoli di saltimbanchi. In quest’opera di riforma della vita religiosa si avvalse dell’aiuto di Alessandro Luzzago, zelante fondatore e animatore di istituzioni caritative ed educative legato a Carlo e poi a Federico Borromeo, che durante l’assenza di Morosini aveva affiancato nel governo della diocesi i suoi vicari generali mantenendo con lui una confidenziale corrispondenza.
Morto Sisto V, tornò in curia per il conclave di Urbano VII (7 settembre 1590) subito seguito da quello di Gregorio XIV (che gli assegnò l’abbazia di Lemno nel Bresciano e gli confermò il possesso di quella di Moggio in Friuli) durante il quale, Morosini, insieme con il cardinal Valier e con la fazione di Montalto, avversò le candidature dei cardinali Ludovico Madruzzo e Santori. Tornato a Brescia nell’estate 1591 e poi a Venezia, fu a Roma a fine ottobre per i conclavi di Innocenzo IX e di Clemente VIII di cui appoggiò l’elezione (30 gennaio 1592) ancora una volta contro Santori.
Sotto Clemente VIII Morosini fece parte di congregazioni cardinalizie permanenti e temporanee: nell’aprile 1592 entrò nella congregazione incaricata della revisione dei decreti di Pio V e di Gregorio XIV sull’infeudazione dei beni dello Stato della Chiesa, una materia densa d’implicazioni per la devoluzione di Ferrara; nell’estate dello stesso 1592 nella congregazione Cerimoniale; alla fine del 1594 in quella preposta ai negozi d’Ungheria; nell’aprile 1595 non è chiaro se sedesse nella congregazione dei Vescovi e Regolari o in quella dell’Esame dei vescovi.
Lasciata Roma (novembre 1592) riprese la visita pastorale a Brescia, ma insieme con il cardinale Valier fu richiamato in curia (ottobre 1593) dove si trattava l’assoluzione di Enrico IV re di Francia. In armonia con gli orientamenti della Repubblica e degli oratoriani, Morosini si adoperò di concerto con Valier e con l’ambasciatore veneziano Paolo Paruta per la riammissione di Navarra nel grembo della Chiesa svolgendo un ruolo cruciale molto apprezzato alla corte di Enrico IV. Del resto, i due cardinali veneziani e Paruta in perfetta collaborazione tra loro trattavano allora a Roma tutti i negoziati concernenti la Repubblica tra cui l’imposizione delle decime del clero, la controversia su Ceneda, gli incidenti giurisdizionali tra autorità laiche ed ecclesiastiche.
Il 17 settembre 1595 ebbe luogo la solenne cerimonia di assoluzione di Enrico IV; cinque giorni dopo Morosini, che da mesi sollecitava il permesso di tornare alla sua diocesi o di poterla resignare, rientrò a Brescia, dove l’anno prima il vescovo di Crema Giacomo Diedo aveva avviato la seconda visita pastorale.
Morì il 14 gennaio 1596 a Brescia lasciando eredi l’Ospedale maggiore e i poveri della città. Fu seppellito nel duomo vecchio di S. Maria Assunta; i fratelli Agostino e Alvise eressero per lui una lapide funebre nella cappella di famiglia nella chiesa veneziana della Croce alla Giudecca.
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