FERRARI, Giovan Francesco
Le notizie intorno alla sua vita sono quanto mai scarse. Nella Biblioteca modenese G. Tiraboschi riporta la testimonianza dell'erudito Francesco Forciroli, autore alla fine del Cinquecento degli Antiqua et recentia illustrium virorumMutinensium monumenta (consultatimanoscritti dal Tiraboschi e perduti già alla metà dell'Ottocento), secondo il quale il F. fu segretario dei cardinale Guido Ascanio Sforza, vescovo di Parma nel 1535 e poi legato pontificio nei territori di Bologna e di Romagna. Dopo la morte del cardinale, avvenuta il 7 ott. 1564, il F., "di gracile sanità", rifiutò altri servizi e si sposò, ma non ebbe figli. Secondo il Tiraboschi morì a Reggio il 28 febbr. 1588.
Altre informazioni si ricavano dalle opere. Contrariamente a quanto afferma il Forciroli, intorno al 1570 doveva trovarsi a Roma nella cerchia del prelato mantovano Ippolito Capilupi, che, dopo aver rinunciato fonnalmente al vescovato di Fano il 31 genn. 1567, si era stabilito nel suo palazzo in Campo Marzio. Accenni al Capilupi e all'ambiente romano ricorrono frequentemente nell'unica opera organica pubblicata dal F.: Le rime burlesche sopra varii et piacevoli soggetti (Venetia, Eredi di M. Sessa, 1570). Nel cap. XLIII il F. accenna alla lettura dei suoi versi giocosi tra i letterati seri che frequentano casa Capilupi e nel cap. XXXVI Ippolito è detto esplicitamente suo signore "per elettione et per natura". Alla protezione e all'incoraggiamento del Capilupi il F., letterato modesto e privo di ambizioni, doveva sicuramente lo stimolo a un'attività letteraria più impegnata, così come la frequentazione di personaggi di maggiore prestigio. Certo per suo incarico curò l'edizione del libello propagandistico sulla strage di S. Bartolomeo scritto dal nipote di Ippolito, Camillo Capilupi, su ispirazione del cardinale di Lorena Carlo di Guisa: Lo stratogema di Carlo IX redi Francia contro gli Ugonottirebelli di Dio et suoi (Roma, Eredi di A. Blado, 1572), in calce al quale è un epigramma elogiativo del Ferrari.
Probabilmente ad anni anteriori al soggiorno romano sono da ascrivere - data la vicinanza non solo geografica di Modena e Correggio - contatti con personaggi della corte correggesca, come il letterato e giurista Rinaldo Corso e il poeta Girolamo (o Giovanni Girolamo) Catena, presenti poi a Roma negli anni 1560-70 al servizio del cardinale Girolamo da Correggio. Ma l'accenno nel cap. XXX delle Rime ai"dotti sermoni" del Corso fa collocare questi versi dopo il 1567, anno in cui quest'ultimo abbracciò lo stato ecclesiastico. Al Corso, inoltre, come risulta dal cap. II, il F. fece leggere i suoi versi in vista della stampa, prima che fossero affidati alla revisione professionale del curatore ed editore di testi B. Borgarucci, la cui attività è documentata in quegli anni a Venezia.
Epigrammi del F. si leggono in apertura dei Latina monumenta di G. G. Catena stampati a Pavia presso G. Bartoli nel 1577 (a p. 116 è un epigramma del Catena sul F.); insieme con uno del Catena, dinanzi al De pluribus iudiciis potestatibus del giurista correggese Riccio Merli (Reggio, 1577) e, con altri del Capilupi e del Corso, nei Clarorum Ligurum elogia di Uberto Foglietta (Romae, Heredes A. Bladii, 1573). Altre composizioni latine corredano le stampe del Carmen votivum ad beatissimam Virginem (Patavii, apud R. Meiettum, 1572) e dell'Oratio ... in funerePiiV (Romae, Heredes A. Bladii, 1572) di Marco Antonio Muret. Sempre nel 1572, ancora per i Blado, uscì del F. un carme In mortem Hippolyticard. Ferrariensis (ilprotettore del Muret morto il 2 dicembre) dedicato al cardinale Luigi d'Este, al quale il F. indirizzò anche un epigramma augurale composto probabilmente nella stessa occasione. Ancora al 1572 è databile un breve carme in lode del Muret in cui lo si elogia per l'orazione composta al ritorno di Marco Antonio Colonna da Lepanto e si accenna alla cittadinanza romana ottenuta dal letterato francese in quell'anno. Infine, un carme piuttosto lungo celebra il coraggio e la fede di Carlo IX nel combattere la setta eretica e nel pacificare il suo Regno confermando la partecipazione - dovuta però prevalentemente agli incoraggiamenti di protettori e committenti, piuttosto che ad intima adesione - al clima propagandistico e militante promosso in quegli anni dagli ambienti controriformisti della Curia (questa e altre poesie latine di occasione si leggono in Garmina illustrium poetarum Italorum, a cura di G. Bottari, Firenze 1719-26, IV, pp. 254-69).
Le Rime burlesche sono l'opera che risponde in modo più congeniale all'ispirazione e ai mezzi della poesia del F., il quale colloca esplicitamente la sua attività nell'ambito di un decorosoAilettantismo, ponendosi al di fuori della schiera dei poeti "da dovero" con i quali sente di avere poco in comune. Al di là di alcuni passaggi obbligati per questo tipo di poesia, come la lode dell'ignoranza e l'invettiva contro i poeti, che, chiudono topicamente la raccolta, le proteste di naturalezza ed estemporaneità sono improntate alla sincera consapevolezza dei propri limiti e talvolta assurgono al tono di dimessa meditazione esistenziale. Nel complesso la raccolta non presenta però grossi motivi d'interesse: il F. si mantiene al livello di un onesto esercizio poetico attenendosi al canone medio dei genere, tra la meditazione paradossale e la narrazione aneddotica, senza punte di particolare originalità. La scrittura denuncia in maniera evidente le letture e le fonti dell'autore: L. Ariosto, L. Pulci, T. Folengo, insieme con sparse memorie dantesche; le Facezie del piovano Arlotto sono usate dichiaratamente in più punti.
Interessante invece l'uso dei dialetti e di altri linguaggi cui il F. fa ricorso in varie occasioni, dimostrando una certa inclinazione per le combinazioni linguistiche. Un intero capitolo è composto in dialetto modenese, numerosi i passi in bergamasco e in mantovano. mentre il napoletano è adoperato per caratterizzare il tipo del cerimonioso e del millantatore, in maniera analoga a quanto avviene nella commedia contemporanea. Quando però l'uso di linguaggi dialettali e gergali non è sostenuto dall'esperienza diretta, l'effetto è mediocre. Così è per uno stanco componimento in spagnolo maccheronico e per tre in furbesco - tra questi ultimi la traduzione libera della V epistola di Orazio con relativo commento - nei quali l'autore mostra una conoscenza approssimativa e compendiaria del gergo, coniando artificiosamente vocaboli e sintagmi attraverso contaminazioni di furbesco, italigno e spagnolo. Pochi cenni merita la produzione latina non propagandistica. Si tratta di alcuni brevi componimenti d'occasione del tutto convenzionali e di un'elegia amorosa di fattura scolastica. Anche una ricognizione superficiale rivela i pesanti prestiti dagli autori, testimonianza di una cultura classica limitata e male assimilata.
Bibl.: F. S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, I, Bologna 1739, p. 212; G.Tiraboschi, Biblioteca modenese, II, Modena 1782, pp.272 s.; Id., Storia della lett. ital., VII, Roma 1785, p. 70;F. Ageno, Un saggio di furbeséo del Cinquecento, in Studi di filol. ital., XVII (1959), pp. 221-237.