FERRUCCI, Giovan Domenico
Scarse sono le informazioni biografiche su questo pittore, nato a Fiesole (Firenze) il 3 apr. 1619 (Fiesole, Arch. capitolare, sez. XIX, Atti anagrafici parrocchiali, n. 6, c. 131 r). Figlio di Bartolomeo di Michele e di Maria Maddalena Pellucci, fu iniziato allo studio della pittura a Firenze sotto la guida di Cesare Dandini, personalità di primo piano nel panorama artistico fiorentino del sec. XVII. Nella bottega di questo maestro il F. dovette lavorare attivamente, soprattutto in alcune commissioni ecclesiastiche destinate a edifici di culto del contado. Risale al 1640 l'esecuzione del dipinto con la Pentecoste nella chiesa di S. Bartolomeo a Sovigliana (Vinci), menzionato da F. Baldinucci (1681-1728) come autografo del F., ma documentato in un registro parrocchiale sotto il nome del Dandini (Del Bravo, 1966).
Frutto della collaborazione dei due pittori, l'opera rivela l'intervento del maestro nelle figure della Vergine e degli apostoli in primo piano e attesta la partecipazione dell'allievo nei personaggi sullo sfondo, palesemente esemplati su modelli del maestro ma condotti con minore enfasi e limitata espressività.
Al nome dei due artisti è da ricondurre inoltre la pala con il Martirio di s. Stefano nella chiesa di S. Stefano al Poggio alla Malva nei pressi di Prato (Bellesi, 1996), già riferita al solo Dandini. L'adesione completa del F. allo stile del Dandini fu evidenziata anche da Baldinucci (1681-1728, p. 562), il quale ricordava che l'artista "non fece grandi opere di sua invenzione, avendo consumato gran tempo in copiature; ed in qualcheduna ch'e' ne condusse, si valse molto de' disegni, dell'invenzione, e perlopiù delle opere ... fatte dal maestro, togliendo o aggiugnendo, o, come noi sogliamo dire, le medesime rifriggendo".
Sulla traccia di queste informazioni possiamo ascrivere al F., seppure in via dubitativa, una Sacra Famiglia con s. Giovannino, in collezione privata a Valladolid, e una Madonna con Gesù Bambino e s. Giovannino con un angelo, già in collezione privata a Milano.
Riferite finora al catalogo autografo di Dandini, queste rivelano qualità pittoriche decisamente modeste e una ripresa pedissequa da composizioni celebri del maestro (Bellesi, 1996).
Di ambito strettamente dandiniano, anche se condotte con maggiore indipendenza compositiva ed espressiva, risultano le tele con Armida che tenta di uccidere Rinaldo e Rinaldo che impedisce il suicidio di Armida, sicuramente autografe del F., una in collezione privata e l'altra presso il Credito bergamasco con l'attribuzione a P. Finoglia (Tesori..., 1995). Nate a pendant e provenienti dalla collezione Gerini le due opere, derivate parzialmente dal Rinaldo e Armida (Firenze, Uffizi) e dall'Isabella e Zerbino (Firenze, depositi Uffizi) del maestro, rivelano caratteri estetici affini esemplarmente al linguaggio di Cesare e del fratello Vincenzo Dandini, evidenti soprattutto nelle sigle fisionomiche dei personaggi e nell'impianto compositivo delle scene (Bellesi, 1996).
Sul volgere del quinto decennio del secolo XVII il F. si trasferì probabilmente a Lucca, località nella quale risulta documentato stabilmente dal 1651, anno in cui nacque dal suo matrimonio con Maria Maddalena Fabbri il figlio primogenito, Bartolomeo (Betti, 1994, p. 262). A Lucca aprì una bottega indipendente, nota per aver ospitato, per breve tempo, A. Franchi, astro nascente della pittura classicista toscana di fine secolo (Nannelli, 1977).
Nel 1652 firmò e datò la prima opera interamente autografa oggi nota, la Madonna del Carmine in S. Martino a Vignale, e in un tempo cronologicamente affine eseguì le pale con la Madonna del Rosario in S. Pietro a Corsena e nella curia arcivescovile di Lucca (Betti, 1994, pp. 263 s.,268) e ancora il S. Antonio da Padova in S. Tommaso in Pelleria a Lucca (Contini, 1989, p. 737; Filieri, 1994, p. 91). A queste opere, oscillanti tra la lezione dandiniana e i retaggi figurativi del fiorentino F. Curradi, seguirono, intorno alla metà del decennio, la Trinità terrestre in S. Marco e il Cristo risorto e i ss. Tommaso e Sebastiano in S. Tommaso in Pelleria. Dello stesso periodo risulta il Miracolo di s. Biagio nella chiesa di S. Frediano, affine allo stile di A. Rosi e non esente dalla pittura senese di N. Tornioli; mentre del 1656 è la pala con lo Sposalizio mistico di s. Caterina d'Alessandria in S. Anna a Lucca, filtrata sulle novità proposte a Firenze da V. Dandini (Betti, 1994, p. 264).
Tra il 1657 e il 1663 il F. fu impegnato con i pittori fiorentini L. Cappelli e G. G. Mannozzi, figlio di Giovanni da San Giovanni, in una serie di lunette, oggi perdute, nel chiostro piccolo del convento di Giaccherino a Pontelungo, presso Pistoia (Cappellini, 1992, pp. 114, 251). Durante la sosta pistoiese è probabile che abbia dipinto inoltre per la chiesa di S. Bartolomeo in Pantano il Miracolo di s. Biagio (Bellesi, 1996), che ripropone lo stesso tema di S. Frediano, e l'Annunciazione, già riferita dubitativamente a F. Leoncini (Falletti, 1992), ma innegabilmente autografa del Ferrucci (Bellesi, 1996).
Il 20 maggio 1659 il suo nome compare, insieme con quello del fratello Urbano, nell'atto di vendita di un'abitazione e di alcuni appezzamenti di terra a Fiesole. Dal documento, rogato dal notaio F. Rossi, apprendiamo che le suddette proprietà furono acquistate dallo scalpellino Michele di Simone Ferrucci, cugino del pittore (Arch. di Stato di Firenze, Notarile moderno, n. 15979, cc. 154-156).
Il 1º giugno 1659 fu battezzata in S. Martino a Lucca la figlia del F. Maria Rosaria (Poligrafo Gargani, sec. XIX); a questa nascita ne seguirono altre, tra le quali si ricorda quella di Francesca Antonia, documentata tra il 1664 e il 1667 (ibid.).
Dal 1658 al 1662 il F. realizzò alcune opere per la Compagnia della Ss. Trinità a Lucca, delle quali restano, al momento, soltanto la pala con la Ss. Trinità e i ss. Carlo Borromeo e Leonardo e un S. Michele Arcangelo (Betti, 1994, pp. 262, 264 s., 267 n. 21). In queste opere e in una Madonna con Gesù Bambino e santi già in S. Anastasio il F. si mostra sensibile alle suggestioni naturalistiche di R. Manetti e di A. Grammatica, forse mediate dall'esempio del lucchese P. Paolini.
La fase tarda della sua attività annovera dipinti come la Madonna del Carmine, oggi nella curia arcivescovile, e la Madonna del Rosario di Carignano, riferibili agli anni Sessanta, la pala con le Ss. Caterina d'Alessandria e Lucia a Borgo a Mozzano, documentata al 1662, e la Visione di s. Filippo Benizi nel soffitto della chiesa dei servi a Lucca, del 1668 (Betti, 1994, pp. 265 s.). Chiude la prolifica attività del F. la tela con i Ss. Antonino Pierozzi e Pietro martire in S. Romano a Lucca, firmata e datata 1669 (ibid., p. 272).
Ascrivibili al catalogo del F. ma di difficile collocazione cronologica appaiono un Noli me tangere nel Museo di Coreglia Antelminelli, una Madonna del Soccorso in S. Bartolomeo a Formentale, una S. Caterina d'Alessandria che intercede presso la Vergine per i prigionieri e una S. Rosalia oggi nei depositi di villa Guinigi a Lucca (ibid., 267 n. 31; Meloni Trkulja, 1994, p. 98). Documentati nelle fonti antiche, ma oggi irreperibili, risultano una Madonna in gloria e santi già in S. Agostino, un'Adultera nella collezione Buonvisi e un Ritratto del poeta Domenico Bartoli (Betti, 1994, pp. 263, 267 n. 31).
Ignota è la data di morte del F., avvenuta sicuramente dopo il 1669.
Fonti e Bibl.: Giaccherino, Bibl. del Convento, P. L. Parenti, Cronica e relat. e del sacro convento di Giaccherino Pistor. e de' minori osservanti (ms., 1690), cc. 24-25; Firenze, Bibl. naz., Poligrafo Gargani n. 804 (ms., sec. XIX), cc. n.n.; F. Baldinucci, Notizie de' professori del disegno ... [1681-1728], a cura di F. Ranalli, IV, Firenze 1846, pp. 561 s.; F. Schöttmuller, in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI, Leipzig 1915, p. 493; C. Del Bravo, Un tableau de l'école florentine au Musée de Chambéry, in La Revue du Louvre et des Musées de France, 1966, n. 3, pp. 137, 140; F. Nannelli, Antonio Franchi e la sua "vita" scritta da F. S. Baldinucci, in Paradigma, n. 1 1977, pp. 322 s., 334; R.Contini, in La pittura in Italia. Il Seicento, Milano 1989, I, p. 332; II, p. 737;S. Bellesi, Intorno ad alcuni equivoci tra Cesare eVincenzo Dandini, in Paradigma, n. 10, 1992, pp. 109 s.; P. Cappellini, in Chiostri seicenteschi, Firenze 1992, p. 251; F. Falletti, ibid., p. 231; P. Betti, in La pittura a Lucca nel primo Seicento (catal.), Pisa 1994, pp. 262-272; S. Meloni Trkulja, ibid., pp. 97 s.; M. T. Filieri, ibid., pp. 67, 79, 91; Tesori d'arte delle banche lombarde, Milano 1995, p. 73 (come P. Finoglia); S. Bellesi, Cesare Dandini, Torino 1996, ad Ind.; Diz. encicl. Bolaffi dei pittori e degli incisori ital., IV, p. 423.