D'AURIA, Giovan Domenico
"Fra quelli che uscirono dalla scuola del nostro famosissimo Giovan da Nola, certamente annoverar si deve Domenico D'Auria per lo migliore". Così si esprime sullo scultore napoletano il biografo settecentesco Bernardo De Dominici (1743, p. 166) aggiungendo che a questo scultore, quale discepolo prediletto, il Nolano affidava l'esecuzione di una gran parte delle sculture che uscivano dalla sua bottega, limitandosi il maestro a rifinirle "con pochi colpi di ritoccamenti, ed affinamenti": il che avrebbe suscitato la violenta invidia di A. Caccavello, suo condiscepolo.
La realtà storica, quale emerge dal diario di Annibale Caccavello, che venne pubblicato nel 1896, è invece ben diversa. Il D. e Annibale Caccavello furono insieme collaboratori stretti di Giovanni da Nola, e quando decisero di "mettersi in proprio", uscendo dalla bottega del maestro, iniziarono uno stretto sodalizio, una vera e propria società durata tutta la vita ed estesa ad altri membri delle rispettive famiglie. Il più antico caso documentato di attiva collaborazione tra i due discepoli e l'ex maestro è nel complesso tombale della cappella Caracciolo di Vico in S. Giovanni a Carbonara a Napoli: nella tomba di Nicola Antonio Caracciolo, marchese di Vico, commissionata nel 1547, è proprio la statua eretta del defunto a essere probabilmente eseguita dal D. (Filangieri, 1896).
In precedenza il nome del D., ancora inserito nella bottega dei Nolano, compare in altri documenti. Nel 1541 viene pagato per lavori fatti nella fontana dell'olmo: medaglie con la testa di Medusa, mascheroni, il monte al centro della fontana stessa (la fontana, commissionata a Giovanni da Nola dal viceré Pedro de Toledo, è distrutta; se ne conserva la descrizione in Summonte); nel 1544-45 compare tra i testimoni dei pagamenti fatti al maestro in relazione alle tombe del conte di Saponara e dei suoi fratelli nella chiesa dei SS. Severino e Sossio.
Il D. e il Caccavello compaiono insieme per la prima volta, e in qualità di soci, nell'esecuzione di un altare celebrativo del vescovo Luca Rainaldo per la chiesa di S. Caterina a Capua, il cui dossale oggi conservato nel Museo campano di Capua, rappresenta la Madonna col Bambino in gloria e le anime purganti, tra le quali è raffigurato anche il vescovo.
L'opera, commissionata nel giugno del 1550, è compiuta nelle sue parti principali proprio dal D., che s'intuisce essere il membro più anziano della società, mentre il Caccavello appare l'amministratore del sodalizio che si avvale di un'organizzata bottega in comune. Dall'esame dello stile di questa prima opera documentatamente autonoma dei due scultori è possibile ricavare un altro importante elemento: malgrado il lungo periodo di condiscepolato presso lo stesso maestro e malgrado la stretta collaborazione instaurata, i due scultori si muovono su direttrici artistiche del tutto differenti: il D. si crea uno stile che è una piana e serena accademizzazione del classicismo pacato e solenne del maestro, mentre il Caccavello, più "moderno", va invece cogliendo nelle pieghe dello stile del Nolano gli aspetti più inquieti e divaganti, più sottilmente irrequieti e manieristici.
Accanto alle opere di collaborazione con il suo socio, il D. sviluppò comunque anche un'attività indipendente. In quest'ambito la più antica prova dovrebbe essere la Caduta di s. Paolo nella cappella Poderico in S. Maria delle Grazie a Caponapoli, di cui il D'Engenio (1624) riporta l'iscrizione, oggi perduta, con una data 1509 che non può certo riferirsi, se esatta, al lavoro del D'Auria.
Che il rilievo fosse comunque una prova giovanile dello scultore lo testimonia anche il De Dominici: "un Signore della famiglia Poderico, che aveva una sua Cappella nella sudetta Chiesa, ammirando lo spirito del giovane, che ancora non giungeva all'età di venticinque anni, gli commise una Tavola di marmo, ove fusse rappresentata la Converúon di S. Paolo, in figure picciole" (p. 167). Ma la Caduta di s. Paolo non può dirsi un capolavoro. La composizione generica e melodrammatica, le acciaccature pesanti dei panneggi, le figure grevi e impacciate denunciano chiaramente che le attitudini del D. non erano certo per le rappresentazioni drammatiche e movimentate, congeniali invece alla frenetica fantasia del suo socio. Una placida magniloquenza è invece il sentimento che spira dalle sue composizioni.
Dopo la metà del secolo la produzione autonoma del D. si alterna alla collaborazione con il suo socio. Tra il 1553 e il 1557 i due scultori eseguono la perduta Deposizione per l'altare della cappella Carlino in S. Maria la Nova. Del 1557 è il sepolcro di Hans Walter von Hiernheim in S. Giacomo degli Spagnoli, condotto principalmente dal D'Auria. È lo stesso Caccavello a testimoniarlo, in una annotazione del Diario: il 24 ottobre di quell'anno, infatti, "se ej pigliato lo pezo de pietra mio grosso... lo quale predetto pezo de pietra se labora per lo armato de lo preditto tedesco" (paragrafo 251).
Del 1557 è anche la commissione del complesso scultoreo più impegnativo condotto in collaborazione dai due artisti: la cappella Di Somma in S. Giovanni a Carbonara, che quasi dieci anni più tardi, nel 1566, non era ancora terminata.
L'individuazione della parte spettante ai due soci nei lavori della cappella ha conosciuto pareri notevolmente discordi negli studi, ma alla luce di una più precisa conoscenza del loro stile, la drammatica, furiosa, patetica Assunzione di Maria dovrà certamente spettare al Caccavello, e il più placido sepolcro di Scipione Di Somma al D. (Bologna, 1950).
Del 1560 è un'altra prestigiosa commissione, la fontana del molo-di Napoli, detta comunemente dei "Quattro dei molo" per le quattro figure di fiumi che l'adornavano.
La più famosa fontana di Napoli, ampiamente descritta dagli antichi scrittori napoletani, certo di capricciosa invenzione e di fantasioso disegno (nei quali un certo ruolo deve averlo giocato Ferrante Carafa marchese di San Lucido, responsabile del tribunale delle fortificazioni, da cui dipendevano le fontane pubbliche, e poeta di stampo manierista), fu trasportata in Spagna un secolo dopo dal viceré Pietro d'Aragona duca di Segorbe tra le proteste dei Napoletani.
Sempre in collaborazione con il Caccavello il D. lavorò ad altre fontane pubbliche e private di Napoli; con Salvatore Caccavello scolpì "quattro sirene e quattro maschere di poco rilievo... per la fontana del marchese di Treviso nel giardino grande di Pizzofalcone" e nel 1566 la società vinse la gara per restauri da farsi nella fontana della Selleria.
A perfezionare gli accordi furono delegati dai capi bottega Salvatore Caccavello, da un lato, e Giovan Tommaso D'Auria dall'altro. Conferma evidente che nella bottega erano attivi membri delle rispettive famiglie. Nel 1563 il Diario di Annibale Caccavello registra pagamenti ai due soci scultori da parte del poeta Bernardino Rota per un'opera che Antonio Filangieri (1896, in Caccavello, pp. CXL s.) ha ragionevolmente supposto trattarsi della tomba della moglie Porzia Capece, in S. Domenico Maggiore, e in cui almeno il medaglione col ritratto della defunta è dovuto alla mano del D'Auria. Qualche anno più tardi (1569) allo stesso D., questa volta da solo, Bernardino Rota commissionò la propria tomba, sempre in S. Domenico Maggiore; opera che rappresenta la realizzazione più famosa e significativa del D'Auria.
Se l'intento del nobile poeta era quello di farsi erigere un sepolcro in cui lettere e nobiltà convergessero a creare un insieme di retorica ed elaborata magniloquenza, non poteva trovare migliore interprete: chiuso nella sua armatura, ma con accanto i libri prediletti, il poeta è onorato dalle raffigurazioni del Tevere edell'Arno che gli porgono corone d'alloro (allusione alla sua attività poetica, in latino e in volgare) oltre che della Natura e dell'Arte.
La maestosa solennità della tomba risultava evidentemente congeniale al temperamento e alle idee artistiche dei D., se è proprio nell'esecuzione delle tombe che possiamo rintracciare le sue prove migliori: nel sepolcro di Gerolamo Gesualdo nella chiesa dei SS. Severino e Sossio, di una qualità insolitamente sostenuta, nel modellato compatto ed addolcito, nella capigliatura e nella barba soffici e bioccose, nella testa del cavaliere mollemente adagiata sul cimiero.
Anche nel sepolcro di un ignoto condottiero, in S. Giacomo degli Spagnoli, di grande forza espressiva appare la figura del cavaliere giacente. Il D. si abbandona, tra l'altro, a sottili invenzioni, quali il motivo, poeticissimo, del braccio riverso su una specie di stuoia ricamata su cui giace il defunto, quasi a rimarcare un senso di placido abbandono.
Nel 1569 Caterina Orsini commissionò al D. la tomba di Traiano Spinelli, principe di Scalea, in S. Caterina a Formello, la prima di un notevole e splendido complesso di tombe, importanti anche per dimostrare come il sodalizio stvetto tra il D. e il Caccavello continuasse anche dopo la morte dei due scultori, se a completare quella serie di sepolcri troviamo certamente Salvatore Caccavello e con molta probabilità anche il figlio dei D., Geronimo D'Auria.
Il 16 marzo del 1573 il D. era già morto: agli eredi viene infatti effettuato un pagamento per la tomba di Fabrizio Brancaccio, lasciata incompiuta dal D. e finita, poi da Geronimo, aiutato probabilmente dai suoi soci, e nel settembre dello stesso anno Bernardino Rota continua a versare a Geronimo i pagamenti per la sua tomba scolpita dieci anni prima dal padre.
Fonti e Bibl.: A. Caccavello, Diario, a cura di A. Filangieri di Candida, Napoli 1896, ad Indicem; C. D'Engenio, Napoli sacra, Napoli 1624; F. De Petri, Historia napoletana [1634], a cura di B. Croce, in Napoli nobilissima, VIII (1899), pp. 14 S. (lo stesso in O. Morisani, Letteratura artistica a Napoli, Napoli 1958, pp. 82, 88); G. Tutini, De' pittori scultori... napoletani e regnicoli [secolo XVII], a cura di B. Croce, ibid., VII (1898), p. 124 (lo stesso, in Morisani, cit., p. 131); C. Celano, Notizie del bello, dell'antico e del curioso... di Napoli [1692], Napoli 1970, ad Indicem; B. De Dominici, Vite de' pittori scultori ed architetti napol., II,Napoli 1743, pp. 166-76; G. Sigismondo, Descriz. della citta di Napoli, I,Napoli 1788, pp. 152, 159; 11, ibid. 1788, pp. 15, 72, 140; 111, ibid. 1789, p. 174; B. Capasso, La fontana dei Quattro..., in Arch. stor. per le provv. napol., V (1880), pp. 158-94; Id., Appunti per la storia delle arti in Napoli, ibid., VI (1881) pp. 537-41; N. Faraglia, Giovanni Miriliano da Nola e le tombe dei fratelli Sanseverino, ibid., V (1880), p. 659; G. Filangieri di Satriano, Saggio di un indice di prospetti cronologici della vita e delle opere di alcuni artisti che lavorarono in Napoli, ibid., XII (1887), pp. 67, 72 s., 75; Id., Documenti per la storia le arti e le industrie delle provincie napoletane, IV,Napoli 1889, pp. 351-54; V, ibid. 1891, p. 36; G. Ceci, Per la biografia degli artisti del XVI e XVII secolo. Nuovi documenti, in Napoli nobiliss., XV (1906), pp. 134-37; G. B. D'Addosio, Docum. ined. di artisti napoletani del XVI e XVII secolo, in Arch. stor. per le provincie napol., XXXVIII (1913), p. 585; A. Venturi, Storia dell'arte ital., X, Milano 1935, pp. 758-67; F. Bologna, Sculturo lignee nella Campania (catal.), Napoli 1950, pp. 170-73; O. Morisani, La scultura dei Cinquecento a Napoli, in Storia di Napoli, V, Napuli 1972, pp. 763-70; M. Rotili, L'arte del Cinquecento nel Regno di Napoli, Napoli 1976, pp. 106 ss.; F. Abbate, Ilsodalizio tra A. Caccavello e G. D. D. e un'ipotesi per S. Caccavello, in Annali della Scuola normale super. di Pisa, VI (1976), 13 pp. 129-45; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, II, pp. 255 s. (sub voce Auria, Domenico di).