GUALANDI, Giovan Bernardo
La data di nascita del G., non documentata, cade probabilmente al principio del XVI secolo, se si prende come punto di riferimento il 1526, anno della sua prima opera a stampa, In Lutherum hereticum liber multae pietatis plenus ac Sacra Scriptura undique candidus auctore Ioanne Bernardo Florentino monaco cisterciense ("Impressit ex archetypo Antonius Bladus de Asula Romae anno subsequenti, mense Martio", in cui "anno subsequenti" va riferito alla data, "1525 tertio Nonas Iulii", della dedica a papa Clemente VII, dall'abbazia di Morimondo). Quanto al luogo di nascita, in tutti i suoi scritti egli si dichiara fiorentino, tuttavia la sua fiorentinità non risulta pienamente acclarata dalle fonti documentali.
Il G. abbracciò la vita religiosa come monaco cisterciense. Nel 1525 (forse già nel 1523) si trovava nella abbazia di Morimondo, presso Milano; nel 1526 era invece nel monastero delle Tre Fontane, presso Roma. Lasciò in seguito il chiostro e passò alla condizione di chierico secolare almeno dal 1531, anno in cui si designa "presb[yter]" (De liberali institutione, Firenze, L. Torrentino, 1561, dedica, p. 124). Nel 1532 era professo a Settimo, nei pressi di Firenze. A un non meglio precisato "carico ecclesiastico", ricevuto per intercessione di un certo Luca di Montaguto, accenna nella dedica degli Apoftemmidi Plutarco, Venezia, G. Giolito, 1565, c. *3v), ringraziando il generoso benefattore per avergli permesso di trascorrere in serenità gli ultimi anni della sua vita.
Altre tappe della vita del G. si estrapolano dalle dediche delle sue opere e dalle lettere, ma non è possibile andare oltre l'abbozzo di uno scarno reticolo di luoghi e date. Nel 1537 e nel 1564 era a Roma, a Viterbo alla fine degli anni Trenta e per parte del 1561, a Firenze nel 1541 e poi di nuovo nel 1562-63 e 1565, a Pistoia nel 1558 e nel 1561. Nel 1557 si trovava a Bologna, condottovi da un "danno" subito, da una "ruina" che lo aveva reso "profugo in tal estrema età" (Londra, British Library, Add. Mss., 10267, cc. 257r-258r): la terribile inondazione di Firenze del settembre 1557, durante la quale aveva "perduto le [sue] poche facultà" (ibid., c. 262v).
Secondo Moreni, il G. fu maestro dei chierici "in Aede Laurentiana" nel 1541 e 1554. Sappiamo inoltre da una sua lettera (ibid., c. 257r) che all'inizio del 1558 era a Pistoia "a cominciar l'insegnar pub[blico]" e che circa venti anni prima anche a Viterbo aveva esercitato il suo "pub[blico] ufficio". Nel 1561 erano invece "commessi alla [sua] disciplina" i figli di Giovanni Di Luna (Basilea, Universitätsbibliothek, Mss., O.IV.33, prefazione al De asse).
A questa attività sono probabilmente connesse alcune opere del G. di cui abbiamo solo la notizia. Inghirami, seguito da Brocchi, segnala una Sumpta grammatices elementaris (Viterbo 1538) oggi irreperibile. A "due operette latine grammaticali" accenna lo stesso G. in una lettera (British Library, Add. Mss., 10267, c. 262v), riferendo di averne ottenuto la licenza di stampa dalla Repubblica veneziana in concomitanza con quella per il Filostrato (Venezia, Comin da Trino, 1549).
Al periodo 1557-59 risale la corrispondenza del G. con Piero Vettori, conservata nel ms. Add. 10267 della British Library. In essa il G. propone a Vettori di assumere il ruolo di mediatore per procurargli un posto di lettore presso lo Studio di Padova. Altre lettere del G. a Vettori contiene il manoscritto C. L. M. 734 della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco (Epistolae illustrium virorum ad Petrum Victorium, I, cc. 74 ss.).
Per la data di morte del G. è possibile soltanto indicare il terminus post quem del 1565, anno della prima edizione degli Apoftemmi di Plutarco, sua ultima fatica letteraria. Nella lettera di dedica (datata 16 giugno 1565), egli dichiara di "trovarsi quasi ne gli ultimi anni dell'età d'un'huomo" e insomma in "estrema vecchiezza" (c. *3v), ed è probabile che la morte sia sopravvenuta non molto dopo.
Volgarizzatore assai attivo, il G. tradusse autori classici (Filostrato, Polibio, Plutarco), così come altri più vicini nel tempo (Benedetto Accolti e l'umanista francese Guillame Budé). Il primo frutto di questa attività è rappresentato dalla Historia di Polibio della prima guerra cartaginese (Biblioteca apost. Vaticana, Ott. lat., 1832) dalla versione latina di Leonardo Bruni, con lettera di dedica del 5 febbr. 1532 ad Alessandro de' Medici duca di Penne (poi di Firenze), nel "numero de' servi" del quale il G. si dichiara. A Venezia, nel 1549, per i tipi di Comin da Trino (ma con dedica al duca Cosimo de' Medici, da Firenze del 10 luglio 1541), uscì il Filostrato greco scrittore elegantissimo, Della vita del mirabile Apollonio Tyaneo tradotta in lingua fiorentina per M. Giovambernardo Gualandi, che secondo Cosenza (II, p. 1689) è traduzione basata sulla versione latina di Alemanno Rinuccini dell'opera del sofista greco. Edito per la prima volta nel 1562 a Firenze per i Giunti (e poi ancora ibid. nel 1564 e nel 1567) è il Trattato delle monete e valuta loro, ridotte dal costume antico all'uso moderno, volgarizzamento del De asse di G. Budé, con una dedica a Luigi Ardinghelli, vescovo di Fossombrone e vicelegato del Patrimonio (datata Viterbo, 30 ag. 1561). Dell'opera è nota anche una versione manoscritta, con il titolo De asse (Basilea, Universitätsbibliothek, Mss., O.IV.33), che però tramanda una prefazione anteriore di circa venti anni a quella poi affidata alle stampe (10 luglio 1541): il destinatario è Giovanni Di Luna, cui era allora affidata "l'importantissima custodia dell'inespugnabil castello di Fiorenza" (c. 3v). Il volgarizzamento dell'opera di Budé fu pubblicato - è il G. a informarcene (c. A3v) - anche per consiglio di Vincenzo Ricobaldi, arciprete di Volterra e suo buon amico, per evitare che gliene venisse espropriata la paternità, come era già successo a "gl'Apotemmati di Plutarco […] stampati in Vinegia da Venturino de Roffinello".
Questa edizione pirata è stata restituita al G. da P. Cherchi, che l'ha individuata ne I motti et le sententie notabili de prencipi, barbari, greci et romani da Plutarco raccolti. Nuovamente tradoti in lingua toscana… (Venezia, per Venturino Roffinello ad instantia di Paulo Girardo, 1543, con dedica a Piero de' Medici). Al furto degli Apoftegmi il G. riuscì a rimediare solo nel 1565, quando essi vennero pubblicati, stavolta regolarmente sotto il suo nome: Apoftemmi di Plutarco, motti arguti e piacevoli, e sentenze notabili, così di principi come di filosofi, tradotti in lingua toscana per m. Gio. Bernardo Gualandi fiorentino (Venezia, Gabriel Giolito de' Ferrari, 1565; poi di nuovo ibid. 1566 e 1567).
Come ha evidenziato Cherchi (1985), la raccolta del G., anche se è presentata come versione da Plutarco, in realtà "non è che una traduzione integrale degli apoftegmi di Erasmo" (p. 215): con una diversa disposizione della materia e con la sola aggiunta degli apoftegmi di Cosimo de' Medici alla fine dell'opera, l'operazione è tale che "se per un lato dissimula nel titolo e nell'ordine questa filiazione, per l'altro essa vien quasi ostentata nella fedeltà e nell'integrità della traduzione" (p. 216).
Il G. eseguì anche la versione volgare di due omelie di Giovanni Crisostomo (Roma, Biblioteca Casanatense, Mss., 3327); dedicate ad Alessandro Strozzi, preposto della Chiesa fiorentina (da Firenze, 15 genn. 1563), si intitolano Che nessuno è offeso se non da sé medesimo (Patrologia Graeca, LII, p. 459: Quod nemo laeditur nisi a se ipso) e Della compunzione del cuore libri I-II (ibid., XLVII, p. 393: De compunctione libri II). Del De bello a Christianis contra barbaros gesto, pro Christi sepulcro et Iudea recuperandis di Benedetto Accolti il G. realizzò una traduzione giuntaci nel codice 2916 della Biblioteca Riccardiana di Firenze (con dedica a Vincenzo Ricobaldi, da Roma, 3 genn. 1564).
Della produzione a carattere religioso fanno parte il trattatello In Lutherum haereticum e il De vero iudicio et providentia Dei, apologia. La composizione dello scritto antiluterano risale a circa il 1525; il testo, oltre che nella già ricordata edizione romana del 1526, ci è pervenuto nel codice Vat. lat. 3640 della Biblioteca apostolica Vaticana (con il titolo Ioannis Bernardus Florentini monachi cisterciensis in Martinum Lutherum haereticum liber ad Clementem VII pontificem maximum). Oggetto del trattato è la questione - che il G. intuisce centrale nel pensiero di Lutero - del merito e "il problema se all'uomo si potesse o no attribuire una sia pur relativa autonomia nella scelta tra il bene e il male", problema al quale il G. risponde attribuendo "all'uomo una certa misura di responsabilità etica" (Seidel Menchi, p. 66). Nel 1562 il G. pubblicò il De vero iudicio et providentia Dei, ac ipsius gubernatione rerum mundi huius, apologia (Firenze, L. Torrentino), dedicato a papa Pio IV. L'opera ci è pervenuta anche manoscritta nel codice Vat. lat. 3672 della Biblioteca apost. Vaticana, sotto il titolo Apologia de vero iudicio ac providentia Dei, ac eiusdem humanarum rerum gubernatione, ma con una lettera dedicatoria a Paolo III, da Roma l'8 genn. 1537.
Il G. fu anche autore di alcuni dialoghi. Il De optimo principe dialogus (Firenze, L. Torrentino, 1561) è preceduto da una lettera di dedica a Cosimo de' Medici ("ex ludo literario Pistoriensi. A Virgineo partu, anno MDLXI mense Martio"), seguita da una prefazione a Francesco II Sforza ("In hortis nostris, ex Valle Ticini, Idibus Augusti 1523"). L'opera comprende, oltre al De optimo principe (pp. 6 [ma 8]-123), anche il De liberali institutione dialogus (pp. 124-167), sempre indirizzato a Cosimo de' Medici (la dedica è da Firenze, ottobre 1531), e l'Oratio in honorem ss. Cosmi et Damiani (pp. 168-182). Nel ms. H.VI.16 della Biblioteca nazionale di Torino ci è giunto il De vera felicitate dialogus, con dedica a Emanuele Filiberto di Savoia del marzo 1563 (nel febbraio il Savoia era entrato a Torino, proclamata capitale del Ducato); ma il dialogo è da ricondurre a più di trent'anni prima: a conclusione del De liberali institutione (la cui prefazione è datata 1531) vi è infatti un riferimento preciso dell'autore a un suo "dialogo de vera felicitate" e alla materia ivi trattata (p. 166).
Resta un unicum nella produzione letteraria del G. il gruppo di liriche (capitoli in terza rima, canzoni, madrigali, ballate e una stanza) dal titolo Novi amori (Perugia, Biblioteca comunale Augusta, Mss., I.18). Dedicata a Benedetto Accolti, arcivescovo di Ravenna, da Roma "ex aedibus Trium Fontium" il 12 ag. 1526, la raccolta presenta una struttura d'impianto allegorico pastorale. Il pastore Phisicola, assorto a "contemplar natura", è sorpreso da tre ninfe che inseguono una preda. Sollecitato a porgere loro aiuto resta immobile, sopraffatto dall'amore per una delle cacciatrici. Riavutosi, si mette sulle sue tracce. Il giorno seguente si imbatte in una festa di pastori; uno di questi, Philantropo, gli chiede le ragioni del suo evidente dolore e lo invita a restare per imparare con il "sollazzare" a "sbeffar d'amore el scorno". Arrivano alcune ninfe (tra cui le tre della caccia) e si costituisce così una brigata di pastori e ninfe, a ciascuno dei quali è affidato un componimento in versi.
Fonti e Bibl.: D. Moreni, Annali della tipografia fiorentina di Lorenzo Torrentino impressore ducale, ed. anast. a cura di M. Martelli, Firenze 1989, pp. 337-340; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 254; M. Colombo, Catalogo di alcune opere attinenti alle scienze, alle arti e ad altri bisogni dell'uomo…, Milano 1812, pp. 46 s.; F. Inghirami, Storia della Toscana, XIII, [Fiesole] 1844, p. 201; F. Brocchi, Collezione alfabetica di uomini e donne illustri della Toscana…, Firenze 1852, p. 96; F. Cavalli, La scienza politica in Italia, II, Venezia 1865, pp. 343 ss.; G. Ferrari, Gli scrittori politici italiani, Milano 1929, pp. 249 s.; T. Sala, Diz. storico biogr. di scrittori, letterati ed artisti dell'ordine di Vallombrosa, I, Firenze 1929, pp. 285 s.; T. Bozza, Scrittori politici italiani dal 1550 al 1650, Roma 1949, pp. 37 s.; M.E. Cosenza, Biographical and bibliographical Dictionary of the Italian humanists…, II, Boston 1962, p. 1689; P. Cherchi, G.B. G.: per la fortuna di Erasmo in Italia, in Studies in the Italian Renaissance. Essays in memory of Arnolfo B. Ferruolo, a cura di G.P. Biasin - A.N. Mancini - N.J. Perella, Napoli 1985, pp. 208-225; S. Seidel Menchi, Erasmo in Italia 1520-1580, Torino 1987, pp. 65-67, 371-373; P. Cherchi, Polimatia di riuso. Mezzo secolo di plagio (1539-1589), Roma 1998, pp. 63 s.