FRUGONI (Frugone), Giovan Bernardo
Nacque nel 1590 a Genova, nel palazzo di famiglia di piazza Valoria, da Giovan Battista e da Maria Sauli.
Le famiglie erano della parte "nuova" della nobiltà, tra le più autorevoli i Sauli, tra le più recenti i Frugoni, ascritti alla nobiltà nel 1528 con la riforma doriana nell'"albergo" Salvago. Nel corso del Seicento, anche a causa della crisi perdurante nel settore serico, dal quale avevano tratto notevoli ricchezze, e della crisi finanziaria prodotta dalla insolvenza spagnola, i Frugoni si rivolsero alla carriera giuridico-amministrativa. In questa ricoprì incarichi, pur senza particolare incisività, il padre del F., per molti anni eletto di seguito tra i Padri del Comune e per due volte, nel 1600 e nel 1616, estratto senatore.
In prospettiva di analoga carriera, il F. fu avviato a studi giuridici, dopo la frequenza di qualche accademia militare, assai probabilmente insieme con i cugini Sauli. Da questi ultimi e poi dai due cognati Giustiniani derivarono al F. i legami politico-familiari che contribuirono a collocarlo in quell'area di giovani nobili particolarmente insofferenti della politica remissiva della nobiltà "vecchia" nei confronti della Spagna, specie dopo la crisi della guerra sabauda del 1622-25 e la bancarotta spagnola del 1627.
Tuttavia è significativo che il F. non appaia mai direttamente né nei dibattiti degli anni '30 né in quelli degli anni '50: specie in questi ultimi, quando le cariche autorevoli che ricopriva e i gravi problemi sottoposti al suo giudizio (le contrastate elezioni dogali; soprattutto la sequenza di "congiure" di G.G. Vachero e poi di G.P. Balbi e di S. Raggi) sembrerebbero obbligarlo a un'esplicita presa di posizione. Il perdurante silenzio del F. esprime il suo moderatismo: quello stesso che è ricavabile, anche in politica estera, dalla preziosa relazione del 1633 dell'inviato spagnolo Francisco de Melo. Questi, nel comunicare a Madrid informazioni sulla collocazione politica del patriziato genovese, distingueva in tre filoni il vasto fronte dei fautori del modello repubblicano: tra filospagnoli, filofrancesi antispagnoli e "repubblichisti" senza aggettivi, il F. è collocato tra questi ultimi. Sono invece elencati tra gli antispagnoli i suoi parenti Sauli e Giustiniani, e in particolare il cugino Giulio Sauli, di qualche anno più anziano, con cui il F. condivise, fin dall'inizio, tante esperienze di governo.
Nel 1615 fu nominato sindacatore ordinario a Genova con funzioni di controllo della regolarità amministrativa civile e militare, e nel 1623 sindacatore "ultra jugos", cioè nell'entroterra appenninico; a questi incarichi, che richiedevano una preparazione di natura giuridica, altri il F. ne affiancò di natura militare e amministrativa: nel 1617 all'ufficio dei Poveri (recente istituzione con la quale la classe dirigente genovese riusciva a mantenere sotto controllo il disagio sociale acuito dalla forte urbanizzazione); nel 1618 a Savona, commissario della fortezza; tra il 1619 e il 1620 di nuovo a Genova, addetto all'ufficio di Redenzione degli schiavi (cioè al riscatto dei genovesi catturati dai Turchi); nel 1621 magistrato di Terraferma; nel 1624-25 nominato tra i trenta capitani incaricati della difesa della città in caso di attacco sabaudo. Nel 1627 fu sindacatore in Corsica, dove il cugino Giulio Sauli era governatore. Rientrato a Genova, il F. fu nominato prima tra i conservatori del Mare e poi, fino al 1630, addetto alle nuove forniture di artiglieria: incarichi dai quali i settori navalisti del suo partito si ripromettevano attivo sostegno al loro programma di rilancio e riarmo: ma, anche in questo caso, mancano interventi del F. sulle scelte da lui operate. Nel 1633, oltre all'incarico nella giunta per la costruzione delle nuove mura, gli fu affidata l'assistenza alla Rota criminale, come procuratore dei carcerati poveri (una sorta di avvocatura d'ufficio), finché, nel maggio, venne estratto senatore. Terminato il biennio nell'importante carica, riprese il percorso tra le varie magistrature: nel 1635 capitano di Polcevera, una delle tre podesterie suburbane che, prima compresa come pretura negli uffici intermedi conferibili sia a nobili sia a civili, era divenuta ufficio maggiore riservato ai nobili all'inizio del '600.
Non è da escludere che questa destinazione del F. a uffici del Ponente e dell'Oltregiogo abbia qualche attinenza con il forte decentramento industriale operato da allora in quelle zone anche dai suoi parenti Giustiniani e con i nuovi problemi sociali che si ponevano in zone tradizionalmente agricole.
Nel 1636 il F. passò al magistrato dei Provvisori e nel 1637 ai Cambi (mentre il cugino Giulio Sauli si insediava per vent'anni al Banco di S. Giorgio). Nonostante i numerosi passaggi tra una magistratura e l'altra, il F. dovette in quegli anni dimostrare specifiche cognizioni economiche: il doge G.B. Lercari lo volle infatti nella commissione per l'olio da lui presieduta per affrontare i problemi di specializzazione produttiva e razionalizzazione del mercato per questo importante prodotto dell'economia ligure. Dal 1643 il F. passò nuovamente a incarichi nell'amministrazione giudiziaria, con un biennio tra gli inquisitori di Stato, magistratura istituita nel 1628 dopo la congiura del Vachero. Riestratto senatore nel giugno 1646, il F. fu preside dei conservatori della Sanità, cui competeva il controllo su lazzaretti e quarantene. Riestratto una terza volta nel novembre 1651, fu di nuovo nominato inquisitore di Stato e, sempre nello stesso biennio, deputato alla costruzione del molo nuovo e protettore dell'ospedale di Pammatone. L'accumulo delle cariche proseguì anche dopo il termine del biennio senatoriale: cooptato nel 1653 nella giunta di Giurisdizione, nel gennaio 1654 veniva nominato conservatore della Pace, una magistratura nata per impedire i duelli. Nel 1656, mentre Giulio Sauli era eletto doge, il F. diveniva supremo sindacatore.
La carica che prevedeva tra l'altro il controllo sull'operato del doge, fu onorata dal F. in circostanze che richiesero un eccezionale senso del dovere: l'abbattersi infatti di una delle più gravi epidemie di peste della storia di Genova costrinse il F., con il doge e altri cinque o sei senatori sfuggiti alla morte, a coprire tutte le cariche di governo rese vacanti dal contagio.
Nella generosa prestazione durante la peste (da 45.000 a 55.000 morti, secondo stime confermate da studi recenti, su una popolazione cittadina di 73.000 unità) il F. accumulò i meriti pubblici che convinsero la nobiltà decimata a conferirgli la carica dogale, non senza il rispetto della sottintesa norma dell'alternanza che, dopo il "nuovo" Sauli, voleva doge un esponente della nobiltà "vecchia". Perciò concluso il biennio dogale 1658-60 del "vecchio" G.B. Centurione, il F., che era stato estratto senatore per la quarta volta (e addetto alla giunta di Giurisdizione e a quella di Marina), fu eletto doge il 28 ott. 1660. Ma fu un dogato brevissimo: nel successivo febbraio una malattia contratta al gran ballo organizzato da G.B. Pachinotti per le nozze della figlia con Lazzaro Doria lo condusse alla morte a Genova il 22 marzo 1661.
La cerimonia funebre, in assenza del cardinale arcivescovo, fu officiata in duomo il 26 marzo dal vescovo di Ventimiglia e il discorso tenuto da Orazio Della Torre. Venne sepolto nella cappella di famiglia in S. Francesco di Castelletto, chiesa che, insieme col fratello Giovan Francesco, il F. aveva fatto restaurare fin dal 1640, ottenendone lo juspatronato. La sua eredità venne divisa - secondo volontà espressa in punto di morte ai servitori -, tra i due nipoti Giustiniani, figli di due sorelle, Bartolomeo e Carlo. Dal matrimonio, contratto in età matura con Laura Della Chiesa, vedova di Gian Girolamo Groppallo a causa della peste, il F. non aveva avuto figli; ma aveva già provveduto ai quattro figli della moglie, all'educazione dei due maschi e alla dote delle due femmine, come Laura riconosceva nel testamento. Col F. si estinse il ramo nobile della famiglia.
Fonti e Bibl.: Sincero, Gazzetta di Genova, 1646, 9 giugno; D. Piaggio, Monumenta Ianuensium, Genova 1720, II, p. 319; L. Della Cella, Famiglie di Genova, Genova 1782, II, p. 91; F. Casoni, Annali di Genova, Genova 1800, VI, p. 74; L. Volpicella, I libri cerimoniali della Rep. di Genova, Genova 1921, p. 276; L. Levati, I dogi biennali di Genova, Genova 1930, pp. 191-200 (con bibl.); G. Guelfi Camajani, Il "Liber nobilitatis Genuensis", Firenze 1965, p. 214; C. Bitossi, Il governo dei Magnifici. Patriziato e politica a Genova tra Cinque e Seicento, Genova 1990, pp. 110 n., 232 n., 245 n., 270 n.