VIOTTI, Giovan Battista
Violinista e compositore, nato a Fontanetto Po (Vercelli) il 23 maggio 1753, morto a Londra il 3 marzo 1824. Il padre era un maniscalco, suonatore di corno. Alfonso Dal Pozzo, principe della Cisterna, accolse il piccolo Giovan Battista nel proprio palazzo a Torino e lo affidò, per lo studio del violino, alle cure di G. Pugnani. Per la composizione sembra invece che il V. sia stato autodidatta. Dopo aver fatto parte per alcuni anni dell'orchestra della cappella reale, egli lasciò per sempre l'Italia (non è provato che vi sia tornato per un breve soggiorno nel 1783 o nel 1788), e insieme con il proprio maestro intraprese un viaggio artistico attraverso l'Europa, l'unico da lui compiuto.
Suonò con ottimo successo a Ginevra, Varsavia, Pietroburgo, Mosca, Berlino, dove sembra si sia separato dal Pugnani. Recatosi a Parigi, si presentò ai Concerts spirituels nel marzo del 1782, e la sua eccezionale abilità eclissò la fama dei più celebri violinisti ascoltati prima di lui; ma dopo soli due anni dall'arrivo nella capitale francese rinunciò, per cause imprecisate, alla pubblica attività di concertista. Diresse, successivamente, molto ammirato, le orchestre dei principi di Guéménée e di Soubise. Poi, insieme con il famoso parrucchiere di Maria Antonietta, Léonard Autié, assunse l'amministrazione del nuovo Théâtre de Monsieur, alle Tuileries. Lo spettacolo inaugurale ebbe luogo il 26 gennaio 1789 e molte opere italiane vi ottennero successi grandiosi. A turbare il naturale svolgimento del programma stabilito sopraggiunsero gli avvenimenti del luglio, che costrinsero la direzione a trasferire il teatro alla fiera di San Germano, in un locale inadatto. Aperta la nuova sala in via Feydeau (donde il nome di Théâtre Feydeau) nel gennaio del 1791, la folla vi sembra attratta, tanto più che il V. vi fa risorgere i Concerts spirituels, sospesi per la rivoluzione. Ma poi le calunnie sparse contro di lui, anche come ex-addetto alla corte, e il disinteressamento di gran parte dell'aristocrazia, preoccupata di ben altre vicende, suggeriscono al V. di emigrare in Inghilterra, e la stagione si chiude il 31 agosto 1792. A Londra il V. riprende per poco l'attività violinistica, suonando con esito brillantissimo nei concerti organizzati da J.-P. Salomon. Verso il 1794-95 partecipa alla direzione amministrativa del King's Theatre, e in seguito vi occupa il posto di direttore d'orchestra, quale successore di W. Cramer. Nel 1798 gli giunge improvvisamente l'ordine di abbandonare l'Inghilterra (invidia di colleghi, false dicerie sulla sua condotta politica?). Si rifugia vicino ad Amburgo, a Schönfeld, e vi si ferma per tre anni, dedicandosi soprattutto alla composizione. Ottenuto il permesso di tornare in Inghilterra, passa oscuramente una decina d'anni, durante i quali perde tutto il suo patrimonio col commercio dei vini. Nel 1818 si trasferisce di nuovo a Parigi (dove aveva compiuto brevi viaggi nel 1802 e nel 1814), e l'anno dopo è nominato direttore dell'Accademia di musica (Opéra) e del Teatro degl'Italiani. La sala Favart, dove l'Accademia s'installa, è troppo angusta e il pubblico non nasconde il proprio malcontento. Quando finalmente, il 16 agosto 1821, viene inaugurata la sala in Via Le Pelletier, le sorti del V. sono ormai decise. La sua direzione è durata esattamente due anni (1° novembre 1819-21). Sostituito da F. A. Habeneck, il V. tornò in Inghilterra, dove morì.
Come violinista, il V. ci è descritto dai suoi contemporanei esecutore nobilissimo, vario nell'espressione e nei coloriti. Alla grandiosità di fraseggio e alla fierezza d'accento, emanazioni della sua personalità novatrice, egli sapeva unire la tenerezza e la grazia di un canto quanto mai seducente, abbandonandosi nei momenti di maggior lirismo a una mirabile elasticità, che però non tradiva mai le esigenze del ritmo. E la sua sicurezza tecnica, già fortissima nei passaggi di bravura, diventava impetuosa nelle cadenze, in cui poteva sbizzarrirsi in nuovi arditi procedimenti.
L'influenza esercitata dal V. sui giovani violinisti del tempo fu decisiva. Anche le sue composizioni vi contribuirono, sia rendendo più familiare l'uso dei bicordi, sia arricchendo la tecnica dell'arco d'insolite combinazioni (una di queste è detta ancora oggi "arcata alla V."). Né si deve dimenticare che le attuali dimensioni dell'arco furono suggerite a F. Tourte dallo stesso V. Gli allievi che egli ebbe a Parigi e a Londra non furono molto numerosi. Ma avendo essi, a loro volta, esplicato attività di maestri e di concertisti in nazioni diverse, si può affermare che i principî della scuola corelliana, ereditati dal V. attraverso G. B. Somis e il Pugnani, si diffusero per suo tramite nell'intera Europa. Negli ultimi anni il V. ebbe intenzione di fissare in un metodo le basi del proprio insegnamento; ma non scrisse che le poche pagine di consigli teorici pubblicate postume, in fac-simile, nel metodo del Habeneck.
Opere. - Il nome del V. è indissolubilmente legato alla forma del Concerto, cui egli diede grandiosità di linee e sapidità di contenuto. Straordinariamente fecondo, scrisse 29 concerti per violino e orchestra, i primi 20 stampati a Parigi dal 1782 al 1792, gli altri 9 a Londra. Però il primo, cronologicamente, è quello in la maggiore, pubblicato come N. 3, e composto a Torino, quando il V. non aveva che quattordici anni. Nella prima edizione i N. 13-17 apparvero sotto il titolo Seconde suite de concertos à violon principal N. Ier, 2e, 3e, 4e et 5e, e i N. 21-29 vennero distinti con le lettere dell'alfabeto (A-I). Nei concerti stampati a Parigi l'orchestra è di solito limitata agli archi, a due oboi e due corni, in quelli stampati a Londra la famiglia dei legni è completa e ai corni sono aggiunti due trombe e i timpani. Se nei primi concerti lo stile deriva nettamente dalla scuola piemontese, ed è tutto grazia e galanteria, a cominciare dal N. 14 esso si evolve e mette in luce le autentiche prerogative della musa viottiana, a volte elegiaca, a volte drammatica, come appare dall'uso prevalente della modalità minore. Significativi, sotto questo aspetto, i N. 17 e 18, eseguiti per la prima volta nel 1791, da P. Rode al Théâtre Feydeau. Specie nel N. 18 il talento del V. si manifesta genialmente precursore: anche i temi, pur rimanendo nell'ambito degli accordi tonali, acquistano maggiore plasticità (il concerto fu ripubblicato da M. Abbado, con nuovo accompagnamento e due cadenze per solista). Lo schema generalmente adottato per il 1° tempo è il seguente: tre-quattro Tutti, dall'andamento di solito maestoso, alternati a due-tre lunghi Soli. Il Tutti iniziale, ampiamente sviluppato, a guisa d'introduzione, è in forma chiusa, e prepara in modo suggestivo la presentazione del solista, non più elemento dell'orchestra stessa (elemento staccantesi saltuariamente dalla massa per semplice contrasto fonico), ma antagonista che si contrappone vittoriosamente con brillante bravura al contesto orchestrale. Il secondo Solo è spesso imperniato su un nuovo disegno tematico, e la ripresa avviene molto liberamente. L'ultimo Tutti è preceduto qualche volta da una pausa, destinata alla cadenza per lo strumento solista. L'adagio è quasi sempre assai breve, e il finale ha la forma di rondò. Fra gli ultimi concerti i più notevoli sono il N. 20 (il cui accompagnamento è stato liberamente rielaborato da M. Cor, il N. 23 (soprannominato in Inghilterra John Bull, e che insieme col N. 20 costituisce un ritorno alla serenità); il N. 24, il N. 28 e l'ultimo, in mi minore, tutti e tre concepiti nello stile vigorosamente nobile proprio del V. Però all'apice della sua creazione sta il N. 22 in la minore, dedicato "à son ami Cherubini", prediletto da J. Brahms e da J. Joachim e tuttora eseguito dai più eminenti violinisti. Il periodare, di respiro insolitamente ampio, assurge qui al più alto grado di espressività, e la libertà dell'elaborazione apre nuove vie agli sviluppi successivi del Concerto. Anche l'adagio vi ha dimensioni non abituali al V. e si svolge in un'atmosfera di calda cantabilità, mentre l'ultimo tempo (allegro agitato) è pervaso da vibrante pathos. Soltanto, gli episodî virtuosistici non si amalgamano troppo bene con le parti cantabili, mancando di un substrato tematico che li vivifichi musicalmente, e l'accompagnamento indulge spesso a formule armonicamente e ritmicamente viete. E. Polo lo ha perciò interamente rifatto e strumentato, e ne ha pubblicato la riduzione per pianoforte, corredandola di due cadenze per il violino solista. Altre cadenze per questo concerto sono state composte da D. Alard, J. Bloch, J. Joachim, H. Léonard, C. Nowotny, C. G. Nyblom. Dei rimanenti concerti sono stati ristampati in edizione moderna il N. 13 e quelli dal N. 17 in poi, con cadenze di M. Corti e di C. Mirés per il N. 20, di C. Nowotny e di E. Polo per il N. 23, di D. Alard per il N. 24, di H. Marteau per il N. 25. L. Massart ha poi ripubblicato la parte del violino solista di tutti i 29 concerti.
Nello stesso stile dei concerti il V. ci ha pure lasciato due sinfonie concertanti per due violini e orchestra, eseguite nel 1787 (di una terza sinfonia eseguita nello stesso anno non è rimasta traccia), e 12 sonate per violino e basso, ristampate col basso realizzato da J. Venzl per le prime 6 e da C. Gatti per le successive. Ciascuna di queste sonate consta, come i concerti, di tre tempi, due Allegri inframmezzati da un adagio. La differenza sostanziale sta nell'assenza dei Tutti e nella forma del 1° tempo che, pure essendo bitematico, è bipartito. Sebbene la loro importanza sia, sotto diversi aspetti, molto inferiore a quella dei concerti, pure in alcune di esse vi è brio, eleganza e anche calore di contenuto.
Più utili, dal lato didattico, sono i 54 duetti per due violini (pubblicati dal 1789 in poi) e le 6 serenate op. 23 in forma di duetti concertanti. Specie queste ultime e i 6 duetti op. 5, scritti a Schönfeld e dedicati agli amici Chinnery, costituiscono uno degli esempî più mirabili del risultato fonico musicale ottenibile da due strumenti di uguale tessitura e timbro. Particolare curioso, i tre duetti op. 20 sono stati editi per la prima volta da Cherubini, Kreutzer, Rode e altri musieisti. M. Corti ha curato la ristampa italiana dell'intera raccolta.
Altre opere notevoli del V.: 21 trii per due violini e basso, 10 quartetti op. 1, tre divertimenti per violoncello e pianoforte (trascritti in seguito per violino e piano), 6 duetti concertanti per due violoncelli (trascritti dai duetti per violino), 9 sonate per pianoforte (le prime 6 delle quali trascritte dai trii per archi) e più di 10 concerti per pianoforte (trascritti in gran parte dai concerti per violino: numeri 6, 9, 10, 19, 21, 25). Invece il 20° concerto per violino sarebbe stato composto in origine per pianoforte (8° concerto).
Bibl.: A. Pougin, V. et l'École moderne de violon, Parigi 1888, che si basa sui seguenti scritti: F. Fayolle, Notices sur Corelli, Tartini, Pugnani et V., Parigi 1810; P. Baillot, Notice sur J.-B. V., ivi 1825; M. Miel, Notice historique sur J.-B. V., ivi 1827. Per il centenario della morte la revue de musicologie ha dedicato al V. il numero dell'agosto 1924, e H. Curzon ha scritto in Ménestrel (25 aprile 1924): Quelques souvenirs de V. Vedi pure: F. Regli, Storia del violino in Piemonte, Torino 1863, p. 45 segg.; M. Pincherle, La méthode de violon de J.-B. V., in Feuillets d'histoire du violon, Parigi 1927, p. 172 segg.; L. de la Laurencie, L'école française de violon de Lully à V., ivi 1922-25, II, III; A. Pougin, Le violon, Parigi 1924.