SPINELLI, Giovan Battista
– Nacque a Chieti probabilmente nel 1613 (Tiraboschi, 2004) da Sante Spinelli (si ignora il nome della madre).
La data di nascita è supportata da una dichiarazione del 1655 in cui Spinelli afferma di avere quarantadue anni (ibid.). Alcune fonti degli anni Quaranta lo citano come «Bergomensis» (Spinosa, 1984) perché la famiglia, dedita al commercio di stoffe e di granaglie, era originaria di Albino, località nelle valli bergamasche. Spinelli percorse trasversalmente l’Italia della prima metà del XVII secolo, dall’area bergamasca, dove avvenne probabilmente la prima formazione, al triangolo abruzzese delle città di Ortona, Lanciano e Chieti, dove la famiglia si recava regolarmente per commerciare. Soggiornò inoltre più volte a Napoli.
Il padre Sante, attivo a Chieti e nel Regno di Napoli sin dagli anni Dieci, sciolse nel 1631 la società di commercio con un suo congiunto, Francesco Benvenuti, anch’egli bergamasco, e promise di saldare parzialmente i suoi debiti con il socio, che ammontavano a circa 300 ducati, fornendo alcuni dipinti del figlio Giovan Battista (Tiraboschi, 2004). Nel dicembre del 1637 Benvenuti venne assassinato, e nell’inventario redatto dopo la sua morte si citano trentasette dipinti di Spinelli presenti nella sua casa di Albino (ibid.; Battistella, 2013): Storie e personaggi del Vecchio Testamento, Paesi, ritratti «dal naturale» all’interno di cornici ottagonali, una Madonna, una Natività, alcuni Santi, due Veneri nude e altro (Leone de Castris, 2010). Giovan Battista seguì le fasi del processo per l’omicidio di Benvenuti soggiornando a Venezia dal maggio del 1638 al marzo del 1639, tornando poi ad Albino, e trasferendosi a Chieti (Tiraboschi, 2004).
A questa prima fase corrisponde, molto probabilmente, la prima formazione di Spinelli, che avvenne in ambito bergamasco nella cerchia di Domenico Carpinoni (Ravelli, 1985-1986). Il ciclo dei Dodici apostoli della chiesa di S. Lorenzo a Valbondione, dipinto da Carpinoni dal 1600 al 1615, presenta alcune caratteristiche assimilabili con la serie dei disegni di Spinelli che rappresentano S. Matteo e l’angelo, oggi al Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi (fondo Emilio Santarelli). In particolare, i dipinti di Carpinoni che raffigurano S. Andrea, S. Matteo, S. Giacomo maggiore possono essere stati presi a modello per alcuni fogli di Spinelli, così come il S. Taddeo è in rapporto con il foglio 8911S. Un ulteriore confronto possibile è con alcuni dipinti di Spinelli a Napoli, quali il Profeta e il Mosè dell’omonimo dipinto in cui il patriarca si leva i calzari davanti al roveto ardente, entrambi in collezione privata, e la figura di s. Agostino nella Madonna col Bambino, s. Carlo Borromeo e s. Agostino della Congrega dei Bianchi in S. Severo alla Sanità (e in deposito al Museo di Capodimonte), caratterizzati da fisionomie caricate, nasi aquilini e vesti dalla consistenza cartacea, cifre stilistiche del pittore.
La serie dei ventisei fogli con S. Matteo e l’angelo, considerata produzione del periodo giovanile, presenta caratteristiche comuni nelle dimensioni, nel tipo di carta e negli strumenti con cui tutti gli esemplari sono stati realizzati.
I disegni misurano in media cm 13,6×10,7 e sono eseguiti su carta bianca ingiallita a penna, con bistro e tracce di matita nera. Cambia tuttavia l’invenzione nella disposizione dei due personaggi, negli atteggiamenti assunti e negli stati d’animo rappresentati: una scelta compiuta probabilmente per riprodurre i diversi modi dell’iconografia del santo nei momenti salienti della sua vita. Nel disegno 8921S il santo è probabilmente tracciato nei panni di Levi d’Alfeo, uomo borghese, mentre svolge l’attività di esattore delle tasse, e la coroncina appoggiata sul rametto del tronco mozzo potrebbe unire in un unico simbolo un doppio significato: attraverso l’oro dell’oggetto, l’attività svolta dall’usuraio prima della vocazione, e attraverso la corona stessa, quale metafora del martirio, la futura decapitazione. Nel disegno 8916S il santo è riprodotto nel momento in cui ha saputo che sarà in grado di scrivere ed è venuto a conoscenza dell’entità del suo scritto; nel disegno 8923S lo schema è diviso in diagonale concentrando l’attenzione sul ripiano in pietra dove poggiano il libro aperto del Vangelo e il calamaio (Tedesco, 2010a).
Come colse Walter Vitzthum nel 1966, Spinelli associa grande capacità inventiva a modelli di riferimento come Hendrick Goltzius e Jacques Callot, e ancora Luca di Leida, Heinrich Aldegrever, Albrecht Dürer, seppure questi ultimi più distanti dalle sue conoscenze.
Un aspetto importante dell’opera di Spinelli è infatti rappresentato dal corpus grafico, piuttosto ricco, composto da quasi un centinaio di disegni. La maggior parte di essi si trova agli Uffizi, dove sono conservati cinquantotto fogli, divisi tra i quaranta Santarelli e i diciotto già del cardinale Leopoldo de’ Medici, inventariati nel 1673 come «opera di Spinelli da Napoli» nella «Listra de’ nomi de’ pittori di mano de’ quali si hanno disegni», compilata da Filippo Baldinucci per il cardinale stesso. Due fogli che presentano uno stesso tema, l’Adorazione dei pastori, hanno collocazioni diverse: uno nella collezione Ferrara-Dentice del Museo di S. Martino di Napoli e l’altro nel Teylers Museum di Haarlem. Altri due fogli sono al British Museum di Londra; e uno, con La Resurrezione di Lazzaro, è giunto con la collezione Tessin al Nationalmuseum di Stoccolma. Ancora, due fogli, raffiguranti il primo la Deposizione e altre figure (recto) e Deborah e Barach (verso), e il secondo Studi di figure, si trovano nella Biblioteca comunale di Siena (Spinosa, 1996). Altri disegni, infine, hanno varie collocazioni private o sono stati pubblicati in occasione della loro comparsa in aste. Si ricordano, tra quelli individuati più di recente, un foglio in collezione privata a Napoli con una Scena di figure che rimanda al segno di Massimo Stanzione e Domenico Gargiulo, oltre a permettere confronti stringenti con l’Assunzione della Vergine e lo Studio di varie figure, della collezione di Leopoldo de’ Medici (10957F e 10959F; Tedesco, 2010b), e la Carità nella collezione Marcel Puech del Musée Calvet di Avignone, attribuita dapprima a Ludovico Cardi, poi a «Verona? XVIII secolo?» (Di Giampaolo, 1998) e infine a Spinelli (Tedesco, 2011). Una pratica costante di Spinelli è quella di firmare i propri disegni, e non esclusivamente quelli che riteneva completati, come dimostrano alcuni schizzi che contengono le sue iniziali, e come è documentato dai due fogli, entrambi con uno Studio di donna con bambino in braccio e siglati «GBS», che si trovano nel fondo Malaspina del Museo civico di Pavia (Ragghianti, 1975). Altre sue cifre peculiari si registrano in alcuni particolari ricorrenti: gli occhi come bulbi cavi, colmati dall’acquerello, i volti caricati, i nasi aguzzi degli uomini, le linee increspate delle vesti, il panneggio cartaceo.
La fortuna critica novecentesca di Spinelli prese avvio con gli studi di Marina Causa Picone, nella mostra del 1961, e trovò maggior spazio con Vitzthum nelle esposizioni degli anni Sessanta sulla grafica degli artisti attivi nel Meridione d’Italia, e in particolare a Napoli, nel Seicento. Successivamente Roberto Longhi, nel 1969, analizzò i pochi dipinti noti all’epoca, quali l’Adorazione dei pastori della National Gallery di Londra (opera fino ad allora assegnata a Bernardo Cavallino) e i quadri degli Uffizi di Firenze, David placa Saul col suono dell’arpa e Il trionfo di David. La prima opera potrebbe essere datata attorno al 1641 perché da accostarsi stilisticamente alla Madonna col Bambino incoronata da angeli, s. Giovannino e i ss. Luca, Marco e Alessandro per l’altare della cappella di S. Marco, di patronato della colonia veneta, nella chiesa di S. Francesco a Chieti (Aurini, 1917), i cui lavori, finanziati da Benvenuti e seguiti dalle sue sorelle, terminarono proprio in quell’anno. Si osserva qui una fase di passaggio nella maturazione dello stile di Spinelli, segnata dalla conoscenza della pittura di Battistello Caracciolo e del primo naturalismo napoletano, che in parte si ritrova nel registro con gli angeli, mentre echi nordici si colgono nella figura del Bambino (Spinosa, 1984; Spinosa - Pagano, 1987).
Fu infatti a Napoli che Spinelli, come individuato da Longhi, assimilò una nuova ricchezza di suggestioni, dal naturalismo di Battistello (nelle due versioni dei disegni della Resurrezione di Lazzaro di Firenze e Stoccolma, la vista da sotto in su, con i personaggi dalle spalle leggermente alzate che coprono il mento, trova un riferimento negli affreschi battistelliani della cappella dell’Assunta nella chiesa della certosa di S. Martino) fino ai colori di Massimo Stanzione; ma soprattutto è forte il rapporto che egli strinse con la pittura nordica, rappresentata in città dalle opere di Johann Heinrich Schönfeld e Leonaert Bramer. I toni scuri, freddi, l’illuminazione notturna di ascendenza fiamminga, le espressioni caricate e altre tipologie nordiche indicano una fusione nella ricerca di una propria cifra stilistica da parte di Spinelli, che in essa unisce stilemi derivati da Aniello Falcone, Micco Spadaro, Salvator Rosa, Bernardo Cavallino e ancora da Filippo Napoletano e dai pittori della Schilderbent, con Adam Elsheimer capofila, seguito da Bramer e Jacob Pynas. Rapporti mediati probabilmente dai mercanti-collezionisti Gaspar Roomer (Longhi, 1969) e Jan e Ferdinand Vandeneynden e dagli incontri che Spinelli potrebbe aver avuto nella bottega di Stanzione, frequentata anche da Schönfeld, a Napoli dal 1638 al 1648, come mostra il confronto tra la Lotta di Giacobbe con l’angelo di Schönfeld a Budapest e il dipinto omologo di Spinelli in collezione privata a Firenze, in cui si notano affinità nell’idea compositiva: le figure sono poste in una strada scoscesa, evidenziando l’intersezione delle linee diagonali, e sono strette in un moto dei corpi che risulta – attraverso la grazia con cui sono atteggiate e i piedi che poggiano sulle punte –, più che un combattimento, un abbraccio. Ulteriori modelli possono essere opere come la Predica del Battista di Pynas (Galleria Palatina, Firenze) e la Caduta di Simon Mago (Digione, Museo di belle arti, donazione Albert Joliet). In quest’ultima, opera giovanile di Bramer, la composizione, le vesti e la posizione a quinta teatrale dei personaggi a mezza figura, e il cavaliere di spalle con i boccoli biondi, al centro dietro il cavallo pezzato, con il gonnellino a canne, sono elementi che compaiono nelle numerose Scene di predica di Spinelli (Firenze, Uffizi, Gabinetto disegni e stampe, inv. 8888S, 2250F, 2252F, 10964F, 10966F 10967F; Varsavia, Gabinetto dei disegni dell’Università, inv. T.173 n. 44/1), fogli verosimilmente degli anni Quaranta; è ancora da notare la somiglianza del s. Pietro – delle sue braccia, ma soprattutto della sua posa contorta e dello sguardo che sembra raggelarsi in una smorfia – con il s. Giuseppe che si regge al bastone dietro la Vergine nell’Adorazione dei pastori di Londra. È probabile che Spinelli abbia visto a Napoli (Tedesco, 2010a) quei «quaranta piccoli dipinti» citati nell’inventario del 1634 dei beni di Roomer e realizzati dal giovane Bramer durante il suo soggiorno a Roma tra il 1615 e il 1627 (Brink Goldsmith, 1994, p. 53). Spinelli riuscì in sostanza a sintetizzare questa triplice cultura: nordica, romana nel senso inteso da Longhi e napoletana in direzione stanzionesca-cavalliniana.
Alcuni soggiorni documentati di Spinelli a Napoli risalgono agli anni tra il 1640 e il 1642, periodo cui fa riferimento Bernardo De Dominici indicando la sua collaborazione con Stanzione alle grandi tele della chiesa di S. Maria dell’Annunziata, andate disperse nell’incendio del 1757. Spinelli risulta di nuovo nella capitale del Viceregno nel 1645, nel 1646 e il 9 novembre 1651, quando lui e il fratello capitano Giacomo si dichiararono «degentes» e furono nominati procuratori da Ludovico e Giuseppe de Pizzis per l’acquisto di beni feudali di Marino Caracciolo ubicati a Napoli, Guardiagrele, Filetto e San Martino (Tiraboschi, 2004); nei mesi di marzo e aprile del 1652, e nel 1655, quando Spinelli inviò una nota della spesa di alcuni gioielli per una nipote del cognato Ludovico de Pizzis. Tra le opere documentate in ambito napoletano si ricordano la pala d’altare con S. Nicola salva il fanciullo coppiere nel duomo di Castellammare di Stabia, sull’altare della cappella De Rogatis, opera commissionata da Francesco, Giovan Battista, Giuseppe e Carlo de Rogatis, tutti vissuti intorno alla metà del Seicento (Pagano, 1984); le due tele con S. Stefano e S. Lorenzo, provenienti dalla chiesa di S. Maria della Pace (Spinosa - Pagano, 1987, p. 26), proposte anche come facenti parte della collezione di Roomer in quanto si trovano, tutt’oggi, presso l’ospedale degli Incurabili, dove giunse una parte dei beni del mercante per lascito testamentario (Pagano, 1984); e la Sacra Famiglia con i simboli della Passione nella sovrapporta della sagrestia dei Ss. Alfonso e Antonio a Tarsia, che richiama la Trinitas Terrestris di Jusepe de Ribera oggi a Capodimonte (Tedesco, 2010b). Un’ascendenza cavalliniana si riscontra nelle piccole tele con la Madonna col Bambino (Napoli, collezione Carola) e con Cristo e la Samaritana al pozzo (Firenze, collezione Romano) d’incerta datazione (Abbate, 1970) e nella Partenza di Tobiolo (Cassino, abbazia). Uno spiccato gusto per la sensualità si rintraccia in altri dipinti: Loth e le figlie (Napoli, collezione Pisani), Susanna e i vecchioni (Torino, collezione privata; Spinosa, 1989), Aman implora Ester alla presenza di Assuero (Napoli, collezione privata), che Nicola Spinosa data alla fine degli anni Quaranta (Spinosa - Pagano, 1987), David con la testa di Golia al Museo di Capodimonte (Spinosa, 1991), e Giuditta con la testa di Oloferne (Napoli, collezione privata) databili agli anni Cinquanta in rapporto a schemi compositivi e colori stanzioneschi (Spinosa - Pagano, 1987).
Ampio respiro compositivo e riferimenti stanzioneschi si leggono nelle due tele agli Uffizi, il David festeggiato dalle fanciulle ebree – che ha punti di contatto con l’omonimo studio (inv. 8897S) e con il tondo in collezione Baratti a Napoli (Pugliese, 1984, pp. 242 s.) – e David placa Saul suonando l’arpa, «di grandi capacità drammatiche – nella contorsione smaniosa dello schizofrenico e nelle figure teatrali» (Longhi, 1969).
In ambito abruzzese un dato documentato di Spinelli è la sua presenza a Ortona, dove viveva la sorella Caterina, moglie dal 1634 del nobile Ludovico de Pizzis (Battistella, 2013), e dove si trova la pala d’altare con S. Caterina d’Alessandria, nell’omonima chiesa, dalla ricca gamma cromatica con accostamenti squillanti di rossi, lilla, verdi brillanti, gialli e blu intensi di richiamo stanzionesco, e con un’idea compositiva (Tedesco, 2011) – l’uomo morto riverso a terra in prospettiva – presente anche nel suo Studio di varie figure (Firenze, Uffizi, Gabinetto disegni e stampe, inv. 10959F) e tratta dal Muzio Scevola davanti a re Porsenna di Cavallino (Forth Worth, Kimbell art museum). Sempre a Ortona Spinelli realizzò il grande polittico con l’Incoronazione della Vergine tra i ss. Francesco d’Assisi e Antonio da Padova e ai lati S. Bartolomeo apostolo e S. Simone apostolo per la chiesa della Ss. Trinità (oggi nel Museo diocesano), opera probabilmente commissionata dalla famiglia De Sanctis, il cui stemma è rappresentato nella parte inferiore sinistra della tela centrale (Spinosa - Pagano, 1987; Di Lullo, 1997a); il S. Giuseppe con s. Pietro martire e s. Luigi re proveniente dalla chiesa del Carmine (anch’esso oggi nel Museo diocesano), unica tela conservata del trittico – parzialmente distrutto durante la seconda guerra mondiale – che una schedatura del 1936 indicava nella parte centrale i Ss. Nicola da Bari (?), Caterina d’Alessandria, Alberto Carmelitano e un altro che adorano un’immagine della Vergine con Bambino e nello scomparto destro i Ss. Tommaso apostolo, Francesco di Paola e Antonio da Padova (Di Lullo, 1998).
A Lanciano, infine, Spinelli dipinse in data sconosciuta il grande polittico con la Madonna col Bambino adorato dai ss. Francesco e Antonio, i Ss. Bartolomeo e Felice da Cantalice (?) nei laterali e in cima l’Eterno Padre, per la chiesa di S. Bartolomeo dei Cappuccini (oggi presso il Museo diocesano), opera d’impianto monumentale, accostabile stilisticamente alla Madonna col Bambino di S. Severo alla Sanità di Napoli; il filo conduttore che unisce le opere potrebbe avere un’idea iniziale nel gruppo di disegni con lo Studio di donna con bambino in braccio diviso tra il Gabinetto degli Uffizi, il museo del Prado e il civico di Pavia (fogli verosimilmente appartenenti a un unico quaderno; Leone de Castris, 1991). Un gruppo consistente di opere spinelliane è presente nella collezione Dragonetti dell’Aquila, in quanto la famiglia dell’artista teatino si estinse nei De Pizzis, che si unirono nella seconda metà del Seicento ai Benedetti; questi ultimi, poi, strinsero successivamente legami di parentela con i Dragonetti (Ravelli, 1985-1986; Spinosa - Pagano, 1987).
De Dominici conclude la vita di Spinelli con parole drammatiche: «ma datosi poscia a fare l’alchimista e ’l segretista componendo balsami ed altri specifici, cadde nella pazzia di voler fare il lapis philosophorum, ingannato da un tal frappatore che con i suoi raggiri lo inviluppò; onde, fermamente credendo di fare il lapis, vi consumò quasi tutto il suo avere, infinché un giorno, crepandosegli una boccia infocata, lo scottò in tal maniera che poco appresso se ne morì, circa il 1647. Sicché per far rimedio da prolungar la vita, perdé egli la vita» (De Dominici, 1742-1745 circa, 2008). In anni recenti è stato ritrovato l’atto di morte, che indica il suo luogo di sepoltura nella chiesa di S. Domenico a Ortona, oggi sede della Biblioteca e dell’Archivio storico diocesano: «Adì di 20 novembre 1657 il sig. Gio. Batt. Spinelli morì con li santissimi Sacramenti d’età 50 incirca et fu seppellito nella chiesa di S. Domenico et accompagnato da me padre Tommaso Bariscia curato». Tale nota di un Liber mortuorum del 1625-69 parrebbe arretrare al 1607 la data di nascita dell’artista (Di Lullo, 1997b).
Fonti e Bibl.: B. De Dominici, Vite dei pittori, scultori e architetti napoletani, Napoli (1742-1745 circa), a cura di F. Sricchia Santoro - A. Zezza, I, Napoli 2008, pp. 121 s.; G. Aurini, Sulle opere d’arte esistenti in Chieti, in La Fiaccola, 17 novembre e 15 dicembre 1917; Disegni delle raccolte pubbliche napoletane, II, Motivi presepiali (catal.), a cura di M. Picone et al., Napoli 1961; Disegni napoletani del Sei e del Settecento nel Museo di Capodimonte (catal.), a cura di W. Vitzthum, Napoli 1966; R. Longhi, G.B. S. e i naturalisti napoletani del Seicento, in Paragone, XX (1969), 227, pp. 42-52; F. Abbate, G.B. S.: la “Samaritana al pozzo”, ibid., XXI (1970), 239, pp. 61 s.; C.L. Ragghianti, G.B. S., in Critica d’arte, XL (1975), 140, pp. XIII-XV; D.M. Pagano, G. B. S., in Civiltà del Seicento a Napoli (catal.), a cura di E. Bellucci, I, Napoli 1984, pp. 176 s., 463-472; V. Pugliese, Pittura napoletana in Puglia I, in Seicento napoletano. Arte, costume e ambiente, a cura di R. Pane, Milano 1984, pp. 196-243; N. Spinosa, Aggiunte a G.B. S., in Paragone, XXXV (1984), 411, pp. 15-40; L. Ravelli, Considerazioni su un artista di origine bergamasca: G.B. S., in Atti dell’Ateneo di scienze lettere ed arti di Bergamo, XLVI (1985-1986), pp. 801-859; N. Spinosa - D.M. Pagano, G.B. S., in I pittori bergamaschi dal XIII al XIX secolo, IV, t. 4, Il Seicento, Bergamo 1987, pp. 3-55; N. Spinosa, La pittura del Seicento nell’Italia meridionale, in La pittura in Italia, a cura di M. Gregori - E. Schleier, II, Il Seicento, Milano 1989, pp. 461-517 (in partic. pp. 488, 508); P. Leone de Castris, Il Seicento napoletano nella fototeca Longhi. I. G.B. S. e Antonio De Bellis, in Paragone, XLII (1991), 491, pp. 41-53; N. Spinosa, Un ‘David’ a Capodimonte e altre aggiunte a G.B. S., in Napoli nobilissima, s. 4, XXIX (1991), n. monografico: Ricordo di Roberto Pane. Atti dell’Incontro di studi, Napoli... 1988, pp. 431-435; J. ten Brink Goldsmith, Leonaert Bramer (1596-1674), ingenious painter and draughtsman in Rome and Delft (catal.), Delft 1994, pp. 53, 72 note 40-41; N. Spinosa, Altre aggiunte a G.B. S., in Scritti in onore di Michele D’Elia, a cura di C. Gelao, Matera 1996, pp. 338-342, 348; P. Di Lullo, In restauro le tele dello Spinelli conservate nella chiesa della SS. Trinità, in Giornale storico ortonese, II (1997a), 5, p. 5; Id., Nota sulla morte di G.B. S., in Documenti sul Seicento in Ortona, Quaderno di ricerca storica, a cura di Associazione Ortonese di Storia Patria, ottobre 1997b, p. 34; M. Di Giampaolo, in S. Béguin - M. Di Giampaolo - P. Malgouyres, Dessins de la donation Marcel Puech au Musée Calvet, Avignon, II, Napoli 1998, p. 88, n. 436; P. Di Lullo, Un trittico di G.B. S. per la chiesa del Carmine da una descrizione degli anni ’30, in Giornale storico ortonese, III (1998), 11, pp. 1, 7; G. Tiraboschi, Comunicazione su G.B. S., pittore. Nuovi dati biografici, in Atti dell’Ateneo di scienze, lettere ed arti di Bergamo, a.a. 2002-03, vol. 66, Bergamo 2004, pp. 383-412; P. Leone de Castris, La formazione di G.B. S. e il rapporto con la cultura napoletana, in Abruzzo. Il Barocco negato. Aspetti dell’arte del Seicento e Settecento. Atti del Convegno, Chieti... 2007, a cura di R. Torlontano, Roma 2010, pp. 197-203; I. Tedesco, Contributi su G.B. S. disegnatore, ibid. (2010a), pp. 204-217; Ead., I legami culturali tra il Regno di Napoli e l’ambiente nordico nel primo Seicento attraverso l’opera grafica di G.B. S., in Napoli nobilissima, s. 6, I (2010b), pp. 3-22; Ead., G.B. S. outsider con moderazione, in Scritti in onore di Marina Causa Picone, a cura di C. Vargas - A. Migliaccio - S. Causa, Napoli 2011, pp. 275-289; F.G.M. Battistella, G.B. S. Un pittore tra Chieti, Bergamo, Ortona, Venezia e Napoli, Lanciano 2013, pp. 5-20.